Parrocchia san Giovanni Battista - Borno

Archivio Cüntómela

cuntomela Pasqua 2025

Pasqua 2025

Carissimi tutti,
Pasqua festa della speranza
Varcare la soglia della speranza
ABBIAMO CELEBRATO... Almanacco delle comunità
La BIBBIA: Lettere di san Paolo (Prima parte)
Luoghi e simboli della liturgia: il Tabernacolo
Io spero nel Signore... LA PAGINA DEL SALMO
Il Cantico delle creature
Incontri formativi per diventare sempre più un “noi”
La comunità di Borno e il santuario di Ardesio: un voto che si rinnova nel tempo
Quarant'anni di Cüntòmela
Triduo dei Morti: una tradizione che continua
Tridui: un'espressione profonda della nostra fede
Un parco giochi per i nostri ragazzi con l'impegno di tutta la comunità
La benedizione degli animali
Carnevale: momento di festa, colori, allegria e unione
Testimonianza e provocazioni da un missionario in Costa d’Avorio
Siamo esseri incompiuti e quindi speranzosi
Sempre aperte
I barattoli delle emozioni: un percorso pilota sull’alfabetizzazione emotiva
La speranza in J.S. Bach
Battesimi
Prepararsi alla vita
Anniversari di matrimonio
Morti in Cristo


Cuntomela Pasqua 2025 Cuntomela Pasqua 2025


Carissimi tutti,

l’autore francese Charles Peguy, in una sua opera degli inizi del ‘900, immagina le tre virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, come tre sorelle che si tengono per mano. Quella al centro, tra le due adulte, è una bambina.

Viene rappresentata così perché di lei in genere si parla meno ed è meno conosciuta, ma anche perché, diversamente dalla Fede e dalla Carità, che attendono all’oggi, la Speranza è protesa verso il futuro. Nell’incedere delle tre sembra che la bambina sia portata avanti dalle due sorelle più grandi, mentre ad uno sguardo più attento si nota che è la vivacità della piccola a portare avanti il cammino delle altre due.

Mi ha sempre colpito questa immagine, perché spesso tentiamo di definire la Speranza, di fatto racchiudendola in contorni e limiti. Credo che l’approccio invece debba essere meno invasivo, un po’ come quello di un adulto che si approccia ad un bambino dove a prevalere è il sentimento, lo stupore per una realtà che sorprende e riempie di meraviglia. È vero definire la Speranza con i termini “Virtù teologale” risuona come qualcosa di statico, dogmatico, ben definito e immutabile e invece niente come la Speranza lascia spazio a stupore bellezza, meraviglia e cura.

Credo inoltre che la Speranza più che essere definita vada coltivata. È il nostro vescovo a ricordarcelo: ha voluto intitolare “Siamo la chiesa del Signore” la lettera in cui annuncia la sua visita alle zone pastorali della nostra diocesi in occasione dell’anno giubilare e subito dopo, nel sottotitolo “Vogliamo essere tessitori di Speranza”, ci ricorda che la seconda virtù teologale richiede la pazienza e l’attenzione che ha un tessitore nel comporre la sua opera. I vari fili posti e intrecciati con ordine e sapienza diventano un tessuto.

Cuntomela Pasqua 2025

Così ogni cristiano, ogni uomo o donna, deve lasciarsi guidare da Dio, impegnarsi a porsi nelle Sue mani e ad essere con la sua vita, con i suoi comportamenti, con il suo modo di guardare la realtà filo, trama di speranza.

Il logo del Giubileo 2025 rappresenta cinque persone stilizzate che si abbracciano l'una dietro all’altra. La prima è aggrappata alla croce fusa in basso con un’ancora - da sempre simbolo della speranza - i cui tipici uncini sembrano fermare i flutti delle onde, il male che vuole sommergerci. È la croce di Cristo la nostra Speranza. Nemmeno i cristiani sono risparmiati dalle onde e dalle tempeste, ma insieme nella croce del Signore Gesù trovano il punto di riferimento.

Auguro a ciascuno di noi in questa Pasqua e in questo anno giubilare, non tanto di cercare concetti per definire che cosa è la speranza, ma di ritrovarla dentro il cuore come la freschezza che trasforma e ci spinge verso il futuro.

Auguro a voi e a me di essere tessitori di speranza nelle scelte e negli atteggiamenti.

Come cristiani non siamo esenti da difficoltà e tribolazioni, ma chiamati insieme a guardare a Colui che è la nostra Speranza: il Cristo risorto! Lui insieme a noi, accanto a noi, dentro di noi da senso pieno alla storia e al mondo.

Buona e santa Pasqua

e buon cammino giubilare

Vostro don Paolo

Preghiera del Giubileo

Padre che sei nei cieli,
la fede che ci hai donato nel
tuo figlio Gesù Cristo, nostro fratello,
e la fiamma di carità
effusa nei nostri cuori
dallo Spirito Santo,
ridestino in noi, la beata speranza
per l’avvento del tuo Regno.
La tua grazia ci trasformi
in coltivatori operosi
dei semi evangelici
che lievitino l’umanità e il cosmo,
nell’attesa fiduciosa
dei cieli nuovi e della terra nuova,
quando vinte le potenze del Male,
si manifesterà per sempre la tua gloria.
La grazia del Giubileo
ravvivi in noi Pellegrini di Speranza,
l’anelito verso i beni celesti
e riversi sul mondo intero
la gioia e la pace
del nostro Redentore.
A te Dio benedetto in eterno
sia lode e gloria nei secoli.
Amen

Cuntomela Pasqua 2025


Pasqua festa della speranza

Don Raffaele

Stiamo vivendo il Giubileo 2025, il Giubileo della speranza! La speranza, la più piccola tra le virtù teologali, stretta tra le due sorelle maggiori, la fede e la carità, sembra quasi scomparire ma in realtà è lei, Ia sorella minore che trascina le due sorelle che appaiono un po’ stanche e demotivate. Perché, come dice Papa Francesco nella Bolla che introduce il Giubileo, “la speranza non delude, la speranza non viene mai meno”. Alimentata dalla fede, vive della carità e ci apre a ciò che ci attende alla fine del cammino: la vita eterna.

La Pasqua che celebriamo è il simbolo, la festa della speranza! Cristo il Risorto è Colui che esaudisce la speranza dell’umanità: quella di vivere bene, in pienezza, per sempre senza più i limiti che appesantiscono la nostra vita. Forse abbiamo provato nella vita quell’attimo di gioia piena, di gioia talmente grande da avere la tentazione di dire: se quest’attimo durasse per sempre! E invece è subito passato. La speranza che ci viene dalla Pasqua è quell’attimo di gioia che dura per sempre e in pienezza. Questo è il dono della Pasqua, questa la sorpresa: un regalo che non si può comprare, ma che è solo dono.

Permettetemi una provocazione. Ci accorgiamo che si sta preparando la Pasqua? Certo, da giorni, se non da mesi i supermercati ce ne parlano. Scomparsi i panettoni e i vari addobbi natalizi, ecco che sugli scaffali compaiono i segni commerciali della Pasqua, le uova e le colombe (non so se Trump ha messo i dazi anche sulle colombe, ma effettivamente hanno dei prezzi da spavento!) Ma i cristiani si sono preparati alla Pasqua nel senso vero, profondo della fede? Mi pare che il numero di presenze alla Messa feriale e festiva e alle varie funzioni non sia aumentato e non vedo un grosso impegno, almeno all’esterno. Qualcuno si è preparato sicuramente con serietà, ma la maggioranza dei battezzati non sa cosa è la Quaresima, non sa quando inizia e quando finisce, non sanno cos’è la Settimana santa o il Triduo pasquale: l’analfabetismo religioso si diffonde sempre di più, abbiamo tanta ignoranza su ciò che riguarda la fede e la Chiesa....

PASQUA, festa della speranza abbiamo detto. Proviamo ad approfondire un po’ il messaggio di speranza che ci viene offerto.

PASQUA: CRISTO È RISORTO! Noi lo diciamo in modo automatico senza pensarci molto, ma la prima volta che gli Apostoli hanno proclamato questa affermazione hanno lasciato le persone a bocca aperta come è successo per altri fatti accaduti nella nostra storia (pensiamo ad esempio al primo passo dell’uomo sulla luna il 21 luglio 1969: abbiamo tutti compreso che la storia dell’umanità era cambiata).

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Cristo è Risorto! Un annuncio che ha cambiato la vita degli uomini e la direzione della storia! È l’annuncio fondamentale, essenziale del cristianesimo, un annuncio di gioia e di vita. È la novità assoluta, è la notizia sconvolgente. È il compimento delle speranze del mondo, della nostra speranza nella vita nuova.

Ma in tutto questo ci deve essere un cammino che prevede un cambiamento: la fede nel Cristo Risorto non è facile, non diciamo che è impossibile ma potremmo dire che è faticosa.

La fede non è mai facile, ma soprattutto la fede Pasquale è difficile. Lo vediamo negli Apostoli che di fronte all’annuncio delle donne restano stupiti e increduli e corrono a verificare.

Sì, la tomba è vuota e il sudario ben ripiegato a parte, la pietra è stata rotolata via ma cosa è successo realmente? Perché nessuno ha visto la Resurrezione di Gesù? Alcune persone lo hanno visto risorto, ma nessuno in quella notte ha visto la pietra rotolare via e Gesù uscire dal sepolcro.

Unica vera testimonianza è la tomba vuota e questo crea dubbi, le persone cominciano a ventilare delle obiezioni alla Resurrezione. Tomba vuota, sì perché qualcuno ha rubato il cadavere. Una diceria dura a morire come ci riferisce l’evangelista Matteo che fa dire alle guardie: “mentre noi dormivamo sono venuti i discepoli e hanno rubato il corpo”.

Altri sostengono che Gesù non era realmente morto ma solo addormentato, una morte apparente. È uscito dal sepolcro e ha cominciato a passeggiare incurante della corona di spine, della flagellazione, dei chiodi che gli hanno trafitto mani e piedi, della ferita causata dalla lancia: veramente miracolosa l’aria del sepolcro!

Alcuni, ancora più maligni, dicono che gli Apostoli hanno organizzato l’imbroglio più grande della storia: fatto sparire il corpo di Gesù, hanno detto che Lui era risorto e hanno fondato la Chiesa e il Vaticano e da secoli tengono in piedi questa organizzazione mafiosa che produce tanti bei soldi per il Papa e i cardinali. Si potrebbe ridere, ma vi assicuro che ci sono persone istruite e che hanno studiato che credono a queste baggianate.

Concludo questa riflessione un po’ a piede libero sottolineando che la Pasqua è la festa della speranza, perché il Cristo Risorto ha cambiato la storia e ci fa vedere, ci dona un paesaggio nuovo. Con la Pentecoste capiremo meglio la grandezza della speranza della Pasqua, perché la salvezza viene data non solo agli Ebrei ma a tutto il mondo di ogni luogo e di ogni tempo. E allora, risorti con Cristo cerchiamo le cose di lassù! Lo sguardo pieno di speranza ci aiuti e ci guidi nel cammino faticoso della fede.

A nome di tutti i sacerdoti dell’Altopiano del Sole davvero auguri di una Buona Pasqua piena di speranza!

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Varcare la soglia della speranza

Card. Giovanni Battista Re

È questo il titolo di un libro di Papa Giovanni Paolo II, che nel suo ricco significato ci dice anche che attraversare la Porta Santa del Giubileo è un varcare la porta che ci infonde speranza, perché ci porta a liberarci dai pesi che in fondo all’anima ci rendono inquieti ed a migliorare i nostri rapporti con Dio, Padre che ci ama e desidera il nostro bene.

Per Dio il Giubileo è occasione di una più larga ed amorevole offerta di misericordia, di perdono e di grazie.

Per noi, uomini e donne del terzo millennio, il Giubileo è richiamo ad un risveglio spirituale ed è invito a mettere a posto gli affari della nostra anima recuperando la pace del cuore.

Il Giubileo è una chiamata a fare una pausa in cui, davanti a Dio, esaminiamo in modo obiettivo la nostra vita e saldiamo le pendenze con Dio, così che, quando busseremo alla porta del Paradiso, questa si spalanchi subito.

È un evento spirituale caratterizzato dall’invito al ricorso alla misericordia di Dio per ottenere il perdono dei peccati e per conseguire anche l’indulgenza, che ci purifica dalle tracce lasciate in noi dal male compiuto.

Un passo essenziale del Giubileo è la confessione sacramentale che dobbiamo vedere come l’incontro con Dio che ci attende, desideroso di donarci il suo perdono; desideroso di distruggere i nostri peccati e di permetterci di guardare al nostro passato come a qualche cosa di perdonato e, così, iniziare un nuovo cammino.

Dobbiamo considerare la confessione come le braccia aperte del Padre celeste che ci attende per abbracciarci così come il padre, nella parabola del figliuol prodigo, corse incontro a quel suo figlio che aveva sbagliato e lo abbracciò con gioia e invitò tutti a fare festa.

Dostoevskij, grande romanziere russo, quando si trovò in fin di vita e con i figli attorno al suo letto, chiese alla figlia più piccola di leggergli la parabola del figliuol prodigo. Quando nella lettura la figlia arrivò al passaggio in cui il padre della parabola accoglie con gioia il figlio sbandato, Dostoevskij ruppe il silenzio e disse: “prima di morire voglio lasciarvi come ricordo che abbiate sempre la certezza che Dio non solo perdona, ma gioisce nel perdonare, come il padre della parabola nell’accogliere il figlio che era ritornato a casa”.

Dio è un Padre che rispetta il nostro libero arbitrio e che lascia a noi la scelta di vivere nel suo infinito amore, oppure di allontanarci da lui percorrendo strade sbagliate. Non costringe nessuno, ma, quando sbagliamo, ci attende sempre col cuore aperto per donarci il suo perdono, qualunque sia la condizione in cui ci troviamo.

Il Giubileo è una occasione da non perdere. Non possiamo far ricorso alla scusa della lontananza della Porta Santa da attraversare. Per trovare la Porta Santa non è necessario fare un lungo viaggio in treno o in aereo. Per chi abita nell’Altopiano del sole, la trova a due passi: nella chiesa del Convento dell’Annunciata. La chiesa del convento dei Cappuccini dell’Annunciata è stata scelta dal Vescovo di Brescia come il santuario in Valle Camonica in cui si può acquistare l’indulgenza giubilare. Inoltre all’Annunciata si trovano bravi Padri Cappuccini sempre disponibili a confessare, a qualsiasi ora, e godono fama di avere le maniche larghe come quelle del Beato “Fratasì de Bers”.

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ABBIAMO CELEBRATO...
Almanacco delle comunità

Domenica 8 dicembre
In chiesa parrocchiale a Borno Elevazione Spirituale “Quale bellezza salverà il mondo” con le riflessioni a cura di padre Massimo Taglietti, e con la partecipazione dei cori “Made in smile”, “Amici che cantano”, “Laeti Cantores”.

Domenica 15 dicembre
Presentazione dei Cresimandi e dei Comunicandi. Benedizione al Bambin Gesù del presepio e Natale dello sportivo.

Venerdì 20 dicembre
PARALITURGIA DEL NATALE Presepio vivente del Giubileo con le classi di catechismo di tutta l’unità pastorale.

Domenica 22 dicembre
S. Messa sul Monte Arano con il C.A.I.

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Domenica 24 dicembre
PRESEPIO VIVENTE itinerante a Ossimo Inferiore.

Domenica 5 gennaio
PRESEPIO VIVENTE nell’abitato di Sommaprada di Lozio.

Lunedì 6 gennaio
“Epifania del Signore” Preghiera e bacio a Gesù Bambino.

Domenica 26 gennaio
FESTA DI SANT’ANTONIO a Ossimo Superiore: S. Messa, benedizione degli animali e del sale sul sagrato.

Domenica 26 gennaio
“San Giovanni Bosco” S. Messa solenne a Borno.

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Domenica 2 febbraio
Giornata nazionale per la vita “Trasmettere la vita speranza per il mondo” Santa Messa solenne per le famiglie dei bambini nati nel 2024 di Borno, Ossimo Inferiore e Ossimo Superiore. Candelora.

Lunedì 3 febbraio
“San Biagio” Benedizione della Gola.

Martedì 11 febbraio
“Beata Vergine Maria di Lourdes” Giornata mondiale del malato. Santa Messa nelle case di riposo di Borno e Lozio.

Domenica 23 febbraio
Carnevale a Borno.

Domenica 2 marzo
Carnevale a Ossimo.

Dom 2 - lun 3 - mar 4 marzo
TRIDUO DEI DEFUNTI a Borno Ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Massimo Taglietti, dei Frati minori cappuccini di Lovere.

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Ven 7 - sab 8 - dom 9 marzo
TRIDUO DEI DEFUNTI a Ossimo Superiore Ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Piergiacomo Boffelli, Frate Cappuccino del convento dell’Annunciata.

Mercoledì 19 marzo
"San Giuseppe" FESTA DEL PAPÀ a Borno: ore 20.00 S. Messa e rinfresco in oratorio.

Ven 21 - sab 22 - dom 23 marzo
TRIDUO DEI DEFUNTI a Ossimo Inferiore Ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Massimo Taglietti, dei Frati minori cappuccini di Lovere.

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Incontri Quaresimali
PER GLI ADULTI Centri di ascolto a Borno, Ossimo Inferiore e Lozio.
PER I RAGAZZI Buongiorno Gesù, preghiera al mattino davanti alla scuola elementare di Borno e di Ossimo Inferiore.

Dal 6 al 9 aprile
GIORNATE GIUBILARI nelle parrocchie “SS. Pietro e Paolo” e “SS. Nazaro e Celso” in Lozio.

Martedì 8 aprile
VIA CRUCIS interparrocchiale per le vie del paese da Laveno a Sommaprada per tutte le Parrocchie dell’Unità Pastorale.

Venerdì 11 aprile
Para-liturgia vivente della VIA CRUCIS per le strade di Borno, animata dai ragazzi del catechismo.


Che la luce della Resurrezione di Cristo riempia il vostro cuore di pace, amore e speranza.
Buona Pasqua!

Don Paolo, Don Stefano
Don Raffaele, Don Cesare
Don Angelo

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La BIBBIA: Lettere di san Paolo (Prima parte)

Luca Dalla Palma

Le Lettere nel Nuovo Testamento sono ben 21, di cui 13 scritte dall'apostolo Paolo. È interessante notare che quelle più antiche furono scritte prima della stesura dei Vangeli. Esse avevano uno scopo essenzialmente pratico, e per questo motivo sono un ottimo modo per comprendere le caratteristiche delle chiese e dei cristiani dei primi tempi. In queste lettere troviamo la discussione di problemi dottrinali e morali, le indicazioni necessarie per riportare ordine e chiarezza nelle comunità di cristiani sparsi dell'area mediterranea e il profondo desiderio di supportarli spiritualmente nel loro cammino con Dio. Le lettere scritte dall'apostolo Paolo sono quelle ai Romani, ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, ai Tessalonicesi; a queste si aggiungono le lettere comunemente chiamate pastorali scritte a Timoteo e a Tito e la lettera personale a Filemone. Le ulteriori lettere presenti nel Nuovo Testamento sono ad opera di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda. Soltanto la lettera agli Ebrei è di dubbia attribuzione.

La Lettera ai Romani – A Roma si era formata abbastanza presto una comunità cristiana, composta da credenti sia ebrei sia di origine pagana. La Bibbia non ci dice come il messaggio del Vangelo sia arrivato nella capitale dell’Impero. Molto probabilmente ci fu qualche ebreo residente a Roma che si era convertito in conseguenza alla predicazione apostolica avvenuta il giorno di Pentecoste. Ricordiamo che per le grandi feste ebraiche gli appartenenti a questo popolo erano soliti venire a Gerusalemme per poi ritornare alle loro città. Paolo aveva ricevuto notizie della comunità romana dai cristiani Aquila e Priscilla i quali, come tutti gli altri ebrei, furono espulsi da Roma dall’imperatore Claudio. Al termine del suo terzo viaggio missionario, verso l’anno 58, Paolo cominciò a pianificare di recarsi in Spagna, includendo una visita a Roma, come leggiamo nell’ultimo capitolo di questa lettera (15,23).

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Nei primi 5 capitoli, Paolo affronta l’argomento dell’universalità del peccato: tutti hanno peccato, ma Dio giustifica ogni uomo per la fede che egli mette in Gesù Cristo, e non per le opere che compie. Siamo stati riconciliati con Dio grazie al sacrificio di Cristo, la condanna che pendeva sulle nostre teste si è abbattuta su Gesù: Lui ha pagato al posto nostro e noi, se accettiamo questo “scambio”, possiamo ricevere la grazia. Questo è il messaggio del Vangelo!

Al capitolo 6, Paolo spiega che la grazia di Dio non autorizza il credente a vivere nel peccato, cioè in contrasto con ciò che piace a Dio; anzi, chi crede in Cristo è una nuova creatura e, in quanto tale, si comporterà in maniera coerente con la sua nuova posizione: questo processo viene chiamato santificazione.

Al capitolo 7, l'apostolo chiarisce il ruolo della legge mosaica, che fu data da Dio al popolo di Israele per far comprendere all'uomo la sua incapacità di osservarla e di “santificarsi” attraverso di essa. Gesù fu l'unico uomo in grado di osservarla in ogni suo aspetto.

Così arriviamo al capitolo 8, dove Paolo introduce il tema della guida dello Spirito Santo nella vita del credente.

I capitoli da 9 a 11 si riferiscono a Israele, il popolo depositario delle promesse divine. L’allontanamento d’Israele dalla presenza di Dio è temporaneo, ma verranno i giorni in cui tutto Israele sarà salvato.

Dal capitolo 12 fino alla fine della lettera, l’apostolo tratta dei vari aspetti della vita cristiana: i cristiani devono amarsi a vicenda, rispettare le autorità costituite, devono aiutare chi è debole nella fede, ricercando la pace e l’edificazione reciproca. Il capitolo 16 si conclude con i saluti.

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Luoghi e simboli della liturgia: il Tabernacolo

Don Stefano

Il popolo di Israele, partito per un lungo viaggio di circa quarant’anni verso la terra promessa, guidato da Dio, raggiungere quella terra dove scorre latte e miele e nella quale si trova un luogo di libertà. In tutto questo viaggio il popolo dell’alleanza è sempre protetto da una nube, che indica la continua presenza di Dio e la sua sicura protezione. Durante il viaggio il popolo si accampa per il riposo e per rifocillarsi con la manna caduta dal cielo per opera di Dio e in questo frangente non può mancare l’arca contenente le tavole delle legge. Questa si trova nella tenda del convegno, luogo in cui avviene l’incontro di Mosè con Dio, il Signore, che ha liberato il suo popolo dalla condizione servile per donargli un territorio caratterizzato da libertà e da prosperità, secondo la promessa fatta ad Abramo.

Al popolo viene comandato di costruire un tabernacolo, ovvero un contenitore che secondo la credenza ebraica era il luogo della vera presenza di Dio, la tenda veniva issata nel mezzo dell’accampamento, simboleggiando la presenza di Dio sempre al centro del suo popolo. Il libro dell’Esodo riprende in forma dettagliata il comando di Dio verso il suo popolo, attraverso il profeta Mosè: «Il Signore parlò a Mosè dicendo: Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi» Es 25,8-9.

Segue la costruzione dell’Arca: «Faranno dunque un'arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d'oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d'oro. Fonderai per essa quattro anelli d'oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull'altro. Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d'oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell'arca per trasportare con esse l'arca. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell'arca: non verranno tolte di lì. Nell'arca collocherai la Testimonianza che io ti darò».Es 25,10-16.

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Possiamo considerare che la presenza di Dio è fondamentale dall’inizio della storia dell’alleanza e che possiede grande rilevanza sia nel tempo, sia nello spazio, così come dice san Giovanni: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo al loro» Gv 1,8.

La chiesa intesa come edificio non è stato un luogo sempre presente nella storia del cristianesimo. I primi cristiani all’inizio della loro missione, per spezzare il pane e per condividere l’agape si ritrovavano all’interno delle case, nelle domus romane e nelle catacombe. Dice il Signore: «Dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro» Mt 18,20. Infatti non è tanto il luogo come edifico che identifica il cristiano, quanto la comunità celebrante che rende e dona al luogo (ogni luogo) onore e dignità. Per questo non possiamo separare il significato autentico della comunità dal luogo in cui essa celebra.

Per noi cristiani il tabernacolo, che letteralmente significa “luogo di dimora”, è luogo di custodia, lo spazio della chiesa, particolare e caratteristico, dove si conserva le presenza di Dio nella specie Eucaristica del pane consacrato. Non più come gli Israeliti che conservavano nell’arca oggetti che richiamavano la passata memoria dell’alleanza, ma la vera presenza, il vero memoriale sempre attuale di Cristo, il figlio di Dio che ha donato se stesso per la salvezza di tutti gli uomini.

I prenotanda dei libri liturgici parlano del tabernacolo come “quel luogo destinato alla custodia dell’Eucarestia e che richiama alla mente sia la presenza del Signore, che deriva dal sacrificio della s. Messa, sia i fedeli, che dobbiamo amare nella carità di Cristo. La Chiesa infatti nel dispensare i sacri misteri a essa affidati da Cristo Signore, provvede anzitutto alla conservazione dell’Eucarestia per gli infermi e i morenti. Questo cibo, riposto e custodito nelle chiese è adorato dai fedeli”.

Significativo è il riferimento alla custodia per esigenze di tipo spirituale e sacramentale, come la particolare attenzione al viatico per i moribondi e l’Eucarestia per i malati, tradizionalmente portata a questi ultimi il primo venerdì del mese. Il tabernacolo è anche il luogo privilegiato per l’adorazione e la venerazione da parte dei fedeli, che santificano la loro vita attraverso la preghiera devota e pia stando davanti al Signore, così come viene raccontato da San Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, in un suo incontro personale: “un contadino che tutte le sere, alla stessa ora, entrava solo soletto nella chiesa della sua parrocchia, si sedeva nell’ultimo banco… e guardava fisso il tabernacolo. Stava lì fermo in silenzio per lungo tempo, non aveva libri di preghiere perché non sapeva leggere, né corona di Rosario. Incuriosito dal singolare comportamento di quell’anziano contadino, san Giovanni Maria Vianney una sera gli si avvicina e gli chiede: «Buon uomo, ho osservato che ogni giorno venite qui alla stessa ora e nello stesso posto. Vi sedete e state lì. Ditemi: cosa fate?». Il contadino, scostando per un attimo lo sguardo dal tabernacolo, rispose: «Nulla, signor parroco…. io guardo Lui e Lui guarda me!»”.

Il tabernacolo è contraddistinto da una distinta e nobile semplicità e da particolare decoro, come tutta la liturgia romana cattolica. Dev’essere inamovibile e solido, come la roccia, e ben chiuso per evitare il pericolo di profanazione. Per segnalare che nel tabernacolo è presente la specie Eucaristica, è collocata accanto ad esso una lampada a olio o a cera alimentata perennemente. Sopra il tabernacolo è presente il conopeo che letteralmente significa “zanzariera”: è una copertura in tessuto rimovibile, generalmente realizzato in , o di colori diversi in riferimento al tempo liturgico.

Cuntomela Pasqua 2025

Nelle nostre comunità le chiese parrocchiali possiedono tutte la presenza Eucaristica e tabernacoli con particolari porticine graziosamente decorate. La porticula in argento del tabernacolo della parrocchia di Borno, realizzata con la tecnica a sbalzo e a cesello (bassorilievo), è molto pregevole e simbolica. Raffigura il momento nel quale Gesù è nell’orto degli ulivi con Pietro, Giovanni e Giacomo e riceve da un angelo il calice, anticipando la Passione che da li a poco avrebbe vissuto; è un collegamento preciso all’ultima cena appena avvenuta e il sacrifico sulla croce. All’interno del tabernacolo sul fondale rivestito in ottone, troviamo un altra rappresentazione: l’ostia consacrata, il simbolo Eucaristico per eccellenza adorno di spighe e grappoli d’uva. Anticamente prima della sistemazione attuale, questo pannello era la porticina ordinaria del tabernacolo, mentre l’attuale porta veniva collocata per le solennità.

Il tabernacolo della chiesa parrocchiale di Ossimo Inferiore, presenta la figura trionfale del Risorto, con la bandiera della vittoria. È stato offerto da alcuni Ossimesi.

A Ossimo Superiore richiamando l’altare maggiore “organizzato teologicamente“ con riferimenti all’Eucarestia, la porta del tabernacolo presenta il calice e l’ostia nella gloria del cielo.

A Lozio vi sono molte chiese, ma i tabernacoli della chiese parrocchiali di S. Nazzaro e di Villa, sono anch’essi teologicamente orientati all’Eucarestia, raffigurando l’ostensorio, l’espositore proprio dell’Ostia magna consacrata.

Attraverso la riflessione proposta, ci possiamo augurare di riscoprire l’importanza della preghiera personale e comunitaria dinnanzi al tabernacolo, luogo privilegiato per la presenza vera e reale di Cristo al centro della comunità cristiana.

In tutte le nostre chiese il tabernacolo è collocato presso l’altare maggiore ed è al centro della chiesa, li è il mistero che vogliamo sempre più interiorizzare in questo anno giubilare che ci invita ad essere pellegrini di speranza, portando a tutti la gioia di aver incontrato, assimilato e custodito nel proprio cuore il Signore Gesù Eucarestia.

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Io spero nel Signore...
LA PAGINA DEL SALMO

Insieme al 22 (Il Signore è il mio pastore...) è forse il salmo più conosciuto. Imparato a memoria (magari in latino) da molte delle nostre nonne come preghiera per i morti, nelle situazioni più difficili invoca perdono, speranza, attesa, prospettive continuamente richiamate in questo anno giubilare.


Il Salmo 130, di appena otto versetti, cinquantaquattro parole in tutto in ebraico, è un salmo molto denso che tocca vertici teologici e spirituali. È conosciuto nella tradizione cattolica come De profundis.

Nel salmo si distinguono quattro parti. La prima contiene l’invocazione di apertura (vv.1-2), che indica i due personaggi del Salmo: l’«io» che grida (l’«io» dell’orante), il «tu» del Signore a cui l’orante chiede ascolto. La seconda parte (vv. 3-4) è una contemplazione del Signore che perdona la colpa. La terza parte (vv. 5-6) riguarda il salmista e la sua speranza che sgorga dalla contemplazione di Dio, nella quarta parte (vv. 7-8) la speranza si allarga a tutto Israele.

Il vocabolario usato dal salmista è vario e amalgama gesti corporei (il grido, la voce, gli orecchi, l’attesa), con simboli che si dispiegano nello spazio e nel tempo (il profondo, l’abisso, il mattino, la notte in cui veglia la sentinella) e con parole tipiche del vocabolario religioso (la preghiera, le colpe, il perdono, il timore, la speranza, l’attesa, la misericordia, la redenzione).

Cuntomela Pasqua 2025

Salmo 130

1 Canto delle salite.
Dal profondo a te grido, o Signore;
2 Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica.
3 Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
4 Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore.
5 Io spero, Signore.
Spera l'anima mia,
attendo la sua parola.
6 L'anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all'aurora.
Più che le sentinelle l'aurora,
7 Israele attenda il Signore,
perché con il Signore
è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
8 Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.

Ben otto volte ricorre la parola «Signore» che traduce per cinque volte il nome ineffabile di Dio e per tre volte la parola «Signore» (‘adonay).

L’esperienza spirituale da cui nasce il Salmo 130 è condensata in una parola: «profondo» (v. 1). Questa parola non indica – come nel nostro linguaggio – ciò che si trova nella parte più intima del cuore, né le profondità della psiche, ma ha connotazione negativa. Il «profondo» è ciò che è inaccessibile, incomprensibile, inscrutabile, come le profondità della terra, o delle acque (Sal 69,3.15; Ez 2,7.34) o del mare (Is 51,10); sta ad indicare una situazione disperata, vicina alla morte, come di chi è naufrago o è precipitato nell’abisso. Il «profondo», inoltre, è simbolo della morte e della lontananza da Dio e fa parte del simbolismo con cui nei Salmi si descrive il male, che è una fossa, un vischio, una palude, un abisso che inghiotte.

Da quanto il salmista dice, comprendiamo che il male in questione non è esterno a lui, ma è quello di cui egli stesso è complice e responsabile. Considerando il proprio peccato, egli si trova avvolto nella tenebra. Un momento simile di oscurità si sperimenta quando ci si accorge di essere veramente responsabili del male, quando si smette di scaricare la colpa sugli altri, quando ci si accorge di ripetere sempre le stesse azioni e di essere incapaci, per quanto lo si desideri, di uscire da tale situazione. Il salmista è arrivato qui dopo un lungo cammino.

Dal profondo senso di colpevolezza in cui si trova, il salmista grida: chiede con insistenza di essere ascoltato (vv. 1-2). Così facendo, indirettamente, confessa le proprie colpe, senza dire di che si tratti, né facendo buoni propositi per l’avvenire, perché sa che qualsiasi tentativo di bilancio o di salvarsi da solo, lo vedrebbe spacciato: si sente profondamente peccatore. In tali momenti, non c’è altra via di uscita che quella della fede, attraverso il riconoscimento che la salvezza è già stata data, in Gesù. Il pensiero del salmista è così solo per Dio, che egli contempla – come le Scritture ci insegnano a fare – come volto che perdona (vv. 3-4).

Dall’esperienza del perdono nasce un’esistenza trasformata, capace di amare, servire, onorare Dio (il «timore», al v.4, più che la paura, è il senso di riverenza). La vita rinasce nella sua capacità di bene: chi sperimenta il perdono scopre che Dio, che ha mandato suo Figlio, è suo alleato, nella ricerca di ciò che autenticamente rende piena e bella la vita.

Dopo aver gridato a Dio, allora, colui che prega attende la Parola del Signore (vv. 5-6). L’attesa della Parola, l’essere proteso verso il Signore, diventa il respiro del salmista: in ebraico la parola tradotta in italiano con «anima» è una parola che significa letteralmente «gola», «respiro», «desiderio». L’attesa della Parola viene paragonata all’attesa della sentinella per lo spuntare del sole, la cui intensità è sottolineata dalla ripetizione.

Alla fine della preghiera tutto Israele è invitato ad unirsi a questa attesa (vv. 7-8). Non è strano che in una preghiera individuale si nomini il popolo: quando si prega si è sempre solidali con tutti i fratelli con i quali si condivide il cammino di ricerca e di incontro con Dio.

Fonte: Chiesa di Milano

Cuntomela Pasqua 2025


Il Cantico delle creature

p. Maurizio Golino

Il Cantico delle creature di Francesco d'Assisi è probabilmente il primo testo poetico in volgare italiano giunto fino a noi. Si presenta come una “lauda” in cui il santo eleva un commosso inno alla potenza di Dio. È un poema ma è anche una preghiera, che esprime l'amore per il creato come amore per Dio. Il rispetto per la natura e gli animali non appartenevano alla mentalità del tempo. Francesco ne fa il centro della sua poetica e della sua fede, inneggiando a un senso di fratellanza con il mondo e con tutte le sue creature. Il mondo tutto, in quanto non solo creato da Dio, ma riflesso di Dio, è meritevole d'amore, e amando il creato l'uomo manifesta il suo amore per Dio. Non a caso Francesco chiama tutte le creature fratello e sorella, perfino la morte. Tutto è buono perché è parte del creato.

Il componimento risale agli ultimi anni di vita di S. Francesco (1224-1226) e secondo un'ipotesi sarebbe stato scritto in due momenti successivi, di cui il secondo nell'imminenza della morte. Infatti risalirebbero ad allora gli ultimi versi sulle malattie e la morte che sembrerebbero estranei al tema, rispetto alla serena contemplazione della prima parte. È possibile individuare tre chiavi di lettura di cui la prima è costituita dal contesto immediato che ha dato vita alla prima parte della composizione, la seconda dalla dimensione esistenziale e la sensibilità di Francesco nei confronti della natura creata, infine la terza dalle due strofe finali relative al perdono e alla morte.

1. CONTESTO IMMEDIATO – Siamo nel 1225, la condizione sanitaria del santo è grave, in particolare era dolorosa la malattia agli occhi la cui infezione fu contratta nella sua permanenza in Terra Santa, tale da rendergli quasi impossibile sopportare la luce del sole. Il santo fu ricoverato in una capanna posta a ridosso del monastero di S. Damiano, in modo tale che Chiara e le sue sorelle potessero prendersi cura di lui durante la malattia. In quella capanna buia nella solitudine cadde in una forma di depressione e sconforto.

2. DIMENSIONE ESISTENZIALE – Il secondo punto è la presenza di Dio che risponde a questo stato di abbattimento psicologico, ricordandogli la grande ricchezza con cui lo circondava con il suo amore. Pur non potendolo vedere con gli occhi del corpo, Francesco reagisce al suo stato depressivo rivolgendosi alla grandezza e alla bellezza del mondo, così per miracolo la terra, le pietre, l’acqua si trasformano in grande ricchezza. La malattia invece di diventare buio totale, diviene per incanto scoperta rinnovata di quanto conosceva e aveva sperimentato, tutto si trasforma in lui in memoria e manifestazione di Colui che è per lui ogni bene e il sommo bene.

Cuntomela Pasqua 2025

3. ULTIME DUE STROFE – La penultima strofa nasce quando Francesco volle prendersi a cuore le tensioni che opponevano il podestà e il vescovo Guido. Per essi compone la strofa del perdono, nella certezza che i due nemici si sarebbero riconciliati, come di fatto avvenne. L’ultima strofa è quella relativa a sorella morte che fu aggiunta da Francesco a ridosso della propria dipartita, così da aiutare se stesso ad affrontare nel nome del Signore quel momento tanto difficile della sua esistenza.

Come possiamo comprendere, il Cantico delle creature da una parte fu la risposta di stupore alla bellezza del creato, nel quale traspariva inconfondibile il riflesso dell’onnipotenza e della bontà di Dio. Dall’altra volle essere un aiuto offerto da Francesco agli altri e a sé stesso per poter vivere la vita nella lode, cioè da uomo cristiano che ha un Padre buono nel cielo a motivo del quale sa perdonare gli altri e accogliere la propria morte.

Celebrare come Famiglia Francescana il centenario del Cantico delle creature ci conduce a un cambiamento radicale nel nostro rapporto con il creato, che consiste nel sostituire, al possesso, la cura della nostra casa comune. Infatti, ognuno di noi deve rispondere con sincerità a queste domande:
- come voglio vivere il rapporto con le altre creature?
- come un dominatore che si arroga il diritto di fare con esse ciò che vuole?
- come un consumatore di risorse che vede in esse un'opportunità per trarre qualche vantaggio?
- oppure come un fratello che si ferma davanti al creato, ammira la sua bellezza e si prende cura della vita?

Siamo invitati a riproporre alla società contemporanea «il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo» (Laudato si' 11)

Cantico delle creature

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e 'honore
et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle,
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore,
per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si', mi' Signore,
per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che 'l sosterrano in pace,
ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si' mi' Signore
per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò scappare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà
ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate
et serviateli cum grande humilitate.

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Incontri formativi per diventare sempre più un “noi”

La cura di un ambiente come l’oratorio passa attraverso molteplici aspetti: l’attenzione alle relazioni, le iniziative e la possibilità di riflettere e collaborare con chi vive e opera quotidianamente in questo luogo. Dagli educatori ai catechisti, dagli adolescenti ai ragazzi più giovani delle medie, dai genitori ai volontari, ciascuno contribuisce a rendere l’oratorio uno spazio di crescita e condivisione.

Quest’anno la nostra parrocchia ha avuto l’opportunità, grazie al bando per il progetto educativo degli oratori indetto dalla regione e coordinato da Centro Oratori Bresciani, di beneficiare di alcuni incontri di formazione.

A livello parrocchiale la scelta di un formatore che potesse coordinare il percorso è ricaduta su un giovane pedagogista di Malegno, Nathan Damioli.

Gli incontri, iniziati a novembre e in programma fino a giugno con cadenza mensile, coinvolgono diversi gruppi che animano la vita dell’oratorio. Abbiamo già svolto quelli dedicati ai catechisti e sono attualmente in corso quelli con gli educatori. Questi momenti di formazione sono caratterizzati da attività esperienziali e di condivisione su tematiche specifiche, seguite da una riflessione più teorica.

Per catechisti ed educatori, in particolare, il focus è stato sulla natura della relazione educativa, che nasce dall’incontro tra un “io” e un “tu” e si sviluppa in un “noi”. Sebbene questa dinamica possa sembrare intuitiva, raramente ci soffermiamo a riflettere in modo approfondito su cosa significhi essere educatori o catechisti, su cosa possiamo offrire nella relazione e su quali siano i nostri limiti.

Acquisire consapevolezza su questi aspetti non rappresenta un ostacolo, bensì un’opportunità per diventare operatori più attivi e consapevoli degli strumenti a nostra disposizione.

Uno degli elementi emersi con forza durante gli incontri è stata la consapevolezza della mancanza di momenti strutturati di confronto tra catechisti ed educatori sulle esperienze vissute in oratorio e nel lavoro con i ragazzi.

Creare occasioni di dialogo arricchirebbe il percorso formativo, favorirebbe una maggiore coesione nel gruppo educatori e permetterebbe di agire in modo più consapevole ed efficace. Questi incontri sono stati molto apprezzati e ci hanno spronato a cercare autonomamente occasioni di confronto, anche senza una chiamata esterna che li promuova.

Su questo punto, in particolare, ci siamo trovati tutti concordi nel voler agire. Molti altri incontri ci attendono nel corso dell’anno. Si sono da poco conclusi quelli con gli adolescenti, incentrati su tematiche individuate con il pedagogista e ritenute utili per la loro crescita personale. A breve inizieranno quelli dedicati alle classi delle medie, ai preadolescenti e, successivamente, anche ai genitori e agli animatori del Grest.

Siamo soddisfatti di questo percorso e grati per l’opportunità di prendervi parte. Se “esserci” è la più bella forma di cura, esserci in modo consapevole e attento lo è ancora di più!

Anja Fedriga

Cuntomela Pasqua 2025

Penso che questa esperienza con Nathan sia costruttiva e formativa sia dal punto di vista sociale e personale, perché attraverso semplici giochi si riescono ad affrontare certi aspetti complessi del carattere. Questi incontri mi stanno piacendo molto e spero di continuarli, perché sono un momento che trascorro con i miei amici e nel quale apprendo sempre nuovi aspetti di me stesso e delle altre persone, che prima magari non conoscevo pienamente o addirittura per nulla.

Matteo Gheza


In queste ultime settimane in oratorio stiamo vivendo un’esperienza particolare: una serie di incontri serali, guidati dal formatore Nathan Damioli, che ci aiutano a riflettere guardandoci dentro per conoscere meglio noi stessi e gli altri. E non sono lezioni o discorsi lunghi, ma esperienze pratiche che ci coinvolgono in prima persona: dai giochi di carte o in scatola, che ci stimolano a riflettere sulle nostre scelte e sul nostro modo di pensare, ad alcune più personali, come semplici attività in cui dobbiamo fare una scelta o raccontare qualcosa di noi stessi, fino ad altre più dinamiche, che ci coinvolgono in coppia o in gruppo e che sperimentano fiducia e cooperazione o che ci fanno mettere nei panni degli altri.

Ogni esperienza, sia individuale che collettiva, ci sta aiutando a riflettere su di noi, sul nostro modo di gestire emozioni e sentimenti e su come ci relazioniamo con gli altri. Oltre alle attività e ai momenti di riflessione, non mancano quelli di relax e condivisione. Abbiamo occasioni per stare insieme in modo semplice, come ad esempio quando abbiamo mangiato la pizza tutti assieme.

Questo percorso non è solo per noi adolescenti, ma è rivolto, con modi e tematiche differenti, anche ad altre figure, quali catechisti, educatori e ragazzi della scuola media. Penso perciò che questi incontri siano una grandissima opportunità da sfruttare per crescere come persone e per riflettere in modo più profondo del solito. Queste attività ci aiuteranno inoltre a preparare l’estate dell’oratorio e a migliorarci in qualità di animatori ed educatori.

Davide Zendra


A parere mio, gli incontri con Nathan sono molto interessanti e coinvolgenti. Lui è un ragazzo simpatico e allo stesso tempo empatico con i ragazzi che ha di fronte: con delle semplici domande o dei semplici “giochi” riesce a capire lo stato d’animo e i pensieri delle persone con cui ha a che fare. Durante questi incontri abbiamo dialoghi con l’io, ma anche tra di noi, svolto diverse attività di interazione e, in alcune serate, ci siamo divertiti facendo dei giochi da tavolo. Secondo me, più ragazzi di tutte le età dovrebbero partecipare a questo tipo di serate; sono incontri socievoli e divertenti che all’apparenza sembrano inutili ma, una volta partecipato, si capisce l’importanza di essere capiti e capire le altre persone attraverso diverse modalità. Sono molto contenta di aver partecipato a questi incontri fino ad ora e spero durino ancora per molto tempo.

Amira Cottarelli

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La comunità di Borno e il santuario di Ardesio: un voto che si rinnova nel tempo

Marco Carobbio

Da più di quattro secoli il santuario della Madonna delle Grazie di Ardesio rappresenta un luogo di fede e di pellegrinaggio per tanti devoti provenienti dalla Val Seriana e dalle altre vallate lombarde all'intorno. Con un esercizio costante, sopravvissuto e rinnovatosi nel tempo, le comunità di fedeli della Val Camonica in particolare hanno dimostrato un forte attaccamento verso il santuario di Ardesio.

Ma quali sono le ragioni e a quale tempo risale il radicamento di questa devozione da parte dei pellegrini di Borno?

Il tentativo di dare risposta a questo e ad altri quesiti simili ha stimolato il gruppo culturale e di promozione turistica Vivi Ardesio a costruire uno studio organico, che tirasse le fila di questo culto dalle origini del miracolo, all'inizio del XVII secolo, ai giorni nostri. Ne è scaturito un libro, Il prodigio della grazia. Il santuario della Madonna di Ardesio in quattro secoli di devozione di comunità, pubblicato all'inizio di questo anno da Equa Edizioni di Clusone.

L'opera ripercorre, dunque, quattro secoli di storia e di fede, interrogando le fonti e le testimonianze lasciate da tanti pellegrini nel corso del tempo. Lo studio attinge, quindi, ai documenti notarili sugli esordi, a cominciare dal processo imbastito dalla diocesi di Bergamo per vagliare la veridicità dell'apparizione della Vergine Maria in trono con il Bambino Gesù alle fanciulline della famiglia Salera nella stanza affrescata con immagini sacre nel cuore dell'abitato di Ardesio.

Un ruolo importante è, poi, svolto dalle opere storiografiche che in quello stesso Seicento raccontano delle processioni e dei lunghi pellegrinaggi intrapresi dalle montagne lombarde per tributare devozione e gratitudine alla Madonna di Ardesio. Un’opera composta dal padre cappuccino bergamasco Celestino Colleoni nel 1617, a soli dieci anni dal prodigio, certifica la presenza costante della comunità di Borno, di quella di Darfo, di devoti da Lovere e da Pisogne e di tanti fedeli della Val Camonica e del Sebino che si recano al santuario di Ardesio con cadenza annuale.

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La costruzione della tradizione affonda, quindi, nei primissimi tempi e un interessante riscontro è offerto da tante tavolette ex voto, un elemento distintivo di svariati luoghi di culto sopravvissuto nel tempo e solo molto dopo sostituito dai cuori argentei, dai messaggi personali e dalle moderne fotografie.

Più nello specifico, per quanto riguarda Borno, le origini della devozione si collocano nel 1609 e trovano una forza rinnovata l’anno seguente, quando la comunità fa voto alla Madonna delle Grazie di Ardesio e rimane sostanzialmente incolume di fronte al pericolo occorso per l'incendio propagatosi da un fulmine nel temporale che minacciò l'abitato nel giugno 1610. A capitanare il voto collettivo e le processioni che seguono è il curato locale.

Tra le curiosità emerse dallo studio degli atti notarili relativi alla fabbriceria del santuario spicca proprio il nome di Francesco di Cristoforo del Botto, presentato come curato di Borno ma originario di Ardesio, il quale vende un’abitazione adiacente al nascente cantiere del santuario proprio tra il 1608 e il 1609, delegando alcuni parrocchiani bornesi alla trattativa e alla riscossione delle cifre pattuite per la compravendita.

Spesso le tradizioni nascono, quindi, con ragioni di affetto specifico, ponti che si aprono all’insegna della migrazione tra le montagne o della stagionalità dettata dalla transumanza.

Di fatto, l’affetto dei bornesi per il santuario di Ardesio si è conservato nel tempo, come certificano i bollettini parrocchiali del secolo scorso e riviste locali del tipo La Voce di Borno e Cüntòmela, che si sono potuti consultare negli archivi bornesi grazie alla generosa disponibilità di don Paolo Gregorini.

Anche il cardinale Giovan Battista Re ha raccontato spesso dei suoi pellegrinaggi, sin dalla più tenera età, verso la Madonna di Ardesio, all’insegna degli insegnamenti maturati dalle tradizioni familiari.

Con il tempo questa devozione si è rinnovata per il Cardinale, come dimostrano le messe regolarmente celebrate presso il santuario, celebrazioni che ricordano l’attestato di fede di un sacerdote novello che, oltre sessanta anni fa, ritagliò un affetto particolare per la Madonna delle Grazie, un affetto che parla dell’intera comunità di Borno e che affonda le radici in un voto contratto più di quattrocento anni fa e di seguito sempre onorato.

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Quarant'anni di Cüntòmela

Come ci ha raccontato un amico, presente all'epoca e attivo soprattutto come animatore del Gruppo Missionario, da alcuni anni non veniva più stampata la "Voce di Borno", storica pubblicazione ideata e realizzata da don Ernesto Belotti, parroco di Borno dal 1950 al 1963, che usciva "quando e come può" come scriveva in copertina. Nel frattempo alcuni giovani avevano dato vita alla "Voce Missionaria": alcuni fogli ciclostilati in cui pubblicavano le lettere e le notizie dei missionari originari di Borno.

Con l'arrivo di don Giovanni Isonni, curato dal 1984 al 1991, fra diverse iniziative (Grest, animazione di ragazzi, adolescenti e giovani, realizzazione dell'Oratorio), furono ampliati anche gli argomenti da trattare su questi fogli. Nacque così l'idea di trovare un nuovo nome a questa pubblicazione che venne ancora fatta con ciclostile e fotocopiatrice fino a quando, nel giugno 1988, con l'inaugurazione dell'Oratorio Arcobaleno, fu deciso di far stampare in tipografia un numero speciale di quello che sarebbe poi diventato il periodico dell'Oratorio e della Parrocchia, e dopo ancora il Giornale della comunità che da più di dieci anni, con l'Unità Pastorale, si è aperto alle comunità di Ossimo e di Lozio.

Per tutti noi "Cüntòmela" è diventato un nome familiare. Come possiamo vedere nell'immagine di una delle prime copertine e come ricorda ancora il nostro amico, all'inizio ci fu anche la discussione sulla lettera finale, su come rappresentare quel suono tipico del nostro dialetto che non è né una "o" né una "a". Prevalse la seconda.

Diversi preti lungo questi quarant'anni hanno assunto l'impegno di portare avanti questa pubblicazione, ma noi due-tre componenti laici della redazione siamo sempre gli stessi e viaggiamo dai 60 in su. Come noi all'epoca, sarebbe bello che qualche giovane si appassionasse a questo piccolo servizio, si appassionasse alla voglia di raccontarcela, al desiderio di porsi in ascolto, riflettere su tutto ciò che si agita e che viviamo nelle nostre comunità.

A cura della redazione

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Triduo dei Morti: una tradizione che continua

Giovanna Rivadossi

L’arte dell’oratoria non è da tutti. Ce l’hanno innata soprattutto gli avvocati e i predicatori. Noi di Borno, negli anni, siamo sempre stati accompagnati spiritualmente da grandi predicatori. E per fortuna nostra anche quest’anno abbiamo avuto un grande predicatore: Padre Massimo Taglietti del convento dei frati minori cappuccini di Lovere.

Perché il Triduo è, sì la Machina, la Schola Cantorum, ma è soprattutto 'l predicatur.

Io non sono un’assidua frequentatrice della chiesa, ma guai mancare al Triduo! In tutta la mia vita devo essere mancata un paio di volte perché ero ammalata.

Fin da piccolina, con tutta la mia famiglia, scendevamo dalla baita a piedi per andare alla funzione del Sacro Triduo e pregare per tutti i nostri cari morti e il più delle volte dovevamo calpestare anche mezzo metro di neve, dato che allora fino a Pasqua nevicava. Lungo il tragitto si univano a noi anche i contadini delle baite vicine e si formava un bel corteo che scendeva da Navertino.

In quegli anni ancora non avevamo la televisione, e comunque non c’erano le serie tv che ci impedivano di uscire la sera per non perdere una nuova puntata, quindi le tre sere del Triduo erano come una festa, perché lungo il tragitto si incontravano parenti e amici.

Doveva esserci un grave motivo per non andare alle funzioni!

La tradizione di partecipare a questa funzione parte dai miei antenati. Mio nonno Lorenzo era un cantore ancor prima che si costituisse la schola cantorum. All’epoca erano solo gli uomini a salire in cantoria a cantare. Mi hanno sempre raccontato che, quando da solista cantava il “Parce mihi Domine” faceva tremare la chiesa per la sua potente voce. Purtroppo, quando io ho cominciato ad andare al Triduo lui era già ammalato e non ho mai potuto sentirlo cantare.

Lo stupore di noi ragazzini nel vedere l’accensione della machina era grande. Cinque o sei uomini salivano per accendere le oltre 200 candele ad una ad una, le luci si spegnevano e la chiesa piombava nel buio più totale. Solo le candele, con le loro fiammelle tremolanti, illuminavano le figure delle anime purganti che stendono le loro braccia verso l’Altissimo. Mia mamma mi spiegava che noi dovevamo pregare tanto affinché le anime dei nostri cari defunti riuscissero a raggiungere il Paradiso.

Anche allora si cantavano le Litanie e siccome non le sapevo a memoria (i preti di allora non erano tecnologici come quelli di adesso che ci preparano sui banchi i foglietti stampati), portavo con me un libricino con la copertina nera che mi aveva regalato la mia nonna di Ossimo, dove c’erano stampate le preghiere, le giaculatorie e anche le litanie, così potevo cantarle anche io.

Adesso che ho una certa età, l’appuntamento con i tre giorni del Triduo rimane improrogabile. Mia mamma, mio papà e mia sorella sono tutti saliti al cielo e sono rimasta qui da sola a portare avanti la tradizione di pregare per le anime del purgatorio, ma sono orgogliosa che con il nostro esempio siamo riusciti a trasmettere questi valori anche ai miei nipoti, che da studenti rimandavano la partenza per l’università per venire almeno la prima sera; anche adesso che sono adulti è bello vedere che non si dimenticano della tradizione che ci ha sempre uniti.

Così in queste tre sere siamo di nuovo tutti assieme seduti sui banchi della nostra amata chiesa a contemplare l’accensione della macchina del Triduo e a pregare.

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Tridui: un'espressione profonda della nostra fede

p. Massimo Taglietti

Carissimi, 
pace e bene!

Mi è stato chiesto di condividere con voi il senso della mia esperienza in qualità di predicatore nei Tridui di Borno e di Ossimo Inferiore.  Lo faccio volentieri, perché davvero sono state per me giornate di fede intense e coinvolgenti.  

In maniera molto semplice posso dirvi che è stata un'esperienza davvero bella. Innanzitutto perché, a differenza di quel che si può pensare, celebrare il Triduo non è semplicemente una pia tradizione, ma è un'espressione profonda della nostra fede e io l'ho vissuta proprio così e ho percepito così anche il vostro essere lì insieme in chiesa. La liturgia così attentamente pensata, i canti, il magnifico apparato della “machina” a Borno, la cura con cui è stato preparato l'altare a Ossimo, tutto ha contribuito alla bellezza di questi momenti di fede autentica.

Ma soprattutto il sentire la presenza di chi era in chiesa, tutti accomunati dal desiderio di pregare per i nostri cari defunti e insieme di provare a riflettere con semplicità di cuore sul senso del nostro destino di credenti in Cristo.

Non posso tralasciare l'aspetto delle confessioni. L'aver vissuto la vostra disponibilità a questo sacramento mi ha fatto molto bene! Proprio tanto perché ho potuto incontrarvi non solo nella preghiera, ma anche dentro le fragilità e ho così potuto vedere come il Signore davvero opera nella nostra vita. E lo ringrazio per questo. 

Permettetemi ora un piccolo pensiero.

Come ho avuto modo di dire durante le meditazioni, abbiamo aperto le celebrazioni con l'Eucarestia e con l'Eucarestia le abbiamo concluse. Non è stata solo una scelta liturgica: è che la nostra vita di cristiani è una vita immersa nell’amore di Dio e questa bellezza la sperimentiamo proprio nell'Eucarestia!

Questo ci dona di avere quella speranza che molti ci invidiano, per la quale ci è dato di vivere non con sterile paura l'evento della morte, l'essere un giorno separati dalle persone che amiamo. La certezza della morte è per noi realtà che ci aiuta a dare senso alla vita, poiché sappiamo che dopo la morte non è tutto concluso: il Signore ci attende e non farà altro che riconoscere quel che è avvenuto nella nostra vita, quel che noi abbiamo deciso di vivere durante la nostra permanenza qui sulla terra. Siamo noi che scegliamo quel che vogliamo per l'eternità.

Di più: l'eternità la cominciamo a vivere già qui sulla terra perché, amando Dio e amando il prossimo, facciamo già esperienza della gioia del Cielo. Negando Dio e non avendo cura del prossimo, pensando solo a noi stessi siamo già diretti verso la dannazione eterna.

Benedico il Signore per la grazia di aver vissuto con voi queste belle giornate di fede che porto nel cuore e di aver meditato con voi il messaggio di speranza che Cristo ci ha donato in merito al nostro destino ultimo.

Con questi sentimenti vi auguro ogni bene e che il Signore possa compiere meraviglie nelle vostre comunità cristiane.

Cuntomela Pasqua 2025


Un parco giochi per i nostri ragazzi con l'impegno di tutta la comunità

In questi giorni all’Oratorio di Ossimo Inferiore c’è fermento: circola la notizia che a breve inizieranno i lavori per donare ai bambini più piccoli un’area giochi tutta nuova, con certificazioni di sicurezza, materiali a lunga durata e pavimentazione antitrauma.

Il progetto, che fino ad ora rimaneva poco più che un’idea e una speranza per i genitori che abitualmente frequentano l’oratorio, diventerà realtà. Lo stimolo è arrivato proprio da alcuni di loro, ma trattandosi di un progetto decisamente ambizioso ed oneroso, era necessaria una base economica da cui partire.

Ed ecco, che anche in questa circostanza, i primi a rispondere “presenti!”, sono stati i nostri Alpini, che hanno donato per il progetto una somma di 10.000 euro, fondamentale per partire.

Si è quindi resa giustamente necessaria la costituzione di una Commissione che seguisse l’evoluzione del progetto, la gestione finanziaria ed il coordinamento dei lavori, garantendo sempre la massima trasparenza.

Dopo naturalmente il nullaosta del Parroco, per la realizzazione del progetto e l’avvio dei lavori, c’è stato un primo incontro in oratorio (14 gennaio 2025), nel corso del quale è stato presentato e discusso il progetto, la Ditta individuata per la fornitura e posa dei giochi (Ditta Altoatesina Stebo Ambiente Srl) e si è costituita una Commissione composta da un rappresentante del Gruppo Alpini di Ossimo Inferiore, un membro del Consiglio Pastorale, un rappresentante dell’Amministrazione Comunale, un rappresen- tante dei volontari dell’Oratorio, un rappresentante delle altre Associazioni del Paese ed un rappresentante dei ragazzi.

Cuntomela Pasqua 2025

A sostenere l’iniziativa, non è tardata la risposta della Comunità, che ha voluto aiutare offrendo sostegno economico e manodopera volontaria per la realizzazione del basamento in cemento (8x16 metri).

Sono pervenuti lasciti finalizzati al sostegno dei giovani e dei Centri di sana aggregazione con finalità educative come il nostro Oratorio.

Non è mancata la garanzia del fondamentale appoggio dell’Amministrazione Comunale, sempre presente nel sostegno di queste iniziative.

Un plauso a commercianti, ristoratori, piccoli artigiani ed imprenditori del Paese che, non appena sono venuti a conoscenza del progetto, lo hanno sostenuto con iniziative spontanee e donazioni. Inoltre, si sta già lavorando per organizzare una sottoscrizione a premi il cui ricavato sarà utilizzato per la costruzione del Parco Giochi stesso; verrà individuata una serata primaverile-estiva in oratorio durante la quale verrà fatta l’estrazione dei biglietti vincenti e ci sarà un momento di festa ed una prima parziale inaugurazione. Stanno inoltre pervenendo offerte libere da cittadini privati.

Manca ancora la copertura di alcune spese vive e la prospettiva futura sarà quella di ampliare, a risorse economiche reperite, la dotazione del Parco Giochi.

La raccolta fondi è ancora aperta e proseguirà... Ringraziamo chiunque voglia partecipare.

Tutto ciò a dimostrazione che il valore di queste iniziative, va ben oltre l’aspetto puramente materiale rappresentando a pieno il vero significato della parola Comunità.

E allora amici “Avanti tutta!” per raggiungere questo obiettivo serve l’aiuto della Comunità; saremo ben felici se qualcuno vuole unirsi al gruppo. Questo invito è rivolto a tutti gli adulti, genitori e non, a tutti i giovani che vogliono partecipare attivamente per mantenere vivo e attivo l’oratorio, che non è un semplice edificio, ma è un patrimonio della Comunità con l’obiettivo di favorire, in un luogo sicuro e protetto, l’aggregazione e l’educazione dei nostri ragazzi... cioè del nostro avvenire!

Grazie a tutti

I rappresentanti della Commissione

Chi volesse informazioni per come sostenere concretamente il progetto o per chi volesse semplicemente delucidazioni ci si può rivolgere a Piefranco Zani (3397336182), Anselmo Isonni (3467259706), Michela Luise (3466626346), Piera Franzoni (3391002490).

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La benedizione degli animali

Sara Saviori

Come è ormai tradizione, anche quest’anno la Parrocchia di Ossimo Superiore ha organizzato la consueta festa di S. Antonio Abate per celebrare la ricorrenza del Santo protettore di animali e mezzi agricoli. La giornata ha visto protagonisti animali domestici e mezzi agricoli, tutti riuniti sul sagrato della chiesa parrocchiale per ricevere l’ormai nota benedizione.

Tanti quest’anno i partecipanti, anche provenienti dalle parrocchie limitrofe di Ossimo Inferiore e di Borno. All’appello non sono mancati cani di ogni taglia e razza, asinelli, una cavallina e due coniglietti, oltre ai mezzi agricoli.

Ecco le foto degli animali partecipanti alla celebrazione.

Cuntomela Pasqua 2025Cuntomela Pasqua 2025


Carnevale: momento di festa, colori, allegria e unione

I ragazzi dell’oratorio di Ossimo

Il carnevale nel borgo di Ossimo è ogni anno un momento imperdibile di festa, colori, allegria e unione per grandi e piccini. Poter riunire la comunità in un momento spensierato appena prima della Quaresima, periodo più riflessivo, dispiega numerose forze nel nostro piccolo paese.

Già da tre anni qui a Ossimo il carnevale si organizza in oratorio, dando lustro ed importanza a questo luogo di riunione e gioia. Il nostro gruppo di volontari propone un tema per indirizzare chi vuole partecipare e stimolarne la creatività; raccolte le varie proposte si porta tutto in scena in una performance per intrattenere e coinvolgere i numerosi spettatori.

Nel dettaglio, nel 2025 con il tema “AAA cercasi lavoratori fantastici per l’oratorio”, abbiamo avuto tutti il piacere di ammirare gruppi di ragazzi, adulti e, soprattutto, bambini; d’altronde, chi meglio di loro può scatenarsi in questa festività?

Con la guida di un sognatore impavido e di un geometra un po’ bacchettone si sono esibiti i bimbi dell’asilo con la loro dose di colore in un bellissimo balletto; i bambini delle elementari hanno trasportato tutti nell’affollato cantiere della costruzione delle piramidi dell’antico Egitto (i nostri complimenti alle mamme e alle amiche che hanno lavorato negli spazi della biblioteca per creare, oltre a ricordi indelebili, dei costumi degni di Broadway); noi ragazzi abbiamo portato la spavalderia degli indiani con le loro tende e tradizioni e poi, immancabili in ogni cantiere che si rispetti, i mitici muratori bergamaschi; i ragazzi senior invece hanno inscenato un vero revival anni 70 con un campeggio dei figli dei fiori.

Cuntomela Pasqua 2025

Come nelle vere ricette ognuno ha portato un ingrediente speciale, amalgamandolo sapientemente con il senso di comunità ed unione.

Ecco, è proprio questo lo spirito da seguire: impegnarsi in prima persona per la buona riuscita del progetto ma lavorando in squadra, supportati dal gruppo e divertendosi un mondo nel vedere il proprio frutto prendere forma.

Come potrete leggere sempre su questo numero di Cüntòmela, ci saranno davvero dei lavori in oratorio a Ossimo, non era solo un bel sogno: questa giornata ha fornito l’occasione di presentare il progetto della nuovissima area giochi, per la quale ringraziamo il Gruppo Alpini di Ossimo Inferiore e tutti i volontari che con aiuti economici o olio di gomito ne permetteranno la realizzazione.

Chiunque voglia contribuire è il benvenuto.

Dietro ogni festa ben riuscita ci sono tante mani operose; le nostre preferite sono quelle dei volontari che, con generosità e dedizione, preparano costumi, addobbano gli ambienti organizzano giochi e spettacoli e rendono indelebili queste giornate.

Vogliamo ringraziare di cuore proprio loro, che hanno reso possibile tutto ciò!

Cuntomela Pasqua 2025


Testimonianza e provocazioni da un missionario in Costa d’Avorio

Morondo, Costa d’Avorio
14 Marzo 2025

Carissimi amici della Comunità Pastorale don Carlo Gnocchi, spero stiate tutti bene.

È sempre una grande gioia per me rivolgermi a voi, ed ogni volta lo faccio con tanta gratitudine nel cuore. Non posso certo dimenticare infatti che la mia fede è nata e cresciuta tra di voi, con voi e grazie a voi!

Un episodio mi sta facendo riflettere in questi giorni, mi sta mettendo in discussione e credo proprio mi stia aiutando a crescere. Vorrei condividerlo con voi, nella speranza che possa esservi d’aiuto.

Facciamo un passo indietro. Due settimane prima dello scorso Natale, una signora di mezz’età che non conoscevo, è entrata in chiesa ed ha cominciato a pregare. Dopo una mezz’ora circa, chiede di parlare con me. Eravamo soli. Mi siedo accanto a lei ed ascolto.

Scopro così che è originaria di Morondo, la cittadina in cui vivo. Dopo le elementari però i suoi genitori l’hanno mandata ad Abidjan dalla zia per continuare gli studi. A quei tempi, infatti, a Morondo non c’erano le scuole medie né tanto meno le superiori. Ad Abidjan, con alcuni amici ha cominciato a frequentare la Chiesa, ha completato il ciclo di catechesi ed ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Crescendo, ha incontrato il suo futuro marito col quale si è sposata in chiesa. Insomma è una brava cristiana! Attenzione, non è una semplice cristiana della domenica. È impegnata ed ha delle responsabilità in parrocchia.

La sua famiglia d’origine è totalmente musulmana. Forse è meglio precisare che tutti gli abitanti di Morondo sono mussulmani. I cristiani che abitano a Morondo vengono da altre città e sono qui, in genere, per motivi di lavoro.

La famiglia di questa donna, tra l’altro conosco molto bene sia sua mamma che suo fratello, è a conoscenza del fatto che sia diventata cristiana e non ha opposto resistenza.

Quando lei è ad Abidjan o altrove, può andare in chiesa quanto e come vuole. Il problema si pone quando lei torna qui. La famiglia le impedisce di venire in chiesa. Sarebbe una vergogna, per non dire uno scandalo per la famiglia, di fronte agli altri abitanti di Morondo, avere una figlia che va in chiesa! Provate ad immaginare un figlio/a di Pessano con Bornago che va alla moschea: quante mormorazioni susciterebbe? Bhé, qui è molto peggio.

Altre volte era rientrata a Morondo, ma sempre e solo per qualche giorno. Anche se le era capitato di saltare una messa domenicale non si era fatta grandi problemi. Questa volta però, per motivi familiari, deve restare qui sei mesi. Prima di incontrarmi, aveva già “perso” diverse messe domenicali e questo la faceva soffrire.

Con la mano aveva afferrato il mio avambraccio e lo stringeva forte, come se si stesse aggrappando per evitare di cadere: eravamo entrambi seduti! Evidentemente non si trattava di una caduta fisica. Con voce tremante comincia a parlare. Le sue parole sono rese più intense e pesanti dagli occhi lucidi che a stento trattengono le lacrime e comincia a parlare dicendo: «Padre! C’è un comandamento che dice di “santificare il giorno del Signore”. Io non lo sto rispettando e non so per quanto tempo ancora non lo rispetterò. Per essere una buona cristiana dovrei venire a messa tutte le domeniche. C’è anche un altro comandamento però, che dice di “onorare il padre e la madre”. Se io vengo a messa qui a Morondo, non solo non rispetto i miei genitori ma diventerei per loro una vergogna. Sarebbe come prenderli a schiaffi!».

Cuntomela Pasqua 2025

La domanda di fondo è: «Cosa fare?».

Da quel giorno, ogni domenica sera, questa signora viene in chiesa da sola, quando non c’è nessuno. Preghiamo insieme, leggiamo e commentiamo il Vangelo del giorno e poi le dò la comunione! Così santifica il giorno del Signore senza disonorare la famiglia. Mi vengono in mente i primi cristiani che erano costretti a nascondersi nelle catacombe per poter pregare e celebrare la messa.

La lotta interiore che questa donna stava vivendo e per la quale stava soffrendo enormemente, mi ha veramente colpito. Ha fatto nascere in me diverse domande che mi stanno facendo riflettere ed alle quali sto ancora cercando di rispondere. Hanno dato il via ad un esame di coscienza che non ho ancora concluso.

Arriviamo al dunque. Vorrei condividere con voi le domande che mi stanno provocando perché, in questo tempo di Quaresima, diventino per tutti noi l’occasione per fare un esame di coscienza un po’ diverso dal solito. La speranza è quella di riuscire a fare un passo in più nel nostro cammino di conversione e di crescita nella fede!

La serietà, la sincerità e la perseveranza con cui questa donna sta vivendo la sua fede mi hanno scosso. Non posso non chiedermi come io stia vivendo la mia fede: come lei o con superficialità? Se non riesco ad andare alla messa domenicale, quali sono i miei sentimenti? Sono gli stessi di questa donna o tutto passa sotto il segno dell’indifferenza? Io a messa ci vado tutti i giorni. La questione è: ci vado per amore o per formalità. Nel mio caso, dato che sono un prete, ci vado per amore o “per lavoro”? Questa domanda la si può estendere anche alle altre liturgie comunitarie piuttosto che alla preghiera personale.

La risposta a questa domanda è una cartina tornasole che rivelerà a che punto è la mia relazione d’amore con Dio!

Questa donna era perfettamente cosciente che amare Dio ed amare il prossimo è un unico comandamento. Si rendeva conto che non poteva amare Dio senza amare il prossimo e non poteva amare il prossimo senza amare Dio! Questa donna non è ipocrita ed ha fatto di tutto per non cadere nella trappola dell’ipocrisia. Come sto vivendo il comandamento dell’amore? Con sincerità o ipocrisia?

Ascoltando e vedendo la lotta interiore di questa signora, mi sono venute in mente le tentazioni di Gesù nel deserto e la sua lotta contro il diavolo. Quest’ultimo fa di tutto per allontanare il Figlio Gesù da Dio Padre. Lo fa proponendogli cose buone, o meglio, cose apparentemente buone. Lo fa facendo passare per bene ciò che in realtà bene non è, ma Gesù non è caduto nella trappola. Nemmeno questa donna è caduta nella trappola che voleva allontanarla da Dio, proponendo cose buone, come non far soffrire la sua famiglia.

Come ha fatto?

Ha avuto l’umiltà di chiedere aiuto. Ha avuto il coraggio di parlare e di “fare discernimento”. Sí, fare discernimento! Una virtù tanto semplice quanto preziosa e potente! Sono abbastanza umile da chiedere aiuto o sono così presuntuoso da pensare di farcela da solo?

Per questa signora i comandamenti sono un dono che gli permettono di amare Dio, di non perdere la propria libertà ed identità. Sono i riferimenti essenziali sui quali basare il suo discernimento. Sono fonte di saggezza: umana e cristiana. Per me, cosa sono i comandamenti? Delle regole barbose che ho dovuto imparare a memoria ai tempi del catechismo per poter ricevere i sacramenti? Oppure sono gli strumenti di un Dio severo che vuole imporre la sua autorità obbligandomi o impedendomi a fare certe cose? Oppure sono degli ostacoli che mi privano della mia libertà?

Carissimi, di solito, nell’ultima pagina della settimana enigmistica, si trovano le risposte a tutte le domande e la soluzione a tutti gli enigmi. Io non ho risposte né soluzioni da darvi. Questa non è la settimana enigmistica e non è nemmeno un gioco. Questa è la nostra vita, la nostra fede e la nostra relazione con Dio. Io stesso mi sto lasciando provocare da queste domande. Le risposte non le ho ancora trovate, ci sto ancora lavorando. Ho semplicemente voluto condividere con voi quest’esperienza nella speranza che possa esservi d’aiuto nel vostro pellegrinaggio quaresimale come lo è per me.

Camminiamo insieme!
Buona quaresima a tutti.
Il Signore vi benedica.
Ciao

Romano missionario PIME

Cuntomela Pasqua 2025


Siamo esseri incompiuti e quindi speranzosi

Emilia Pennacchio

Da quando siamo entrati nel tempo del Giubileo, continuiamo a sentire parlare di Speranza. Nella nostra la quotidianità la invochiamo spesso.
- Speriamo che domani ci sia il sole, che voglio andare a fare una gita…
- Speriamo che l’esame di mio figlio vada bene…
- Speriamo che la salute non mi abbandoni…

Per quanto legittima, può essere questa la Speranza che la Chiesa ci invita a seguire? Noi la coltiviamo già molto bene! Ci dev’essere qualcos’altro, mi son detta. Nel tentativo di darmi una risposta ho letto un po’ di articoli qua e là e mi sono fatta un’idea che condivido.

Partiamo dalla fine: la speranza è propria dell’essere-uomo, perché essendo incompiuto, va cercando ciò che gli manca.

Il cercare implica movimento, un movimento in avanti, verso ciò che non si conosce (non sentiremmo il bisogno di completarci se ciò che ci manca lo conoscessimo già). Questo “avanti” che cos’è se non il futuro che ci sta dinnanzi?

Desiderio e Futuro sono dunque due tensioni dell’uomo: il DESIDERIO che nasce dalla necessità di completarsi e il FUTURO che rappresenta il terreno su cui il desiderio si muove. In altre parole, nel momento in cui prediamo coscienza della nostra incompiutezza, ecco che ci accorgiamo di un bisogno che ci spinge ad alzarci e a guardare in avanti per cercare di colmarlo.

Il filo che lega queste due realtà - il guardare in avanti e quindi il cammino che ne consegue - non è forse quello stato positivo, fiducioso della nostra anima che chiamiamo speranza? La speranza di trovare nel futuro la compiutezza del nostro essere.

Tutti lo abbiamo sperimentato. Quante volte infatti abbiamo colmato una mancanza andando alla ricerca di quell’oggetto o di quello stato dell’essere che avvertiamo come desiderio, per sopperire a quella mancanza? E quante volte abbiamo sperimentato che una volta appagato quel desiderio ci accorgiamo che il bisogno non si è compiuto con quell’oggetto o con quello stato dell’anima e quindi, dopo un momentaneo appagamento, sentiamo riemergere il bisogno di una nuova ricerca? Sembra che l’oggetto dell’appagamento non sia mai lì dove ci aspettiamo che sia, è sempre al di là, sempre altrove, innescando un processo pernicioso di continua insoddisfazione.

Perchè accade questo? Forse perché l’oggetto della nostra ricerca non è ciò di cui davvero abbiamo bisogno? Ecco, forse è questo il nocciolo della questione.

Il nostro tempo, la nostra società ha ben individuato questo meccanismo e ci ha costruito su un bel giochino: usa questa nostra “vulnerabilità” spingendoci a colmare il senso di incompiutezza con qualcosa che in realtà dà un appagamento momentaneo senza darci il senso del compimento, con il risultato o di spingerci continuamente a cercare quel qualcosa fino allo sfinimento, o arrivando al punto di non desiderare più di colmare quel vuoto, appiattendoci nell’insoddisfazione e nell’ignavia. Un “sistema” che ha di fatto prodotto una nuova forma di schiavitù. Il giochino è molto ben studiato: fa del fine dell’azione umana il “piacere” alimentandolo dai sempre nuovi “dei” sanciti dal mercato e promuovendo attraverso i mezzi di comunicazione (cellulari soprattutto) la nuova religione dell’algoritmo che ora è diventata ancora più pervicace attraverso l’intelligenza artificiale. Con queste due storture ci confrontiamo ogni giorno, molto spesso senza nemmeno esserne consapevoli.

Ci hanno abituato al “bello e subito disponibile”. Mediante la rete internet il “sistema” (chiamiamolo così, ma sono persone, che hanno aziende e che cercano profitto) sanno ancora prima di noi ciò di cui abbiamo bisogno (mediante la profilazione che lasciamo sui telefonini con le nostre ricerche) e ce lo spiattellano bell’e pronto: basta un click e il gioco è fatto.

Il sano percorso di ricerca incompiutezza - bisogno – cammino viene annullato. Quel sano percorso che crea inevitabilmente relazioni, rapporti fra le persone e che, a loro volta, suscitano desideri di reciprocità, che si traducono in attenzione verso l’altro, disponibilità, creando un circolo virtuoso. Il sistema ha già fatto tutto, facendoci credere che la soluzione che ci propone sia quella giusta e proprio quella che cercavamo. Ma subito dopo averla colta, ci accorgiamo che quella soluzione non ci ha assolutamente completato e allora proseguiamo su questa strada accettando un’altra soluzione e quindi con un altro click facciamo ripartire il gioco che ha l’unico risultato di darci una momentanea sensazione di benessere per poi sprofondarci dentro una profonda insoddisfazione. Senza saperlo ci ritroviamo a pensare con pensieri voluti da altri andando a rimpolpare il sistema stesso, il tutto nella pia illusione che lo facciamo liberamente. E quel che è peggio è che questo vortice ci trascina sempre più nell’insoddisfazione, ma lo viviamo ingenuamente come una confort-zone in forza di quel momentaneo benessere che non trova soluzione.

Come uscirne?

Forse dobbiamo provare a indirizzare la nostra ricerca in un’altra direzione o, meglio, in un’altra dimensione. Qual può essere questa “dimensione” e qual è il vero “oggetto” della nostra ricerca?

È qualcosa che con il tempo abbiamo abbandonato o forse meglio, ci hanno spinto ad abbandonare, in virtù di un appagamento effimero che alimenta il sistema in cui la nostra società, si muove, lavora, vive.

L’occidente ci sta abituando a fare a meno dei rapporti diretti fra le persone, a fare a meno di quella sana ricerca che crea relazione, che apre gli orizzonti, che ci fa godere del mondo nella sua grandezza. Ci sta abituando a fare a meno dei doni che Dio ci ha messo a disposizione senza volere nulla in cambio.

Ecco, forse può essere uno dei motivi per cui il papa ha scelto come motto del Giubileo Spes non confundit invitandoci a uscire da quel circolo vizioso in cui i tempi moderni ci hanno introdotto, per riscoprire la bellezza di quella sana speranza che è insita nell’uomo e che lo rende davvero libero.

Per noi credenti, è dunque necessario che nel nostro continuo muoverci alla ricerca di quel bisogno di completezza, riprendiamo il cammino dentro i confini della speranza. Perché è qui che facciamo esperienza dell’alterità, è qui che incontriamo il nostro prossimo, è qui che costruiamo relazioni concrete ed è qui che si crea quel vortice virtuoso che colma il nostro senso di vuoto; la relazione con l’altro ci completa e nel cammino, nella frequentazione vi è un continuo processo di osmosi che ci lega e ci fa andare avanti: sempre noi stessi, ma più ricchi e desiderosi di condividere questo nuovo stato dell’anima e del nostro essere con il prossimo.

Questa è vera libertà, poiché ne siamo noi i fautori. In questo dono, Dio non ci impone nulla ci dice soltanto: cammina dentro questo clima di amore e ti accorgerai che non sarai più schiavo di altri ma libero di prendere e di donare secondo i tuoi tempi e i tuoi desideri.

L’accento che in questo momento della Storia la Chiesa ha scelto di porre è soprattutto sulla Speranza; non perché Fede e Carità siano meno importanti. Ma forse perché oggi la speranza - anche fuori dalla definizione strettamente teologale - è quella più soffocata. Di fatto atei e non, stentano a guardare con speranza al futuro. Ma ecco che la speranza di cui Dio ci fa dono allarga in qualche modo il nostro orizzonte sapendo (fede) che dentro questo cammino Dio non ci abbandona mai e ci aiuta ad essere più buoni (carità) con noi stessi e con gli altri.

Dentro questo cammino, la vicinanza di Dio si esprime con la sua infinita misericordia, che cancella i nostri sensi di colpa e ci abbraccia con una tenerezza che ci fa riconciliare con noi stessi e con il mondo. L’opportunità di chiedere perdono in questo anno speciale è un viatico che ci affranca da ciò che la società, il pensiero dilagante ci propinano. È il passaporto per la libertà. Con la sua misericordia Lui ci trasforma e trasformandoci oltrepassiamo fisicamente quella “porta santa” che è Cristo stesso (Eucarestia): entrando in comunione con lui troviamo la forza per invertire quella rotta asfittica che abbiamo - spesso inconsapevolmente – seguito, per entrare in una nuova che guarda il futuro con fiducia e con un desiderio appagato di felicità!

Cuntomela Pasqua 2025Cuntomela Pasqua 2025


Sempre aperte

Franco Peci

Una volta eravamo fatte quasi sempre di legno, abbastanza massicce e magari non troppo raffinate. Alcune di noi, anche nei vostri paesi di montagna, erano abbellite da intarsi e ricami, altre erano molto grezze, ruvide e spartane.

Specialmente quelle delle baite, a furia di acqua e sole, dalle tipiche tonalità del legno tendevano al grigio, con gli zoccoli e gli angoli consumati dalle tarme e dal tempo. Una di queste poteva vedere diverse generazioni di una stessa famiglia senza venire sostituita.

C’erano poi quelle di ferro, fatte di sbarre, montate per imprigionare chi sbagliava, chi non rispettava le leggi o chi, in ogni epoca compresa l’attuale, non si piegava al (pre)potente di turno. Erano e sono il simbolo della giustizia o della condanna, dell’occasione per rieducare chi sbaglia o della voglia di fargliela pagare. Anche oggi, infatti, si sentono persone che invocano per alcuni la nostra chiusura totale e il buttare via i nostri tipici accessori: le chiavi. Ma come per gli animali tenuti in cattività, quasi sempre anche gli uomini che rimangono troppo dietro le nostre sbarre finiscono per sentirsi più cattivi, sempre più prigionieri del male.

Oltre alle sbarre alcune di noi furono fatte totalmente di metallo per aderire ermeticamente ai loro stipiti, pure quelli di metallo. Al massimo, ad altezza degli occhi umani, potevano avere un piccolo spioncino, anche quello a tenuta stagna, attraverso il quale nei lager i guardiani potevano accertarsi se quelli rinchiusi dentro fossero tutti morti, avvelenati dal gas. Queste nostre colleghe sono state testimoni di un’aberrante degenerazione dell’animo umano verso la malvagità più disumana.

Adesso potete trovarci in qualsiasi materiale e di qualsiasi colore, con doppi o tripli vetri per proteggervi dal freddo, con doppie o triple serrature e tondini di ferro per proteggervi da ladri e malintenzionati. Le più tecnologiche di noi sono connesse ad internet per poter essere controllate da remoto.

Dai tempi delle caverne, quando magari delle grosse pietre svolgevano la nostra stessa funzione, facciamo parte della vostra quotidianità. Non vogliamo troppo esaltarci, ma la storia di molti popoli è stata caratterizzata ed è passata al nostro cospetto. In molte culture e religioni veniamo citate come modi di dire, significati e simboli.

La Bibbia, ad esempio, racconta che quelle delle città erano il luogo dove gli anziani prendevano le decisioni più importanti, dove veniva amministrata la giustizia, dove venivano accolti i re appena incoronati, le persone importanti e respinti i nemici. Nei palazzi e nei templi c’erano quelle principali, magari di bronzo, riservate sempre ai personaggi famosi, e quelle piccole, poste sul retro per i servi e i pezzenti.

Anche nell’evento fondamentale per il popolo d’Israele, cioè la liberazione dalla schiavitù, ci siamo sentite un po’ protagoniste con quel sangue sparso sui nostri stipiti per distinguere le case degli ebrei da quelle degli egiziani nelle quali, in quella tremenda notte, morirono tutti i primogeniti.

I salmi e gli altri libri sapienziali ricordano che è meglio stare sulla soglia della casa del Signore che abitare nella tenda dei malvagi; consigliano di sorvegliare, insieme alla lingua, quelle della bocca per evitare di dire troppe stupidaggini, troppe parole insulse. Se possiamo permetterci, ci sembra un consiglio quanto mai attuale visto la quantità di parole vane che circolano e rimbalzano su giornali, televisione e internet.

Ma è nel Nuovo Testamento che ci sentiamo pienamente coinvolte. Per indicare l’esigenza di continuare a pregare, a desiderare e a riporre piena fiducia nel Signore i Vangeli usano un verbo, un’azione a noi molto cara e che è parte essenziale del nostro esistere: bussare. La stessa parola è citata nell’Apocalisse per ricordarvi che Dio non si stanca di voler entrare nelle vostre vite per cenare, per rimanere con ognuno di voi.

Sappiamo che non è bello auto esaltarsi, ma potete immaginare come ci siamo sentite quando lo stesso Gesù si è definito una di noi e ha dichiarato che solo passando attraverso di Lui voi potete salvarvi, entrare ed uscire, trovare i pascoli, avere la vita ed averla in abbondanza. Per entrare in questa storia di salvezza, in questa realtà di vita piena, però sempre i Vangeli ricordano che dovete sforzarvi di passare per quella stretta, che è necessario insomma metterci un po’ di fatica, impegno, pazienza: realtà anche queste, forse, non troppo praticate nell’attuale cultura del tutto è facile, tutto è a portata di mano.

Se non sbagliamo, venivamo coinvolte anche in alcune espressioni del vostro dialetto. Quando uno, preso dalla rabbia, in qualche modo si sfogava si diceva che sbatteva giù tutte le nostre colleghe. Quando tra fratelli e sorelle, spesso per maledette questioni di eredità, si scatenavano delle liti che potevano durare per decenni, i contendenti erano indicati come coloro che non si passavano più quelle di casa. E sono fatti che non riguardano solo il passato.

A noi, però, una delle espressioni che ci è sempre piaciuta, quando capitava qualcosa di brutto o finiva una bella esperienza, è quella che ripetevano i vostri nonni: se se ne chiude una di grandezza normale, prima o dopo se ne spalanca uno (al maschile) ben più grande.

Come tutti i detti, anche questo può suonare solo come retorica, come un mero ottimismo che maschera difficoltà e paure, ma può diventare un invito a guardare con fiducia al futuro, a non perdere mai la speranza.

Sì, ce l’abbiamo fatta ad andare a finire a parlare di speranza, il tema del Giubileo di quest’anno, un anno in cui anche noi, ancora una volta, ci sentiamo protagoniste; alcune di noi vengono addirittura proclamate sante. E negli ultimi giubilei hanno ricevuto tale appellativo non solo le solite quattro delle basiliche di Roma, ma anche altre sparse un po’ in tutto il mondo.

Possiamo restare socchiuse, ma i nostri modi di essere sono essenzialmente due. Tranne che per riparare dal freddo, noi preferiamo rimanere aperte. Se non abbiamo capito male, sin dai tempo in cui il popolo di Israele si era insediato nella terra promessa, scopo dei giubilei era proprio questo invito a rimanere aperti per una continua nuova ripartenza: aperti affinché la terra e i beni venissero di nuovo redistribuiti a tutti, aperti verso chi sbagliava per offrirgli un’altra occasione, aperti per l’accoglienza, per ricevere e donare perdono, ricevere e donare amore.

Sì, a noi piace essere bussate, aperte, spalancate per far incontrare le persone – magari quelle più sole e che ogni giorno volgono lo sguardo verso di noi sperando di veder affacciarsi qualcuno con cui scambiare due parole – per riallacciare i rapporti fra coloro che non si parlano più da anni, per continuare la vostra amicizia con il Signore sia nel chiuso della vostra camera (forse l’unica volta che il Vangelo consiglia di chiuderci), sia nelle chiese, nelle comunità sempre aperte a tutti.

Le porte

Cuntomela Pasqua 2025Cuntomela Pasqua 2025


I barattoli delle emozioni: un percorso pilota sull’alfabetizzazione emotiva

Questa è la storia di un’avventura recente, nata dal desiderio di diffondere l’attenzione all’educazione emotiva nei bambini della scuola primaria.

Un’esperienza pilota per il Consultorio familiare G. Tovini di Breno, che vede aprire le sue porte ai più piccoli, alla loro vivacità, al loro entusiasmo, alla loro spontaneità travolgenti. Accompagnati dalle loro famiglie, che hanno accolto questa iniziativa, consapevoli e partecipi dell’importanza di prendersi cura del mondo emotivo dei figli, come si evince dalle alcune loro frasi nel momento dell’iscrizione al gruppo:
- Penso sia un percorso molto importante che ci terrei ad offrire a mio figlio...
- Credo possa essergli molto utile per imparare a gestire l’emotività e stare in gruppo con altri bambini...
- Un’occasione per aiutare i bambini a riflettere sui loro vissuti emotivi...

Ma procediamo con ordine…

La proposta del Consultorio rientra nell’attività gratuita di educazione e prevenzione alla salute. La scelta di dedicare tempo ed energia alla tematica dell’intelligenza emotiva risulta emergente nella società odierna, dove vediamo grandi e piccoli sempre più in difficoltà nella conoscenza ed espressione sana ed equilibrata del proprio mondo emotivo.

Perché abbiamo bisogno di educazione emotiva?

L’educazione emotiva o alfabetizzazione emotiva è un’area di studio che nel panorama psicologico, scolastico e sociale sta acquisendo sempre più attenzione, in quanto viene riconosciuto un ruolo importante allo sviluppo di competenze socio-emotive di base. Numerosi studi sull’intelligenza emotiva hanno dimostrato che le competenze emotive (empatia, consapevolezza emotiva, regolazione emotiva...) si possono esercitare, esattamente come facciamo con l’intelligenza linguistica o quella logico-matematica, attraverso l’esercizio. Imparare a conoscere le proprie emozioni è fondamentale per affrontare con successo le sfide della vita quotidiana ed avere una migliore qualità di vita.

Tornando al nostro progetto dal titolo “I barattoli delle emozioni”, presentiamo gli obiettivi e la metodologia.

L’obiettivo principale è di costituire un percorso di gruppo che si snoda in sette incontri, con bambini iscritti alle classi 3^, 4^ e 5^ della scuola primaria, con i quali andare ad esplorare le varie emozioni e riflettere su modalità funzionali di gestione.

Tramite un approccio partecipativo che favorisce la condivisione, nel rispetto e nell’ascolto attento dei vissuti personali e dell’altro ed il confronto con l’adulto e con i pari, i bambini imparano a esprimersi in un contesto sicuro, in un clima accogliente. I partecipanti possono avvicinarsi al mondo delle emozioni in modo esperienziale, grazie ad attività che prevedono il coinvolgimento del linguaggio verbale e non verbale, il gioco, la visione di spezzoni di video, attività manuali, circle time.

Alcuni obiettivi specifici di questo percorso sono:
- promuovere la consapevolezza ed il riconoscimento delle proprie emozioni e delle loro sfumature, in se stessi e negli altri, e come vengono espresse attraverso il corpo e le parole;
- favorire la creazione di un clima di gruppo facilitante per l’espressione emotiva nei diversi linguaggi;
- facilitare la contestualizzazione delle emozioni, quindi la capacità di metterle in relazione ad una situazione.

Il gruppo dei partecipanti è accompagnato nel percorso sulle emozioni dalle psicologhe del Consultorio Tovini, dr.ssa Valentina Delaidelli e dr.ssa Elisa Gheza esperte di psicologia dell’età evolutiva.

Per il Consultorio Familiare G.Tovini
Il Direttore
Dr.ssa Guglielmina Ducoli

Per ricevere informazioni in merito ai progetti e attività in sede e fuori sede, chiamare in Consultorio, preferibilmente al mattino, dal martedì al sabato allo 0364-327990 o inviare un'email a info@consultovini.it.

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La speranza in J.S. Bach

Può un brano musicale infondere speranza? Dolore, nostalgia, amore e, meno frequentemente, gioia sono la cifra espressiva di testi e musiche in tutti i generi musicali ma… la speranza? Ognuno di noi inizia a sperare solamente quando trova la determinazione e l’energia per andare oltre il dolore, la rassegnazione, la disperazione. La speranza è un atteggiamento interiore che ci incoraggia a guardare avanti, è l’energia che induce un uomo ancora ferito e dolorante a rialzarsi per credere, nonostante tutto, in un futuro possibile.

Ascoltai per la prima volta, ancora adolescente, la “Passione secondo san Matteo” di Johann Sebastian Bach (1685-1750) senza comprendere nemmeno una parola (il testo è in tedesco, secondo la tradizione luterana). Come allora, tuttora non riesco a trattenere le lacrime durante il coro finale: per me, lacrime di speranza. Propongo quindi l’ascolto di questo brano (ascolta).

- Doppia orchestra e doppio coro iniziano portandoci, con il grido della folla, nell’abisso del dolore per l’assenza:
Ci inginocchiamo con lacrime
e gridiamo verso la tua tomba:
Riposa sereno, sereno riposa! (2 volte)

- Al minuto 1:23 il dolore pare prendersi una pausa: le medesime parole sono ora inserite in un tessuto musicale più disteso (tecnicamente, in modo maggiore).

- A 1:51 il testo ci conduce verso un vero e proprio cambio di scena: la folla, vorremmo dire esausta dal tanto gridare, invoca pace e riposo per colui nel quale ha creduto, che giace nella tomba:
Riposate, o esauste membra!
Riposate serene, riposate!
La vostra tomba,
la vostra lapide
dovrà essere un morbido cuscino
per la coscienza tormentata,
e il luogo di riposo per l'anima.
Riposate serene, riposate!

- A 2:48 pochi secondi di autentica serenità (In somma beatitudine gli occhi si chiudono al sonno) prima del “da capo” a 3:06 (Ci inginocchiamo con lacrime…). Anche questa volta il dolore pare prendersi una pausa, ma l’invocazione finale (Riposa sereno…) conduce nuovamente la folla e l’ascoltatore nella frustrazione e nel dolore dell’assenza, mitigati solo da frammenti di serenità.

Dopo la sepoltura, l’unica via per sopravvivere è quindi la speranza, il “rimanere accesi” (p. Ermes Ronchi) dei discepoli di Emmaus i quali, immersi nella frustrazione per le promesse apparentemente mancate, svanite nella crocifissione, si lasciano contaminare il cuore, che ricomincia ad ardere già durante il dialogo con uno sconosciuto incontrato per caso: Gesù risorto, che non nemmeno avevano riconosciuto. La Pasqua che segue la Passione è quindi la speranza autentica, il modello di ogni speranza possibile.

Ritengo che la musica composta da Bach infonda nuovo significato alla rassegnazione che pervade il testo del corale, riportando il cuore dell’uomo ad ardere nuovamente di speranza, nella gioia di una Resurrezione che ridoni luce alla vita.

Daniele Ferrari

Cuntomela Pasqua 2025


Battesimi

Borno___

Marco Maffeo Magnolini di Silvano e Matilde Colombo - Borno 16 marzo 2025

Cristian Arici di Bruno e Ilaria Marrulli - Borno 16 marzo 2025

Marco Sciola di Massimo e Nadia Piana - Borno 30 marzo 2025

Cuntomela Pasqua 2025


Prepararsi alla vita

Congratulazioni a...

Mario Bertelli - Laurea Magistrale in Automation and Control Engineering

Mattia Arici - Laurea in Design

Manolo Ducoli - Laurea Musicale in Batteria e Percussioni

Cuntomela Pasqua 2025


Anniversari di matrimonio

Felicitazioni a

Lucia Re e Giacomo Moscardi per il loro 50° di matrimonio

Luciana Guassoldi e Onorato Salvetti che il 29 dic. 2024 a Villa di Lozio hanno festeggiato il loro 50° di matrimonio

Cuntomela Pasqua 2025


Morti in Cristo

Borno

(in Australia) Teresa Gheza 16 feb 1928 + 18 nov 2024

Margherita Fiora 17 ago 1936 + 4 dic 2024

Rosa Ferrari 11 ago 1936 + 11 dic 2024

Franca Gheza 18 set 1953 + 13 dic 2024

Francesco Ghitti 23 gen 1966 + 10 gen 2025

Felice Battistina Ghiroldi 27 ott 1946 + 20 gen 2025

Luciano Sanzogni 12 dic 1963 + 23 gen 2025

Franco Baisotti 7 mar 1963 + 9 mar 2025

Cuntomela Pasqua 2025

Ossimo Inf.

Beniamina Zendra 1 ago 1929 + 20 dic 2024

Francesca Savina Bassi 12 ago 1941 + 5 gen 2025

Martino Cominotti 3 gen 1972 + 13 gen 2025

Luigi Menolfi 26 giu 1944 + 18 gen 2025

Renzo Marangon 14 apr 1957 + 26 feb 2025

Maria Franzoni 21 mag 1922 + 4 mar 2025


Ossimo Sup.

Aldo Pesenti 7 lug 1946 + 11 lug 2024

Valerio Zerla 26 giu 1960 + 14 gen 2025

Cuntomela Pasqua 2025

Ossimo Sup.

Domenica Andreoli 9 feb 1942 + 27 mar 2025


Lozio

Maria Bonariva 12 ago 1932 + 16 dic 2024

Savina Zendra 12 apr 1941 + 26 gen 2025

Felice Pennacchio 5 giu 1934 + 25 feb 2025

Santina Claudia Tomasi 31 mar 1939 + 26 feb 2025

Cati Vanoli 12 set 1964 + 1 mar 2025

Margherita Magri 9 ott 1936 + 24 mar 2025

Cuntomela Pasqua 2025


Cuntomela Pasqua 2025 Cuntomela Pasqua 2025

Cüntómela
Pasqua 2025

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"Machina" del Triduo dei Defunti

Frugando nel Sacco
Frugando nel Sacco

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