Parrocchia san Giovanni Battista - Borno

Archivio Cüntómela

cuntomela Natale 2007

Natale 2007

Editoriale
Dà all'anima la sua domenica, dà alla domenica la sua anima
Un orizzonte di speranza
Una Chiesa che cammina da duemila anni
Grazie, Signore
Il Natale secondo Giovanni
Un abbraccio di paternità
Benvenuto Monsignor MONARI !
Stradiocesana 2007:le impressioni dal duomo
Spezzoni di Assisi-Loreto...
Chierichetti in “gita” al meeting
Aiguri dai nostri bambini
40modi sacerdozio di Padre Giacomo
Padre Defendente: sempre un cuore aperto per tutti
il mio 50mo di vita religiosa
Di chi è il nostro consultorio?
Sfogliatelle napoletane e cannoli siciliani
Ottobre: pellegrinaggio Mariano
Dieci anni di “AMICI DEL CANTO”
Tempo di bilanci? GS promosso a pieni voti


Natale 2007

Editoriale

La tragedia della guerra e gli stenti vissuti dai nostri nonni, un viaggio avventuroso, la monotonia del quotidiano, uno stato di malattia e sofferenza, la nascita di un bambino, la morte di una persona cara, l'amicizia di una serata trascorsa in allegria...

Tutto può diventare storia da raccontare se ciò che si è vissuto non rimane semplice cronologia di fatti ma, attraverso la riflessione personale, si trasforma in esperienza da ricordare e, appunto, da raccontare.

Il titolo del nostro periodico, forse un po' incerto come molte parole dialettali che nel tempo possono mutare pronuncia e significato, ormai da vent'anni ci invita a ritrovarci insieme per “raccontarcela su” e anche questo numero non vuol venire meno a questo scopo.

Come sempre alcune pagine aderiscono pienamente al titolo come, ad esempio, le brevi frasi di ragazzi e adolescenti cariche di emozioni vissute, i racconti dei nostri missionari, i dieci anni di vita di un gruppo unito dalla passione per il canto, o il primo contatto personale con il nuovo Vescovo.

Altre sono più riflessive, magari rischiano di essere un po' pesanti, ma possono aiutarci a cogliere che tra il puro intellettualismo fine a sé stesso e le “cose pratiche”, forse troppo spesso osannate anche dalla nostra cultura locale come quasi le uniche vere, reali e concrete, ci deve essere spazio anche per pensare, gustare e, quindi, ritradurre in parole ciò che si è vissuto non solo con i sensi e le emozioni, ma anche con la testa e la volontà.

Le parole non sono, però, l'unico mezzo per raccontare. Oltre alle fotografie che accompagnano diversi articoli, ecco allora i disegni che formano anche la copertina di questo numero di Cüntómela. Con essi i bambini e i ragazzi ci raccontano il loro Natale e con essi desideriamo porgere a tutti i nostri più cordiali e fraterni auguri di Buon Natale!

La redazione



ripensandoci

Dà all'anima la sua domenica, dà alla domenica la sua anima

«Senza il giorno del Signore non possiamo vivere. Solo insieme al Risorto ritroviamo il fondamento, la bellezza e la dignità della nostra esistenza. Il tempo libero è prezioso. Ma senza un centro interiore diventa tempo morto. Impariamo a guardare oltre l'attivismo quotidiano.» (Benedetto XVI)

Durante la riunione della redazione per preparare il numero di Natale di Cüntómela, io ho detto che avrei preparato un articolo sulla domenica, il giorno del Signore, il giorno della Messa.

«Ancora!» ha esclamato subito qualcuno. Ce n'è un grande bisogno, poiché i banchi della nostra chiesa continuano a svuotarsi. Se diciamo di essere cristiani la partecipazione alla S. Messa la domenica è fondamentale.

Il Concilio Vaticano II ha ribadito che l'Eucaristia è la fonte e il culmine della vita cristiana. Ricordo spesso un detto in dialetto camuno di un santo prete della nostra Valle che diceva ai suoi confratelli nel sacerdozio: «Bisogna digol, turnà a digol e tegnigol dit!» (trad. in italiano: bisogna dirglielo, ritornare a dirglielo e tenerglielo detto).

Sicuramente molti di voi saranno stanchi di sentire affermazioni simili. Non con tutti i torti spesso dite: «... dice sempre le stesse cose a noi che siamo qui a Messa. Lo dica a quelli che a Messa vengono poco o non vengono mai!». Ed io di solito rispondo: «Lo dico a voi perché mi possiate aiutare a dirlo a tutti, attraverso un passaparola convinto».

Se per me la S. Messa è questo dono immenso che ha riempito di luce e di gioia la mia vita, devo sentire il desiderio di donare questa gioia e questa luce ai fratelli.

Di solito quando alla televisione vediamo una bella trasmissione, un bel film che ci è piaciuto, che ci ha commosso, sentiamo il desiderio di raccontarlo al marito, alla moglie, agli amici. Avvertiamo lo stesso desiderio di raccontare ciò che ci dona la S. Messa, di comunicare ciò che ha suscitato in noi la Parola di Dio? Sembra più facile dire: «È stata lunga... mi ha stancato... non mi è piaciuta la predica...».

Espressioni tipo: «Hanno detto cose belle e giuste... quel richiamo, anche se non mi entusiasma, mi aiuta a crescere, ha qualcosa a che vedere con la mia vita... quella frase del Vangelo o quella parola del sacerdote mi ha colpito e perciò ringrazio il Signore e il sacerdote che me l'ha donata...» certamente sono meno frequenti e spontanee.

Come in tutte le esperienze umane ci sono i pro e i contro, anche nella presenza alla Messa possono esserci cose che non ci piacciono e altre, invece, che sono di nostro gradimento.

«Dovete essere sacerdoti sereni», ci diceva il predicatore al ritiro mensile di noi sacerdoti, «sereni perché tutti i vostri fedeli hanno ricevuto lo Spirito Santo. Lo Spirito agisce nell'originalità di ogni persona, anche se noi questo non lo vediamo».

Noi sacerdoti siamo al servizio dell'opera di Dio, non Dio al servizio della nostra opera. Gesù Cristo è la porta per entrare nella casa del Padre, ma la chiave che apre la porta è lo Spirito Santo. Dentro tutti noi c'è lo Spirito Santo; non lo vediamo, ma spesso non lo vogliamo nemmeno sentire e ascoltare.

Ecco perché nelle nostre chiese si vedono troppe facce da funerale, ridotti ad essere esecutori formali di parole e gesti il cui valore e significato ci lasciano indifferenti.

Il prefazio della consacrazione Eucaristica termina sempre con le parole: «... esultanti cantiamo», ma noi diverse volte sembra che trasformiamo questo invito in «... annoiati e indifferenti barbottiamo: Santo, Santo, Santo...».

Dove sta la nostra esultanza? Dimostriamo davvero il desiderio di andare incontro “al Signore con canti di gioia”? «Sursum corda... in alto i nostri cuori!» ci dice il celebrante, e tutti noi rispondiamo: «Sono rivolti al Signore» Ma è proprio vero che, almeno in quel momento, il nostro essere, la nostra attenzione, i nostri desideri sono rivolti tutti a Dio?

In questo giorno in cui scrivo queste righe, la seconda lettura della Liturgia delle Ore, tratta dal “Commento ai Salmi” di S. Agostino vescovo, sottolineava la necessità di cantare con giubilo spiegando che:

«Il giubilo è quella melodia con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l'ineffabile Dio?
Infatti è ineffabile colui che Tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d'altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non “giubilare”? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe.
Cantate a Lui con arte nel giubilo (Salmo 32,33)»

Dobbiamo cantare a Dio non in modo stonato. Dio non vuole che siano offese le sue orecchie. Queste stonature, però, non sono tanto musicali (Lui apprezza tutte le nostre voci, anche e soprattutto quelle non proprio da coro della “Cappella Sistina”); le stonature sono presenti quando il nostro canto, la nostra preghiera, la nostra partecipazione all'Eucaristia non si armonizza con la nostra vita, i nostri sentimenti, le nostre convinzioni, i nostri modi di agire.

Sto diventando lungo e, magari, anche noioso; giungo subito alla conclusione.

Ogni domenica, proprio in quanto cristiani, siamo chiamati a celebrare il fondamento della nostra fede: la Pasqua. Ogni S. Messa è lodare, benedire, ringraziare con grande gioia Dio per questo evento di Gesù Cristo, morto e risorto per far risorgere ognuno di noi alla speranza, all'amore, alla felicità di sentirci, già su questa terra, tutti fratelli in cammino verso di Lui, sorretti dalla grazia dello Spirito Santo e in attesa del nostro posto nel suo regno.

Sono queste le straordinarie realtà che la S. Messa ci aiuta a vivere, celebrandole di settimana in settimana. Ed è questa l'occasione migliore per dare non solo alla domenica, come esprime la frase del Card. Faulhaber scelta come titolo, ma anche alla nostra vita l'anima della fiducia, pur nelle mille difficoltà quotidiane, l'anima della gioia di poter sempre cantare al Signore un canto nuovo.

Don Giuseppe



ripensandoci

Un orizzonte di speranza

Come sopportare ogni giorno la fatica del vivere? Come è possibile affrontare il nostro presente, spesso segnato dal dolore, da problemi e da preoccupazioni?

A queste domande - che agitano il cuore di ogni uomo e di ogni donna - vuole dare risposta la seconda enciclica del Papa Benedetto XVI, dedicata alla speranza: “Spe salvi”. Così recitano le prime parole: “Spe salvi facti sumus, nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (Rm 8,24)”.

Essa intende indicare ai fedeli di oggi, e insieme al mondo contemporaneo, che cosa significhi sperare cristianamente.

La speranza è una dimensione importante dell'esistenza, perché rappresenta un grande aiuto e sostegno nell'affrontare i problemi e le difficoltà della vita. L'enciclica mostra attenzione alle attese che vibrano nella cultura contemporanea, caratterizzata da un'atmosfera di delusione e dì sfiducia, eppure assetata di una “speranza che non delude”.

È un'enciclica teologica, di non facile lettura in alcune parti, che con forza mette al centro alcune verità fondamentali. Il Papa prende le mosse dal desiderio di vita buona e felice che vi è nel cuore umano, per mostrare come il presente possa essere vissuto serenamente solo in un orizzonte di speranza, che si apre verso un al di là e che riempie di senso l'ora presente.

L'uomo, nel succedersi dei giorni, coltiva molte speranze umane, a volte piccole ed a volte grandi, che lo sostengono nel cammino della vita. Quando però queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non è il tutto. Appare evidente che l'uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Le piccole speranze non bastano. C'è bisogno della “grande speranza”.

La speranza della vita eterna è il motore dell'esistenza buona nel presente.

La frasi centrali dell'enciclica mi sembrano quelle che affermano un'esigenza fondamentale: «L'uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza» (n. 23) e «Dio è il fondamento della speranza» (n. 31).

Solo l'amore di Dio, infatti, ci dà la possibilità di perseverare giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. Il cielo non è vuoto: c'è un essere personale che è ragione e amore. È lui ad illuminare e reggere il mondo, soltanto nel rapporto personale con lui l'uomo è veramente libero e può sperimentare nella vita serenità e felicità.

La speranza cristiana non consiste nell'accettare un certo numero di verità astratte, ma nel dare la propria adesione personale alla persona di Cristo per essere da lui salvati e introdotti nella comunione divina.

Più in generale, il testo del Papa vuole dimostrare la sconfitta delle posizioni filosofiche e politiche che limitano la speranza alle cose del mondo. Una speranza solamente umana, senza Dio, finisce per ridurre l'uomo in schiavitù.

L'enciclica offre una lucida lettura dell'Illuminismo e del progetto filosofico-politico di Marx. Quest'ultimo, in particolare, dimentica che l'uomo rimane sempre uomo e che la libertà umana rimane sempre anche libertà per il male. La conseguenza è stata che «i sistemi comunisti hanno lasciato dietro di sé una distruzione desolante».

Il Papa affronta anche la questione del progresso scientifico ed afferma che «la scienza può contribuire molto all'umanizzazione del mondo e dell'umanità», ma la scienza può anche distruggere l'uomo e il mondo e portare a «possibilità abissali di male». Il progresso, per essere tale, deve condurre anche alla crescita morale dell'umanità. La ragione deve aprirsi alle forze salvifiche della fede e al discernimento tra il bene e il male.

La parte più interessante dell'enciclica è quella che ripropone Cristo come risposta alla speranza anche storica dell'uomo, nel quale vi è un ineludibile desiderio di infinito.

Ma dove attingere la speranza? La risposta del Papa è: nella preghiera, nell'agire e nel soffrire, nel tenere presente il giudizio finale di Dio.

Nella preghiera: «Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell'angolo privato della propria felicità. Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini» (n. 33). Per raggiungere questo scopo, la preghiera «deve essere sempre di nuovo guidata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei Santi, dalla preghiera liturgica nella quale il Signore ci insegna a pregare nel modo giusto» (n. 34). E così diventiamo capaci della “grande speranza” ed anche portatori di speranza per gli altri.

Nell'azione: la speranza cristiana porta ad agire e sostiene l'impegno quotidiano.

Nella sofferenza: la sofferenza è un luogo privilegiato dove si esercita la speranza cristiana. Ciò che guarisce l'uomo è «la capacità di accettare la tribolazione» e di trovare senso in essa «mediante l'unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (n. 37).

Nel giudizio finale di Dio: la prospettiva del giudizio di Dio è il criterio secondo cui ordinare la vita presente seguendo la coscienza e, in pari tempo, è speranza nella giustizia di Dio. Le ingiustizie della storia non sono l'ultima parola. La fede ci dà la certezza che Dio farà giustizia.

Gli artisti sono sempre stati affascinati dall'aspetto minaccioso e terrificante dell'immagine del giudizio, ma essa è anche un'immagine di speranza. L'aspetto che incute timore nell'immagine del giudizio di Dio chiama in causa la nostra responsabilità. Davanti allo sguardo dì Dio giudice ogni falsità sarà eliminata e tutto apparirà nella sua verità. Il giudizio di Dio è colmo di speranza perché sarà non solo giustizia ma anche grazia. Sarà giustizia che premia il bene e punisce il male, ma sarà anche grazia e misericordia.

Se fosse solo grazia, non esisterebbe una giustizia nei riguardi delle tante ingiustizie terrene. Se fosse pura giustizia, il giudizio di Dio sarebbe per noi solo motivo di paura.

Sappiamo che «la giustizia viene stabilita con fermezza» e questo ci impegna ad attendere alla nostra salvezza “con timore e tremore”, ma la grazia «consente a tutti noi di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro avvocato» (n. 47).

L'enciclica si conclude con un invito a rivolgersi alla Beata Vergine Maria, stella della speranza, Madre della speranza.

La fede e il pensiero del Giudizio di Dio alimentino la nostra speranza e sprigionino energie per la costruzione di un mondo più giusto e più umano.

Card. Giovanni Battista Re



ripensandoci

Una Chiesa che cammina da duemila anni

Questo il titolo che ha visto aprirsi ad ottobre, all’Eremo di Bienno, tre serate nelle quali don Raffaele Maiolini ci ha regalato, in un racconto accattivante e per certi versi insolito, una spiegazione davvero coinvolgente sulla Chiesa voluta da Gesù.

Non è facile riassumere in poche righe un argomento così denso di significati. Proverò solo a dare alcuni spunti, estrapolando dai miei soliti ed infiniti appunti le frasi che mi sono sottolineata perché mi sono sembrate le più capaci di chiarire i vari concetti. In risposta alla domanda con la quale don Raffaele ci ha da subito incalzati, “Come spiegare cosa è la Chiesa? Chi è la Chiesa?” lui stesso ha esclamato: “Prendendo esempio da Gesù, per dare una risposta facciamo una domanda e ci accorgeremo che le parole della domanda stessa aiutano sempre a trovare la risposta”.

Dopo averci ricordato le origini greche ed ebraiche della parola Chiesa (Ekklesia, ossia assemblea), ci ha spiegato che questa non è altro che “l’insieme di coloro che sono stati convocati da Dio”, sottolineando che “se un cristiano, nella vita, non si sente con-vocato (chiamato insieme agli altri) non fa chiesa”. Dall'espressione di Gesù “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” possiamo intuire che non siamo noi ad avere scelto questa o quella parrocchia perché ci piace di più, ma è Lui che ci ha convocati. È molto importante perciò amare, accettare, desiderare la nostra parrocchia e con essa, più in generale, la nostra Chiesa poiché è quella in cui siamo stati chiamati.

Citando la Lumen Gentium e i Padri della Chiesa don Raffaele ha elencato le immagini semplici, e per lo più bibliche, utilizzate per trasmettere il concetto di Chiesa. Ecco dunque che questa viene rappresentata come:

La Chiesa è poi definita Madre Nostra, poiché nel battesimo ci ha fatto nascere alla vita di fede, e Sposa, in quanto scelta e voluta da Gesù (lo Sposo) per un'unione totale ed esclusiva. Il relatore diceva che Gesù “è uno che non cambia mai idea e se anche tu ti ritiri Lui non ti molla più!”.

Ma le immagini più significative per spiegare la Chiesa sono due: “Chiesa” come “Corpo di Cristo” e come “Popolo di Dio”. Corpo di Cristo perché, come ci ricorda San Paolo, nonostante le membra siano tante, diverse fra loro e necessarie le une alle altre, esse formano uno solo corpo avente come capo Gesù Cristo, dal quale parte e scorre la linfa vitale. L'immagine della Chiesa come “Corpo di Cristo” si rende visibile in modo evidente nella celebrazione dell'Eucaristia, la quale ci è necessaria per unirci (in-corporarci) sempre più a Lui e dunque alla Chiesa stessa. Vivendo l’Eucarestia domenicale alimentiamo il nostro essere genitori, moglie/marito, suore/preti, sorelle/fratelli, amici, colleghi di lavoro, il nostro essere insomma persone di Cristo. Don Raffaele evidenziava che se una persona non aumenta la sua conformazione a Cristo non cresce, si ferma e non può portare e rendere quasi “toccabile”, mediante la propria testimonianza, Cristo ai fratelli.

Noi infatti non siamo stati chiamati da soli e apparteniamo, tutti insieme, al Popolo di Dio perché siamo Suoi figli.

Partendo ancora dalla Lumen Gentium ha ricordato che la Chiesa è “Sacramento universale della Salvezza” per il genere umano, dove per Sacramento s’intende il segno efficace e lo strumento attraverso il quale arriva la grazia.

Ma Perché Gesù ha voluto la Chiesa? Perché affidare il Suo messaggio a noi semplici uomini invece di fare da solo? E ancora: Quando Gesù ha deciso di fondare la Chiesa?

A queste domande, di solito, rispondiamo spontaneamente con citazioni dal Nuovo Testamento quali, ad esempio, l'espressione rivolta a Pietro “su questa pietra fonderai la mia chiesa”, o il racconto della Pentecoste. Ma in realtà, come ci ricorda sempre la Lumen Gentium, non esista un momento preciso nel quale Gesù ha deciso di fondare la Chiesa in quanto Lui stesso non deve essere visto come il fondatore, bensì come il fondamento.

Nell’ultima serata, non meno emozionante delle precedenti, sono state illustrate le quattro definizioni che proclamiamo anche nel Credo durante la S. Messa: Una, Santa, Cattolica ed Apostolica.

Le cose da dire sarebbero ancora parecchie, ma non posso certo occupare tutto lo spazio da sola e comunque, per chi avesse voglia di approfondire un po’, avrei due suggerimenti: il primo è che quest’anno i Centri di ascolto della Parola affronteranno proprio l’argomento della Chiesa; quindi vi invito tutti a partecipare, così avrete l’occasione di dire la vostra e soprattutto di trovare risposta ai mille dubbi che tutti noi battezzati abbiamo sull’argomento. Il secondo suggerimento, per chi è pratico di internet, è quello di collegarsi al sito dell’Eremo di Bienno (www.eremodibienno.it) dove potrete scaricare tutto il materiale che don Raffaele ha preparato per le tre serate.

Nella speranza di essere riuscita a trasmettere un pochino dell’entusiasmo che don Raffaele ha regalato a noi, auguro a tutti un Santo Natale di Pace, Amore e Fraternità perché la nostra comunità possa davvero sentirsi unita e parte di una sola grande Famiglia: quella di Gesù.

Anna Maria



ripensandoci

Grazie, Signore

Anche quest'anno, l'undici Novembre, fra l'altro Festa di San Martino secondo patrono della nostra comunità, la Chiesa ci ha invitato a celebrare la Giornata del Ringraziamento. Proprio in questa data noi festeggiamo anche l'ingresso di don Giuseppe come parroco nella nostra comunità, avvenuto diciassette anni fa, ed il compleanno di don Alberto.

Quindi i motivi per dire grazie al Signore sono stati davvero molti. Alla S. Messa delle 9,30 tutti i gruppi del catechismo, dai piccoli di prima elementare ai ragazzi di 3a media che proprio in questa celebrazione si presentavano come cresimandi alla comunità, sono stati coinvolti in particolare durante l'Offertorio. Hanno portato all'altare molti cesti di frutta, verdura e prodotti tipici del lavoro contadino: alimenti genuini donati dalla generosità della terra e dall'operosità delle mani dell'uomo.

Alla fine della S. Messa ci siamo recati in piazza per la benedizione dei trattori e degli attrezzi agricoli: segno, forse un po' datato, con il quale abbiamo invocato la presenza e la protezione di Dio in ogni nostra attività quotidiana.

È stata un'occasione per contemplare il creato - e in questo noi siamo facilitati anche solo dalla maestosa bellezza delle montagne che ci circondano - per riflettere sui problemi dell'ambiente come ci hanno suggerito i vescovi italiani e per accogliere l'invito del Papa ad unire ecologia ambientale ed ecologia umana. Ma soprattutto è stata l'occasione, proprio mediante l'Eucaristia, di rivolgere un grande grazie al Signore, per il dono della vita.



ripensandoci

Il Natale secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio (...)
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi...

I primi due capitoli dei Vangeli di Matteo e di Luca ci raccontano la nascita di Gesù così come siamo abituati tradizionalmente a pensare al Natale. Ci parlano di angeli che annunciano, della grotta con Gesù, Maria e Giuseppe, dei pastori e dei magi che inseguono una stella. Mancano solo il bue e l'asinello, presi dalla fantasia degli apocrifi, e il quadro del presepio è completo.

disegno natale bambini

Quello di Marco, che è anche il più corto dei quattro, inizia subito a parlarci di Giovanni Battista che battezza Gesù adulto nel fiume Giordano.

Il Vangelo di Giovanni, invece, ci propone fin dalle prime battute la sua originalità con uno splendido e intenso inno. Anni fa don Mauro Orsatti, biblista ormai familiare e molto apprezzato da chi frequenta l'Eremo di Bienno, aveva paragonato questo inno ai maestosi portali delle grandi cattedrali, sottolineando, però, che esso non solo consente l'ingresso ad un grande capolavoro quale è il quarto Vangelo, bensì ci fa già intravvedere il concentrato di bellezza e di profondità che contempleremo al suo interno.

In un bell'articolo letto in questi giorni sulla rivista “Rocca” mi ha colpito il confronto che l'autore, Padre Alberto Maggi (altro biblista), proponeva fra Genesi e Vangelo di Giovanni. Entrambi si aprono con l'espressione solenne “In principio...”, mentre però il primo libro dell'Antico Testamento continua con Dio che chiama all'esistenza varie cose (luce, terra, acqua ecc.) e impone all'uomo delle regole da seguire, l'ultimo Vangelo ci dice che in principio, prima ancora della creazione, c'era il Verbo, la Parola, una Persona talmente in comunione con Dio da essere un'unica realtà divina.

Vengono così delineate due strade, due modi di vivere il rapporto con Dio: l'antica alleanza basata su dieci parole (i comandamenti) nella quale ogni uomo era chiamato a “fare le opere della legge” come direbbe S. Paolo, a seguire scrupolosamente ogni minime precetto per poter stare in questa alleanza; e quella inaugurata del Nuovo Testamento in cui un'unica Parola, fatta carne, si offre gratuitamente, chiedendo solo di essere accolta.

Lo stesso prologo ci ricorda, infatti, che: «la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» e ad un versetto precedente «A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio».

Seguendo questa scia è bello pensare al Natale come ad un nuovo modo con cui Dio è venuto e continua a venire incontro a noi, bussando alla porta del nostro cuore perché scegliamo di aprirgli e aprirci, accogliendo il suo desiderio di abitare in mezzo a noi.

La nascita di un bimbo comporta sempre per la famiglia che lo accoglie uno scombussolamento dei suoi ritmi quotidiani. Perché non cogliere questa ricorrenza annuale come un invito a scombussolare in positivo i nostri ritmi quotidiani, le nostre piccole o grandi apatie, la monotonia con la quale a volte pensiamo e viviamo anche la nostra fede?

Se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio”, si è sentito rispondere Nicodemo, un capo dei Giudei, come è scritto sempre nel Vangelo di Giovanni, che a quanto pare aveva intuito che Gesù non era solo un'altra testa calda di quel periodo, bensì uno venuto per dare un nuovo sapore alla vita, una nuova dimensione al nostro rapporto con Dio (“non vi chiamo più servi ma amici”), un nuovo (anche se antico) comandamento riassuntivo, “Amatevi gli uni gli altri...” facendovi servi gli uni degli altri.

Penso che la vita di ognuno di noi abbia la sua buona dose di tenebre, non solo formate da piccoli o grandi peccati, ma anche da fatiche quotidiane, da sofferenze e malattie, dalla semplice assenza di desiderare cose belle. L'augurio che possiamo ricevere anche solo sfiorando molto superficialmente e grossolanamente il Vangelo di Giovanni, è che anche questo Natale sia l'occasione per lasciarci di nuovo illuminare, per rinascere, vivendo in modo nuovo la quotidianità.

Accogliendo con riconoscenza il tema della nuova Enciclica del Papa Benedetto XVI, auguriamoci che le feste ormai imminenti ci donino davvero nuova speranza; una speranza che non delude in quanto non fondata su parole o ideologie passeggere, ma su un'unica Parola fatta carne, morta e risorta come proclameremo anche nella S. Messa di mezzanotte, perché “tutti abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza”.

Franco



È arrivato il nuovo Vescovo

Un abbraccio di paternità

Quando la redazione di “Cüntómela” mi ha chiesto di scrivere qualche riga sulle attese di un giovane prete nei confronti del nuovo vescovo, ho subito provato una certa forma di imbarazzo. Si tratta di un argomento non facile: potrebbe sembrare un po’ presuntuoso rivolgere al vescovo le proprie aspettative.

don alberto

Pensando proprio al vescovo non posso non tornare, con la memoria e con il cuore, al giorno nel quale mi è stato “regalato” il sacerdozio attraverso il sacramento dell’ordine.

Giorno grande quello della mia ordinazione sacerdotale, del mio “Sì” a Cristo e alla Chiesa; giorno nel quale la stessa Chiesa, attraverso il vescovo, mi ha scelto tra gli uomini e mi ha affidato il compito di prolungare con la mia stessa vita la Presenza di Gesù; giorno nel quale il vescovo Giulio mi ha imposto le mani sul capo, senza dire nulla, e in quel gesto silenzioso vi ho trovato nascosto, con stupore, tutto il mistero e la bellezza del dono di grazia di Dio, che non è Spirito di incertezza, ma di forza, di amore e di prudenza (Cfr. 2 Tm 1, 6.7).

Dal giorno in cui il vescovo ha posato le mani sul mio capo, ho potuto sperimentare quante volte il Signore non ha smesso di posarsi su di me, attraverso il dono del suo continuo perdono per le mie infedeltà, attraverso il dono di una comunità parrocchiale che mi ha accolto e mi vuole bene, attraverso i tanti volti dei quali Dio si serve per non farmi mai mancare la sua rassicurante e amorevole presenza.

Quello del vescovo Giulio è stato per me un gesto profetico che, nel tempo, ho potuto sperimentare: mani dolci come quelle di una madre che consolano, rincuorano e, nello stesso tempo, mani forti come quelle di un padre che sorreggono e danno forza; le mani di Dio che tutto hanno creato e tutto mantengono in vita.

Troppe volte forse, noi preti giovani ci lamentiamo dei nostri vescovi e questo non per cattiveria, ma forse solo perché li vorremmo in alcuni momenti più presenti, a volte anche più significativi, più vicini alla nostra storia e a quella della nostra gente; perché vorremmo sperimentare la continuazione di quel significativo gesto liturgico dell’ordinazione che sono le mani sul capo.

In questi giorni, durante l’incontro mensile dei giovani preti, ho avuto la possibilità di affiancare nella celebrazione Eucaristica il nuovo vescovo Luciano. Durante il momento dello scambio della pace, il vescovo, abbracciandomi, mi ha detto sottovoce: “Dio ti benedica”. In quell’abbraccio ho potuto sperimentare ancora una volta quell’unità e quel legame spirituale che supera il nostro modo quotidiano di vivere i rapporti e scegliere le relazioni.

È proprio così! Forse più che le aspettative di un giovane prete verso il suo vescovo, vale la pena soffermarsi, con rinnovato stupore, di fronte al riconoscimento nella fede di quello che il vescovo rappresenta per ciascun prete e per ciascuno di noi: un uomo scelto da Dio e mandato a noi per annunciare e testimoniare con la vita quel Gesù per il quale io stesso ho lasciato tutto e dal quale tutti abbiamo ricevuto.

Per questo l’unica cosa che personalmente penso di poter chiedere al nostro nuovo vescovo Luciano è quella di continuare, con il suo mandato, a far sentire noi suoi presbiteri e voi suoi fedeli come soggetti di questo grande abbraccio che è la Chiesa. Un abbraccio che è esperienza di paternità, di un forte legame spirituale e, soprattutto, di un’unità che nutre il mio personale ministero ed è spinta continua a proseguire nel mio e nel nostro cammino di fede.

Don Alberto



È arrivato il nuovo Vescovo

Benvenuto Monsignor MONARI !

Anche la nostra comunità era presente con una rappresentanza, per la maggior parte giovani e ragazzi, il giorno del Suo ingresso, nella piazza Paolo VI, al duomo di Brescia. Ho potuto partecipare personalmente e, dal fondo della chiesa, ascoltare buona parte della Sua omelia. Ammiro la schiettezza, la semplicità e la facilità con la quale Lei comunica, doti tipiche delle persone della Sua terra di origine. Tra le Sue parole mi ha colpito un passaggio nel quale Lei dice di essere e di voler essere Padre, di non avere nessuna pretesa per sé, ma anche di sentirsi per questo completamente libero di chiedere di volta in volta a tutti i rappresentanti delle istituzioni, tutto quanto possa utile alla Sua famiglia.

Benvenuto Vescovo

Come papà Le rivolgo tre richieste.

La prima riguarda la famiglia, la seconda la vita sociale e la terza la politica.

In primo luogo per la famiglia, Le chiedo di trovare spazi per quelle mamme e quei papà che sono separati, con dei figli che tutti insieme vivono nel disagio e nell’incertezza di non essere ancora pienamente accolti dalla Chiesa.

Poi, più in generale, una parola per la famiglia cosiddetta “tradizionale” composta da un uomo, una donna e da figli, che si vogliono bene tra loro, magari che crede anche al sacramento del matrimonio: più ci si guarda attorno e più si ascoltano i “bugiardini” (tutti i mass-media) o i rappresentanti maggiormente autorevoli delle varie categorie sociali e più si ha il sentore quanto questo tipo di famiglia venga messa al bando, a volte tacciata di bigottismo, in poche parole non è più al passo con i tempi, una cosa oramai superata, che per la vita sociale questo modello vale tanto quanto altri modelli di famiglia che stanno per essere proposti e imposti. Pensi che però la famiglia tradizionale alla società costa poco, perché non crea problemi, rende molto perché dà alla società persone che lavorano e producono ricchezza per tutti, ma in cambio non può chiedere nulla, perché quando avanza richieste si sente rispondere che le risorse disponibili mancano e debbono essere distribuite a pioggia sull’intero universo creato, sempre più vasto e vorace.

Riguardo alla vita sociale: i nostri nonni ed i nostri genitori hanno fatto notevoli sacrifici per trasmetterci alcuni valori tra i quali quello dell’onestà. Il benessere agognato e raggiunto dalle nostre madri e dai nostri padri poteva essere la caparra necessaria per favorire il mantenimento di questo valore ed invece è avvenuto il contrario: più aumentano i beni disponibili e più ci si frega a vicenda per possederli, le menzogne e l’ipocrisia sono la normalità ed il detto “mors tua vita mea” pare stia prendendo sempre più spazio ai gesti di solidarietà ed all’aiuto reciproco. Dobbiamo rassegnarci e fare un funerale definitivo a questa benedetta ONESTÀ?

Rispetto alla politica: Papa Benedetto XVI ne ha parlato all’interno dell’enciclica “Deus caritas est”. Questa opera è contenuta in un libretto esile, è semplice nella struttura rispetto a come si è abituati a leggere il teologo RATZINGER, ma allo stesso tempo ha, a mio modesto parere, una ciclopica valenza morale. Mi pare di aver capito che il compito della Chiesa non è quello di fare politica, partecipando attivamente in questo o quel partito. L’opera della Chiesa è, in questo ambito, quello di purificare le persone che fanno politica indicando la direzione verso i valori alti, per togliere le scorie degli interessi personali e raggiungere gli scopi propri del bene comune. Senza questa purificazione le composizioni politiche pare possano essere paragonate a bande di ladri che fanno razzia di ogni cosa capiti loro a tiro. Nella Diocesi di Brescia Lei ha la responsabilità di dirigere questa opera di purificazione; il bisogno si vede ed è urgente anche da noi, sia nelle sedi più piccole che in quelle più importanti dell’attuale vita politica, la quale, a mio personale parere, oggi più che mai ha bisogno di cambiare decisamente rotta.

Gabriele



È arrivato il nuovo Vescovo

Stradiocesana 2007:
le impressioni dal duomo

- Dal nostro inviato -

Brescia, Duomo - “Sono tredicesimo. È stata una gara molto, troppo lunga, ma sono felice perché sono arrivato tredicesimo: il massimo. Arrivare tredicesimo è una grande cosa... tredicesimo. Finalmente. Qui nella bresciana è dura la vita, ma io sono arrivato tredicesimo proprio qui nella bresciana”.

“Ora bisogna solo programmare il lavoro con calma in modo da garantire sempre grandi risultati... Punto a restare tredicesimo almeno ancora per qualche anno.”

“Certo che questa diocesi di Brescia è veramente grande. Bisognerà che stia ben allenato altrimenti addio sogni di tredicesimo posto...”

“Come penso di restare sulla cresta dell’onda? Credo... sì, credo di avere buone frecce al mio arco... nuove frecce per mantenere alto il tiro... Mi spiego: fare il vescovo nel presente è, come potete immaginare, una cosa piuttosto impegnativa, densa di impegni e responsabilità; ma sono convinto che tentare di fare il vescovo nel futuro fin da adesso sia la chiave per fare bene oggi... Lo so è un po’ incasinato. Fare il vescovo nel futuro sin da oggi vuol dire solo una cosa: parlare subito ai giovani perché loro e solo loro sono il futuro... Mi spiego?”

“Dite che per comunicare bene gli interlocutori devono sapere ascoltare? Avete ragione. Ma io non sono ancora sordo... Sì perché sono io che devo ascoltare i giovani, capire i loro bisogni, i loro desideri e le loro esigenze oggi in modo da fare bene domani, capite? Solo così poi posso dire la mia.”

“Come? Dite che non mi starebbero a sentire? La problematica dell’ascolto credo sia legata ai mezzi con i quali il messaggio è veicolato. Allora: il mezzo dei mezzi lo sappiamo qual è, il Vangelo, e qui non si discute. Ma con i tempi che corrono ritengo che una svecchiata nella modalità della comunicazione sia opportuna e non impossibile da realizzare. Oggi basta un click per entrare negli occhi della gente... perché non clicckare un po’ anche dalla diocesi alle case dei fanciulli?” I mezzi oggi ci sono... non è come una volta che bisognava aspettare la visita pastorale per farsi vedere dalla gente. Oggi basta un click e il gioco è fatto: migliaia di parole nell’etere che giungono dove vuoi, come vuoi e quando vuoi... così è facile arrivare sempre tredicesimi...”

“Sapete, solo parlando, comunicando possiamo fare sentire la nostra presenza a chi ci vuole bene e qualche volta, in passato, ci siamo dimenticati di queste persone proprio perché non chiacchieravamo abbastanza... semplice... Erano tempi difficili, altro che tredicesimo posto. Si arrivava sempre dietro ....”

“Come? Tredicesimo non è un buon piazzamento??? Ma vi rendete conto? Nella lunga corsa del cristianesimo arrivare davanti a quei dodici amici che stavano vicini a Gesù è impossibile... Io sono tredicesimo oggi e ho visto da vicino come corrono quelli là... Sono veri fuori classe! Sto continuando ad imparare da loro... Loro hanno parlato di Gesù duemila anni fa e hanno vinto. Io devo continuare a farlo oggi con tutti i mezzi possibili per arrivare sempre più vicino a loro.”

“Scusate ma devo andare ad allenarmi....”

Massimo G.



Oratorio Arcobaleno

Spezzoni di Assisi-Loreto...

Frasi colte qua e là fra alcuni dei partecipanti

Quando ti ritrovi in mezzo ad una piazza gremita di persone, tu come ti senti?

Io pensavo di avere dei forti attacchi di panico, pensavo di non riuscire più a ritrovare la mia compagnia lì in mezzo, di andare perso e invece...

in attesa del papa a Loreto

Quando la piazza è l’enorme distesa di Montorso, a pochi chilometri da Loreto e con una splendida vista sul mare Adriatico, anche se eravamo in circa cinquecentomila, giuro 500.000, io non mi sentivo per nulla spaesato...

Ero con circa una trentina di Bornesi, tra adolescenti e adulti, fra le migliaia di persone e mi sentivo a mio agio, quasi come a casa. Magari è vero non c’era il mio lettino, ma ho dormito per terra senza cuscino e senza una tenda per ripararmi; magari la cena e la colazione e il pranzo non erano proprio quelli che mi prepara la mia nonna; magari il bagno era un po’ fuori mano e non era pulitissimo, però... io mi sentivo a casa..

Il bello delle giornate del genere è l’atmosfera che si respira, l’aria di amicizia e di gioia che c’è, il fatto che tutti siamo lì per un unico motivo: incontrare il Papa! (PoL.)

gruppo assisi loreto

E, per essere certi di non arrivare in ritardo, si è pensato bene di partire un paio di giorni prima, organizzando un pellegrinaggio (ad Assisi sui passi di San Francesco) che aveva principalmente il compito di prepararci a questo incontro col Santo Padre, ma in cui non sono mancate occasioni di divertimento e confronto con altri gruppi, dai quali eravamo inizialmente un po’ diffidenti.

Ma torniamo al nostro argomento fondamentale. Quel giorno mi sono svegliato dopo aver passato gran parte della notte sveglio con i miei compagni di avventura a parlare, discutere e immaginare del giorno che sarebbe seguito.

Il giorno dopo aleggiava nell’aria una strana atmosfera, sembrava quella prima di una partita di calcio molto importante, ma stavolta non si aspettava il goal del bomber di turno o la giocata spettacolare del classico fenomeno che, oltre in un campo da calcio, sarebbe stato perfetto anche in un circo; si aspettava col cuore in gola una persona importantissima che però, venendo e mostrandosi in quella landa gremita di persone, si poneva sul piano dell’uomo più comune e semplice che abbia mai messo piede sulla faccia della terra e che, a differenza di uno di quei fenomeni prima citati, non pretende né fama, né soldi, né successo...(Teoly)

Quello che di più mi ha colpito sono state le sue parole, la sua semplicità nel raccontare a tutti noi giovani la parola di Dio, soprattutto quando “a braccio” rispondeva alle provocazioni che alcuni ragazzi li sottoponevano. Di fronte a quesiti sulla difficoltà della vita, sulle problematiche quotidiane, lui ci ha lasciato a bocca aperta...

Ha parlato di speranza, di coraggio e di forza, forza dell’uomo, ma che deriva principalmente dalla nostra fede, dal credere in Gesù...(PoL.)

Fede che in quel luogo non poteva che accrescere; lì si respirava un’aria diversa dalla solita; si sentivano emozioni diverse dalle solite anche nei gesti più comuni, nelle azioni più casuali, come una frase detta da un Burney qualsiasi verso un altro Pancaro scelto a caso nella folla lì riunita...

Anche lo stesso spettacolo che vi è stato la sera prima dell’arrivo del Santo Padre, che in teoria sarebbe servito per scogliere la tensione, si è trasformato in un intrattenimento con un qualcosa di magico e strano come penso debba essere un’occasione del genere... (Teoly)

Ad Assisi nei giorni precedenti è stato bello ripercorrere i luoghi dove San Francesco è vissuto ed è cresciuto, divenendo la Santa persona che ancora oggi è venerata e tenuta anche dai noi giovani come punto di riferimento ed esempio di vita...

Quello che a me ha emozionato tantissimo è stato leggere negli occhi degli adolescenti che ho accompagnato la meraviglia, lo stupore di fronte al fatto che non sono i soli a condividere una fede...

La bellissima esperienza ha unito la nostra amicizia, ci ha reso ancora più legati... (PoL.)

Grazie della vostra presenza in questi giorni e della vostra amicizia. Non vi sostituirei con nessun altro. Ringraziamo il Signore dei giorni che ci ha regalato. (Sms di don Alberto)

Matteo e Paolo
con la partecipazione straordinaria di don Alberto



Oratorio Arcobaleno

Chierichetti in “gita” al meeting

Pieve o Santa Maria in Silvis

Domenica 18 novembre, siamo partiti nel primo pomeriggio per raggiungere la piccola cittadina di Pisogne; siamo arrivati là verso le due e mezza con uno dei pullman della SABBA.

Abbiamo attraversato il piccolo centro storico che si trova di rimpetto al lago e abbiamo raggiunto il centro ricreativo, una struttura situata in prossimità della parte alta di Pisogne.

Qui abbiamo pregato per un breve momento e ci siamo incamminati verso la Pieve o Santa Maria in Silvis (Santa Maria nei boschi), una chiesa 600-700esca, ristrutturata da poco, dove abbiamo potuto ammirare tutte le particolarità di quest’ultima: il pulpito, i reperti archeologici ed infine i resti che sono venuti alla luce dagli ultimi ritocchi di restauro.

gruppo chierichetti

In questo posto abbiamo avuto piacere di pregare con i seminaristi, i sacerdoti e i diaconi, che hanno animato questo momento di preghiera e di riflessione.

Siamo poi ritornati nell’oratorio, dove abbiamo fatto merenda e dove i più piccoli (oltre che i più grandi) hanno potuto giocare.

Verso le sei abbiamo ripreso il nostro pullman, con cui abbiamo fatto ritorno a casa.

È stato veramente un momento molto bello, dove tutti si sono potuti divertire.

Paolo e i chierichetti



Oratorio Arcobaleno

Aiguri dai nostri bambini

disegno natale bambini

disegno natale bambini



dalle missioni

40modi sacerdozio di Padre Giacomo

E-mail ricevuta il 18-10-2007

Carissimi, Don Giuseppe, Don Alberto e Amici di Borno,
grazie di cuore del vostro ricordo e della vostra preghiera in modo particolare per il mio 40mo di sacerdozio. L'ho celebrato in maniera modo semplice ma sentita con la mia comunità di missionari saveriani qui a Manila: 13 padri e 22 studenti. Una comunità di padri e studenti provenienti da 9 nazionalità diverse. Io sono chiamato da tutti loro col titolo di nonno... ed è giusto perché quello che viene dopo di me in età ha esattamente 20 anni di meno.

Anche se nonno, grazie a Dio, sto ancora bene e posso ancora sognare per una prossima apertura di una comunità di missione, appena i due giovani padri arrivati di recente avranno imparato la lingua locale. Gesù sembra mantenere le sue promesse: “...riceverete il centuplo in amici, fratelli, sorelle... e la vita eterna”. La prima parte si è avverata. Quanto alla vita eterna vedremo quando sarà arrivato il tempo.

Grazie di nuovo della vostra preghiera e della vostra amicizia! Pregate anche perché qualche ragazzo si prepari a sostituire il “nonno”. Vi abbraccio di cuore! Vostro,

P. Giacomo.

* * *

E-mail ricevuta il 7-11-2007

Carissimi amici del Gruppo missionario,
vedo che la vostra generosità continua ad accompagnarmi. Ve ne sono estremamente riconoscente, perché con questa riesco a rispondere alle tante richieste delle persone che si presentano quotidianamente alla nostra porta, una porta conosciuta da tanti disperati.

La richieste di aiuto più frequenti sono per casi di malattia. Come vi dicevo quando ero con voi, qui è “proibito ammalarsi” perché, non essendoci mutue governative, quando un povero si ammala è perduto... a meno che qualcuno non si faccia avanti ad aiutare. Sto diventando quindi la vostra “lunga mano” che raggiunge a nome vostro tante persone nel bisogno.

Nell’attesa che il mio superiore si decida a fare dei passi per l’apertura di una nuova comunità di missione, io faccio il “prete tappabuchi” nelle parrocchie, nelle scuole e nelle comunità dei dintorni. Mi va bene anche questo e sono felice di dare una mano.

Sono felice anche perché trovo tempo di aggiornarmi, studiando qualche cosa di nuovo. Ho celebrato con i miei confratelli il mio 40mo di ordinazione, felice di vedere attorno a me una ventina di studenti saveriani che si preparano ad essere i missionari del futuro. La missione non finirà!!! Grazie delle vostre preghiere per me: più si diventa vecchi e più diventa difficile convertirsi!

Grazie ancora di cuore per la vostra instancabile generosità. Sinceramente vi porto tutti nel cuore. Cordialmente,

P. Giacomo.



dalle missioni

Padre Defendente: sempre un cuore aperto per tutti

Nova Timboteua, 4-11-2007

Carissimi amici del Gruppo Missionario,

stiamo arrivando quasi alla fine dell'anno e ho molte cose da raccontare. Innanzitutto abbiamo un progetto molto ambizioso: si tratta di aiutare la nostra povera gente a fare allevamenti di pesci e avere cosi un mezzo di vita in più. L'agricoltura della nostra gente è molto magra e i bisogni sono tanti. Ecco allora che la CARITAS sta incentivando questi progetti.

Il giorno 24 di settembre è nata ufficialmente nella nostra diocesi di Castanhal la CARITAS diocesana e io ero uno dei presenti a questa fondazione: l'unico sacerdote in mezzo a tanti laici. Ma il nostro Vescovo ha voluto la mia presenza appunto per il fatto del mio lavoro con i poveri, malati e abbandonati.

In questi giorni sono venuti dei tecnici in pescicoltura e hanno insegnato alla nostra gente l'arte dell'allevamento dei pesci. In qualche luogo si potrà usare l'acqua dei fiumi, in altri sarà necessario creare laghi artificiali.

Non mi impaurisco davanti a tanti problemi. Per tutto c'è sempre una soluzione. E dove non si può assolutamente fare allevamenti di pesci, stiamo pensando di fare orti comunitari, con produzione di verdure.

C'è molto entusiasmo in giro e tutto questo è evangelizzazione perché si crea nella comunità lo spirito di partecipazione e di fraternità. È la famosa storia di non dare il pesce, ma l'amo per pescare.

Per quanto riguarda l'assistenza ai bambini disabili, siamo in piena attività e il numero aumenta sempre più. Ormai tutti sanno che il missionario ha sempre il cuore aperto per tutti.

Un 'altra cosa molto bella è il lavoro con i bambini sani che stanno imparando a fare un po' di tutto. Da un mese nel terreno della parrocchia è nato un orto comunitario e ci lavorano adulti e bambini.

In questo periodo c'è siccità fino a gennaio e quindi serve molto l'acqua del pozzo artesiano della parrocchia. Le verdure crescono a vista d'occhio, ma il caldo è fortissimo e serve molta acqua per irrigare.

La vita spirituale è quella che conta di più. Abbiamo fatto anche noi la Giornata Missionaria con buoni risultati, sia nella sede, sia nei 16 villaggi. Abbiamo pure fatto la sagra di San Francesco di Assisi, nostro patrono: col ricavato stiamo restaurando la facciata della chiesa parrocchiale. La gente ci tiene molto a queste cose.

Non parliamo poi del nostro coro infantile e degli adulti. Il giorno dei Morti erano tutti al cimitero alle 6 del mattino per la celebrazione della Santa Messa, perché poi il sole scotta troppo.

Mando un caro saluto a tutti. Speriamo che il progetto dei pesci vada in porto e ci siano dei buoni risultati.

Mi unisco a voi nella preghiera per il suffragio dei tanti morti che ci sono stati in questi ultimi tempi nel nostro paesello di Borno.

Padre Defendente



dalle missioni

il mio 50mo di vita religiosa

16-11-2007

Padre Narciso Padre Narciso Padre Narciso

Carissimi,
“quando il corpo si rende allo spirito e si confronta con la storia, tutto si rinnova!” Così è stato per me celebrare il mio 50º di vita religiosa (4.10.57: Lovere-BG) qui nel mio recinto di silenzio, pace, poesia e Dio. Una festa con cartoline, congratulazioni, tante persone, filmati, CD, album fotografico, discorsi, poesie, canti, pranzi, cene, torte...

Ma il momento più emozionante è stata la solenne concelebrazione liturgica, rinnovando i miei voti davanti al mio Superiore, presenti 14 confratelli cappuccini, tra cui il carissimo frei Defendente che, poveretto, ha affrontato un lungo viaggio per portarmi anche due belle coppe (prosciutti!) e tre miei vocazionati sacerdoti cappuccini! Con loro ho rivissuto un poco la mia storia missionaria di consacrazione con semplicità e umiltà francescana: una vita di donazione e di servizio, seminando consolazione, pace e fraternità, la bellezza di servire al Signore e ai fratelli.

Tutto mi ha fatto sentire più giovane per continuare questa mia vita di donazione, alle due Comunità locali (7 mila anime!) e soprattutto ora per il “mio” Ricovero “Lar Frei Daniel”, anche se grande è la preoccupazione per il suo futuro, quando la Prefettura a fine mese non pagherà più gli addetti al servizio. Ma il Buon Dio provvederà!...

Purtroppo la salute non è molto buona: aumentano gli acciacchi, cammino con fatica, lavoro brontolando, molti crampi, che fanno male e fanno tribolare, ma tiriamo avanti, perché il cuore è buono, la voce è ancora forte, l'appetito non manca... E allora? Ringrazio il Signore!

E colgo l'occasione per ringraziarvi del vostro ricordo e preghiera e anticiparvi i miei più fervidi e fraterni auguri di Buon Natale e un Nuovo Anno pieno di sogni e realizzazioni.

Un forte “abraço” e salutoni a tutti voi: Sacerdoti, Suore, parenti e amici.

Dal vostro vecchio missionario, frei Narciso Baisini.



di tutto un po'

Di chi è il nostro consultorio?

La mia pigrizia è consolidata e in famiglia è anche ben conosciuta, ma la fine carità di alcuni che non cessano di essermi amici, mi obbliga ad uscire dal michelassismo in cui consumo i miei giorni. Quindi sono contento di essere stato costretto a scrivere sul Consultorio Familiare G. Tovini.

La navigazione del consultorio nel mare della storia dell'umanità non si è fermata. Il vento che spinge la nostra navicella si mantiene buono. Arrivano gradevoli testimonianze di fratelli che sono riconoscenti e questo ci sprona a continuare con zelo, qualche voce non gradevole, ma molto gradita, ci obbliga a fare un po' di revisione: non tutte le azzecchiamo.

Qualche voce un po' diabolichina ci sussurra di mollare perché “tanto pochissimi sono i cristiani di Valle Camonica che tramite il portafoglio dicano in modo inequivocabile: noi ci siamo, volete il consultorio? Contata anche su di noi”. Nell'ultima domenica di settembre abbiamo celebrato la giornata del consultorio. Il vecchio Alessandro Manzoni ci direbbe: “fu vera gloria?”, alcuni chiedono “E allora com'è andata? È servito a qualche cosa? Si sono mosse un po' le acque?”, ecc.

Quanto alle offerte pervenute nella giornata abbiamo fatto fiasco, certamente l'evangelico obolo della vedova non ha trovato imitazione, ma quella era esagerata; forse nemmeno le famigerate briciole del ricco epulone hanno trovato grande compagnia; ma tutto questo cosa significa? È vero che non si vive di sola parola di Dio, ma anche di pane e companatico, ma... solo l'insipiente si organizza per il raccolto prima di aver concimato, arato, seminato, diserbato e tutto il resto... poi verrà l'abbondante mietitura. E nel frattempo si borbotta... mentre i furbi se la godono... noi i soliti... Questo ragionare è da insensati come quello della moglie del santo Giobbe di biblica memoria.

A proposito di Bibbia mi pare di aver capito che il manico della storia è nelle mani di Dio e che le opere di Dio non vanno ad arricchire i musei di cose che non servono a nulla. Dio non è il tipo che incassa fallimenti su fallimenti, Lui non ha la testa fra le nuvole, i suoi progetti non sono teorie belle che generano utopie. Il punto è questo: il Consultorio non è opera di uomini e donne, ma è stato indicato dal Vescovo come un'opera di Dio e quindi lasciamo a Lui il compito di tenerlo in vita e vita rigogliosa. Dio non mette mano all'aratro e poi con le braccia conserte si siede a guardare come la storia va a finire.

Come assistente ecclesiastico dico la mia: molti hanno sentito parlare di consultorio nella loro chiesa, durante la santa Messa, molti hanno pregato in quella messa, molti hanno continuato a pregare per il consultorio dopo quella messa, alcuni hanno messo mano al portafoglio, qualcuno ha firmato assegni, non pochi hanno chiesto informazioni. I frutti verranno e abbondanti, la carità, squisita qualifica del popolo di Dio di ogni tempo e luogo, non è assente dal cuore dei cristiani che dimorano in Valle e Deus incrementum dat.

Sinceramente mi aspettavo di più, desideravo un plebiscito dei cristiani, avevamo ben organizzato il risultato molto positivo era assicurato. Il Signore perdoni il mio peccato. Chi sono io per giudicare i centomila fedeli? Chi sono io per pretendere risposte come da bravi soldatini che scattano sull'attenti e dicono “Signor sì”? Signore, forse ho peccato, ho pensato che il mio Consultorio... il mio... ho allungato le mani sul Consultorio del Signore; perdonami Signore, illuminaci Signore. E donami di non fare guai contro i fratelli che fiduciosi, ansiosi, titubanti, demoralizzati, varcano la soglia di questa casa che vuole e deve essere la casa di tutti, perché è la casa del Signore.

Anche tu che stai leggendo puoi fare la tua parte, parte che se tu non fai, resterà sempre mai fatta. Grazie!

Sac. Paolo Ravarini



di tutto un po'

Sfogliatelle napoletane e cannoli siciliani

Alle 4,30 del 25 agosto tutti i 41 partecipanti al tour della Sicilia sono presenti per l'agognata partenza. Qualcuno manifesta timore per gli incendi che stanno devastando il sud e che la televisione continua ad aggiornare facendo crescere il panico, altri temono invece la traversata in nave. Comunque, avendo come guida il nostro grande tour leader, siamo consapevoli del fatto che filerà tutto liscio. Nessun pericolo e cieli tersi ci attendono. In effetti andrà proprio così: di incendi solo un po' di fumo e i cieli così sereni da farci quasi rimpiangere i bei nuvoloni di Borno.

gruppo gita in sicilia

Che sarà una vacanza calda lo capiamo già a Napoli; mentre attendiamo di imbarcarci, il termometro del nostro bus segna 39 gradi. Dopo una lunga attesa saliamo a bordo della motonave Tirrenia, dove ceniamo e andiamo a nanna. L'indomani risveglio brusco per due gitanti che, essendosela presa comoda, quando finalmente escono dalla loro cabina scoprono di essere le uniche ancora a bordo di una nave deserta!

Attimi di panico aggravati dalla scoperta che le uniche scale mobili stanno già imbarcando gente e perciò sono bloccate a bordo! Fortunosamente riescono a farsi bloccare le scale e avventurosamente si precipitano con tutti i bagagli verso l'uscita. La vista del pullman con tutti gli altri a bordo che fan loro dei gestacci e con il nostro Don (avete presente quei cartoni animati nei quali il personaggio arrabbiatissimo ha una nuvoletta nera sopra il capo dalla quale si sprigionano fulmini e scintille? Ecco come si presentava) che non parlava ma il suo sguardo era pieno di parole non proprio “evangeliche”, era al quanto inquietante. Fatto sta che una delle due, preoccupatissima, non vede una grossa pozza d'olio puzzolente e ci finisce dentro con tutto il trolley, infradiciandosi e impuzzolentendosi tutta, tanto che viene relegata in un angolino in fondo al pullman: oltre al danno la beffa.

La guida ci porta a visitare Palermo: la superba Cattedrale, il palazzo dei Normanni, la Cappella Palatina, la chiesa di S. Giovanni degli Eremiti e quella della Martorana ecc. Dopo un ottimo pranzo ci rechiamo a Monreale e ammiriamo gli splendidi mosaici della Cattedrale e del Chiostro.

Il giorno dopo partiamo per Segesta e subito ci sembra di essere tornati in Grecia perché il tempio dorico è identico a quelli che abbiamo visitato lo scorso anno. Proseguiamo per Erice e ci dispiace di non poter rimanere più a lungo in questa bella cittadina medievale che ci incanta per l'atmosfera, che ci porta indietro nel tempo: com'è facile immaginare fieri cavalieri che percorrono le erte stradine e popolano i vetusti manieri.

Nel pomeriggio, sotto un sole cocente (49 gradi) che picchia come il maglio nella fucina, visitiamo la zona archeologica di Selinunte “armati” di cappelli ,ombrelli e ventagli. Che bello salire sul fresco pullman che ci porta ad Agrigento per il pernottamento.

Alla splendida Valle dei Templi visitiamo i templi di Giunone, di Ercole e quello della Concordia, gigantesche vestigia di gloriosi tempi nei quali gli dei intrecciavano relazioni con i mortali. Nel pomeriggio proseguiamo per Piazza Armerina, dove il nostro tour leader si lamenta ad alta voce che “Quella befana della guida non è ancora arrivata!” “ECCOMI!”... lo sorprende una splendida fanciulla che della befana non ha né l'aspetto, né l'abbigliamento Anzi! Tutti, e sottolineo tutti, i maschietti presenti mai come in quel pomeriggio seguiranno da presso le interessantissime spiegazioni della guida che, con voce soffiata, si dilunga nella descrizione degli splendidi mosaici policromi che decorano i pavimenti della stupenda Villa Romana del Casale.

Un po' meno contente noi femminucce ci consoliamo constatando che l'abito della guida non era consono al suo ruolo, con quella scollatura abissale che lasciava ben poco all'immaginazione! Quella notte dormiamo ad Acireale che è davvero una cittadina molto bella, dove poi ci sono dei cannoli veramente deliziosi (vero prof. Rescigno?). Da qui ci muoviamo verso Siracusa, dove il nostro mitico Don officia la S. Messa presso il Santuario della Madonna delle Lacrime. Ammiriamo con commozione il quadretto della Madonnina che nella povera casa dei coniugi Foresta il 29 agosto del 1953 versò vere lacrime. Gli scettici non ci crederanno mai, ma prove inconfutabili hanno attestato che, non essendoci frode, ci si trova davanti a un fatto incredibile e miracoloso.

Poi la guida ci porta a visitare la zona archeologica dove ammiriamo il Teatro Greco, le Latomie, l'anfiteatro romano. Ma è presso l'Orecchio di Dionisio - una grotta enorme dalla strana forma dove c'è un'acustica eccezzionale, simile, se non migliore, di quella del Teatro di Epidauro in Grecia - che per una dimostrazione serviva un volontario, naturalmente dotato di ugola d'oro. Indovinate chi si è offerto? Certo, proprio lui, il nostro mitico Don; reduce dai successi mietuti in Grecia lo scorso anno, si é ripetuto in un'esibizione magistrale che ha strappato applausi scroscianti e ovazioni ai presenti.

Forse era ancora ebbro di successo quando si è perduto sull'isola di Ortigia, cosa assolutamente inconcepibile e inammissibile per un tour leader come lui. Il mattino dopo, svegli come grilli, ci rechiamo a Taormina, splendida città arroccata su un'erta collina. La nostra guida é molto piacevole e dimostra doti teatrali non comuni: ogni cosa descritta da lei assume toni da teatro Greco. Ed é infatti il Teatro la perla di Taormina.

Ci lasciano liberi per il resto della mattinata e ci dedichiamo allo shopping selvaggio con contorno di deliziosi dolcetti di pasta di mandorle. Nel pomeriggio saliamo sull'Etna. Il fascino arcano di questo vulcano che fuma é grande e gli scenari “lunari”, fatti di mari di lava e crateri sono uno spettacolo straordinario.

A tarda sera, dopo i soliti “bagordi”, andiamo a nanna un po' tristi perché la nostra vacanza è quasi terminata. L'indomani saliamo verso Tindari, dove si trova il bel santuario della Madonna Nera, e nel pomeriggio proseguiamo verso Cefalù e poi per Palermo dove ci imbarchiamo per il continente.

Mamma come si balla! Non per la musica ma perché il mare è molto mosso e ci scombussola un po'. Perciò, dopo una frugale cena, andiamo tutti sotto coperta cullati dal beccheggio della nave. Sbarchiamo a Napoli e andiamo a far colazione al famoso Gambrinus (meno noto di quello di Borno però), con le mitiche sfogliatelle, calde calde.

In pullman c'è un velo di tristezza come sempre quando le cose belle stanno per terminare; solo uno di noi é invece felicissimo di tornare sugli ameni monti natii: è da quando siamo partiti che non vedeva l'ora di “sesà so” (tipico idioma bornese traducibile approssimatamente con sospingersi laboriosamente in su) verso la sua amata Borno che (dice lui) quanto a meraviglie non ha nulla da invidiare a nessun altro posto al mondo!

Noi campanilisticamente non possiamo che dargli ragione. Gli ultimi scampoli di viaggio scorrono veloci fra canti da osteria, battute e risate. Sono stati giorni belli e caldi caldi quelli che abbiamo trascorso in Sicilia. Adesso attendiamo con trepidazione che il nostro don Giuseppe ci dica dove intende portarci nel 2008, sperando ardentemente di esserci ancora (a Dio piacendo) per poter gioire delle cose meravigliose che ci sono al mondo e della preziosa compagnia dei nostri compagni di viaggio.

A tal proposito permettetemi una postilla personale, ma devo assolutamente approfittare delle pagine di Cüntómela per ringraziare il mio personal-trainer, medico, omeopata, pranoterapeuta dalle doti eccezionali che mi ha curata con perizia, permettendomi di proseguire il mio viaggio nonostante la brutta caduta: “Grazie di cuore dottor Rescigno, anche a nome dell'altra sua paziente. Le saremo grate in eterno”.

A voi che avete avuto la bontà di leggere il nostro diario di viaggio, auguriamo di poter essere dei nostri l'anno venturo e di potervi divertire come succede sempre a noi.

Dely



di tutto un po'

Ottobre: pellegrinaggio Mariano

Già si sa che l'autunno, oltre che preludio all'inverno, reca con sé un sacco di belle cose: una tavolozza di colori che fa la felicità dei pittori e frutti deliziosi come noci, nocciole, castagne, uva, nespole, cachi e chi più ne ha, più ne metta. Ma uno dei frutti più graditi per Borno é senz'altro il pellegrinaggio mariano che organizza il nostro don Giuseppe e che è talmente apprezzato da veder un centinaio di pellegrini abbandonare per un giorno l'amato paesello per rendere onore a Maria.

Santuario Madonna delle Grazie

Infatti era il dieci ottobre quando siamo partiti per Curtatone. Questo Santuario che si chiama Madonna delle Grazie é veramente insolito, con tutte le pareti adorne di ex-voto di gusto discutibile e di grandi statue che incutono nel visitatore emozioni contrastanti: talvolta di ammirazione, altre di smarrimento e sconcerto. Pensate che, appeso al soffitto, c'è nientemeno che un coccodrillo impagliato, forse a rappresentare la bestia immonda che è il diavolo. Comunque su tutto l'impronta gotica porta note lugubri in questo tempio.

Mentre attendiamo di partecipare alla santa Messa e recitiamo il S. Rosario, da una navata laterale chiusa da un pesante cancello esce una figura diafana, claudicante, talmente pallida da farla sembrare un fantasma uscito dalla sua cripta; è invece il reverendo parroco del Santuario che ci descrive, con dovizia di particolari, la storia di questo tempio che non ha mai visto un'apparizione vera e propria di Maria, ma che qui ha operato innumerevoli grazie a quanti hanno sentito il bisogno di rivolgerLe suppliche.

Nonostante l'aspetto lugubre come la sua chiesa, don Antonio é invece una persona piacevolissima che squisitamente ci informa sugli strani e miracolosi eventi che qui si sono verificati nel corso dei secoli: sono storie di pericoli scampati e di miracoli, di salvezza e redenzione, di lacrime e preghiere.

Come sempre di fronte a fatti inspiegabili si rimane un po' sconcertati, ma chi ha fede è consapevole della straordinaria potenza della preghiera. Le persone che qui hanno portato i loro ex-voto hanno fatto ciò che Gesù ci ha insegnato: bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato.

Dopo la gratificante pausa pranzo andiamo a Mantova dove, presso il Palazzo Ducale, ci attendono ben due guide perché siamo troppo numerosi. Con perizia ci narrano la saga di questa famiglia, poco nobile ma molto danarosa, che praticamente inizia nel sangue con l'uccisione del nobile Passerino che deteneva il potere fino a quel momento; il poveretto, oltre a finire i suoi giorni in modo alquanto improvviso e precoce, viene dai suoi uccisori imbalsamato e conservato come una reliquia nel medesimo palazzo che lo aveva visto proprietario e in buono stato di salute.

I Gonzaga domineranno per secoli fra scandali, omicidi, ladrocini e tradimenti. Fra di loro solo una figura emerge dal fumo nero di quei secoli bui e si eleva nientemeno che all'onore degli altari: San Luigi. Nonostante la vita dei suoi componenti non brillasse per onestà e rigore, i Gonzaga hanno fatto comunque la fortuna dei mantovani e di Mantova che é veramente bella. Ci dispiace solo di non poter visitare l'interno del Palazzo Ducale con gli straordinari affreschi del Mantegna che per fortuna, essendo su muro, non sono stati portati via da quel tal cugino d'oltralpe che di nome faceva Napoleone. Innumerevoli sono le opere d'arte trafugate infatti all'Italia che ancor oggi abbelliscono le pareti del Louvre! La nostra patria é la culla di opere d'arte di valore inestimabile che il mondo intero ci invidia.

Purtroppo è già ora di rientrare e sul pullman ci consoliamo intonando le ultime strofe e recitiamo l'ultimo rosario. Già si scorge la nostra splendida chiesa illuminata che risalta sullo sfondo del cielo di velluto blu: é veramente bella. Per noi non c'è al mondo un'opera così preziosa e cara come lei.

Dely



di tutto un po'

Dieci anni di “AMICI DEL CANTO”

Scrivere del coro è dura! Forse sarebbe meglio cantare, farvi sentire come cantiamo, farvi vedere come i nostri occhi sembrano ballare impazziti per seguire i movimenti delle mani di Tato (come chi? Tomaso Fenaroli... ecco sì... il Maestro), percepire lo sforzo di tenere la nota, senza perdere mezzi toni (guai se sono interi), cogliere il tentativo, più o meno riuscito, di andare assieme, di stare assieme, come un’unica voce fatta di differenti sfumature, tutte ugualmente essenziali.

coro amici del canto

Ecco, forse sarebbe proprio meglio così; di sicuro varrebbe molto più delle poche parole scritte da uno che poi in questo coro ci sta da poco tempo, un paio d’anni o poco più.

Di certo intuireste meglio quel misto di amicizia, dedizione, amore per il bel canto, passione per le nostre canzoni, ma anche curiosità per altri panorami musicali, che ha accompagnato il nostro gruppo in questi 10 anni di canto.

Come detto 10 anni fa non ero presente e quindi non posso confermare, ma la leggenda narra che fu in una baita, in un rifugio bianco di quelli che riempiono le nostre care montagne, che alcuni di noi decisero di ridare sfarzo alla tradizione corale del nostro paesello.

Sicuramente so che furono una sana amicizia, il ricordo dei bei momenti passati insieme nel coro “Pizzo Camino” e la volontà di rendere memoria al caro amico defunto Gim a spingere alcuni di noi a fondare il gruppo e a chiamarlo “Amici del Canto”.

Amici miei venite qui cantate insieme a me…” Un buon numero di persone hanno risposto all’invito, primo tra tutti il nostro maestro Tomaso Fenaroli che, da allora, si è fortemente impegnato per far sì che le quattro sezioni che compongono il nostro coro potessero amalgamarsi sempre meglio e proporre un repertorio sempre più ampio e vario.

In questi dieci anni molti sono stati i lunedì sera passati in compagnia tra vocalizzi, stonate, sincopi e strofe ripetute innumerevoli volte, ma anche tra mangiate, bevute, risate e festeggiamenti: tutte cose che ci han permesso di essere sempre più amici tra no oltre che del canto.

Per quanto riguarda poi l’aspetto prettamente canoro, il nostro repertorio si è via via ampliato ed oggi conta più di 50 canzoni di differente genere.

Per una buona parte di esse è debito ringraziare il maestro De Marzi che, con il suo coro “I Crodaioli”, ha fatto e sta facendo la storia del canto popolare cosiddetto “di montagna” e ha messo a disposizione di tutti gli altri cori un vasto repertorio di canti.

Negli ultimi anni, grazie all’impegno di tutti, si è iniziato anche a spaziare in altri panorami musicali e a scontrarci con altre lingue come l’inglese e lo slavo, con grande soddisfazione nostra e, così sembra, anche del pubblico che assiste alle nostre esibizioni.

Ormai i muri della nostra sala prove sono quasi del tutto riempiti dai ricordi di molte esperienze fatte insieme; rassegne, sfilate, celebrazioni, feste non si contano ormai più, ma lo spirito di noi coristi è rimasto sempre quello di un umile gruppo di amici cui piace cantare assieme e, se possibile, allietare chi ci ascolta.

Ascoltarci! Ecco che ritorno al punto di partenza... Queste mie poche frasi non potranno mai bastare per capire gli “Amici del Canto”; bisogna vederci e sentirci cantare... qualche nota può fare molto più di molte parole!

Le occasioni nel nostro decimo anniversario saranno molte: non fatevele scappare!!!

Valerio A.



di tutto un po'

Tempo di bilanci? GS promosso a pieni voti

Si sa, durante il periodo natalizio un po’ per tutti è tempo di bilanci: ci si guarda indietro e con più o meno sincerità ci si trova, alle volte inconsapevolmente, a darsi un giudizio. Anche per il G. S. Borno è tempo di guardarsi alle spalle: si è conclusa a giugno una stagione brillante da ogni punto di vista ed i lavori, dopo la pausa estiva, sono ripresi a pieno ritmo.

pallavolo
under 10 pallavolo

squadra di calcio
under 12 calcio

squadra di calcio
top Junior calcio

Il taglio del nastro del nuovo corso targato 2007-2008 è stato fatto solo pochi mesi fa ma già è possibile tracciare un breve bilancio della stagione. All’attivo, tra calcio e pallavolo, sotto il timbro della società bornese figurano oggi quasi 150 atleti. Numeri importanti figli di un nutrito staff dedito al gruppo e allo sport. Atleti suddivisi in 5 squadre di pallavolo e 4 squadre di calcio: 9 formazioni che si destreggiano tra il campionato locale di CSI ed i campionati provinciali di federazione. Un gruppo solido costruito su notevoli sforzi organizzativi ed economici.

Alla base della società infatti obiettivi concreti figli di tanto impegno e di un pensare comune: il gruppo ha finalità ben precise ed è volto alla valorizzazione dello sport inteso come un mix che racchiude impegno, divertimento e sano spirito sportivo. Il presidente del sodalizio, Cesare Piccoli, da 3 anni a questa parte ha rinnovato il movimento, convinto che stimoli sempre nuovi e sempre diversi siano alla base della passione che distingue i ragazzi che fanno e amano lo sport. Per questo il gruppo da qualche anno promuove non solo la mera attività sportiva intesa come semplice campionato, ma coinvolge attivamente i giovani tesserati in attività extra che hanno portato e continuano a portare nei gruppi nuova e rinnovata vitalità.

Tra le tante proposte spicca sicuramente la trasferta a Igea Marina in occasione di un torneo di beach volley: sole, mare, divertimento e tanta, tantissima pallavolo. Quattro giorni che si ripeteranno puntualmente anche quest’anno in occasione del 25 aprile. Ma il GS non si ferma certo qui: ogni anno trasferte coinvolgenti sono senz’altro in occasione delle partite di serie A che vedono sugli spalti tifosi e tifose e l’immancabile tappa a Gardaland in occasione della chiusura dell’attività a giugno: quest’anno i pullman partiti da piazza mercato sono stati addirittura 4, un record senza precedenti. Il tutto si aggiunge alle classiche ma pur sempre partecipatissime cene sociali in occasione del Natale e della chiusura dell’anno sportivo.

Tutto frutto, ancora una volta, di una dirigenza attenta alle esigenze dei sui atleti e fortemente convinta del valore aggiunto che le piccole e grandi trasferte portano nelle singole squadre e nel gruppo intero. Oltre ai bilanci, positivissimi, è anche tempo di ringraziamenti per tutte quelle persone che operano dietro i riflettori di tutte le squadre: un grande grazie dunque alla dirigenza tutta, agli importantissimi ed indispensabili sponsor, all’Amministrazione Comunale ed ai genitori degli atleti.

Ma il grazie più grande è doveroso nei confronti di chi costituisce l’anima della società, alle attivissime “pedine” di un gioco impegnativo e divertente che è lo sport: ragazzi, i campionati sono appena cominciati, vi aspetta un anno che speriamo possa essere per voi ricco di soddisfazioni e traguardi importanti. È questo il desiderio più grande che il GS ha chiesto a Babbo Natale di esaudire... ora spazio ai vostri piedi ed alle vostre mani: buon divertimento e Buone Feste!

Claudia Venturelli


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