Parrocchia san Giovanni Battista - Borno

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cuntomela Estate 2021

Estate 2021

“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi”
L’amor che move il sol e l’altre stelle Settimo centenario della morte di Dante Alighieri
EUTANASIA Cosa si intende con questa parola?
I sacramenti della fede la Riconciliazione, segno di speranza
La BIBBIA: i profeti maggiori (prima parte)
Maria apre la strada a Cristo
CELEBRAZIONI E INIZIATIVE
Cre-Grest INSIDE OUT Dalle Medie… molto numerose
Ricordi in pillole di don Franco Rivadossi
Lavori in corso sul campanile della nostra Chiesa Parrocchiale
Gli Eremi della Casa della Sapienza a Sommaprada di Lozio
Comunità di Lozio in festa
È PASSATA UNA SANTA!
LE FICTIONS DELLA BIBBIA
Battesimi
99 anni !!!
Chiamati alla vita eterna


Parola del parroco

“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi”

montagna

Questo è l’invito di Gesù fatto ai suoi discepoli dopo una missione ricca di soddisfazioni. Un invito rivolto anche a noi oggi. Stanchi di distanziamento forzato, rimaniamo con il desiderio di riposo vero, non solo di svago e di evasione, che non riempiono il cuore ma lo distraggono da fatiche e impegni.

Mentre riflettevo su queste cose, mi sono imbattuto in una riflessione di Luigi Maria Epicoco sulla vacanza: questa parola – afferma – indica un vuoto, uno spazio in cui è possibile far vibrare, nella quiete del riposo, l’eco di una voce più alta. Un tempo non da subire, ma da valorizzare per centrare la propria vita sull’essere che dà senso al nostro fare.

Non di solo fare vivrà l’uomo - Il verbo fare è il verbo a cui siamo più affezionati. Lo siamo talmente tanto che siamo disposti a sacrificare per esso anche il verbo essere. Il fare è il nostro modo di non pensare troppo, di non entrare in noi stessi, di non guardare in faccia le cose serie della vita. Il fare ci dà subito soddisfazione, prende sul serio il nostro innato bisogno di conferme, di appagamento. Il fare troppo spesso diventa la nostra religione. Se volessimo usare un’immagine cara a sant’Ignazio dovremmo dire che usiamo il fare per non entrare in desolazione.
Ma delle volte è necessario entrare nel vuoto, nella mancanza che ci abita. È la famosa necessità della fame che il tentatore cerca di togliere a Gesù nel deserto: «dì che queste pietre diventino pane». Gesù esorcizza il male rispondendo colpo su colpo a una simile tentazione: «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 1-11). Non di solo fare vivrà l’uomo, potremmo aggiungere noi.
Ecco allora cos’è il tempo della vacanza. Essa non è semplicemente la trasgressione necessaria a sopportare nuovamente una lunga stagione di lavoro. Il tempo del riposo, come ci ha ricordato di recente Papa Francesco, è il tempo dell’ecologia del cuore, il tempo in cui il riposo, la contemplazione e la compassione diventano gli ingredienti giusti per ridimensionarci. La vacanza è proprio nella sua etimologia la capacità di essere vuoti, di dare ciò spazio a quella fame/mancanza che ognuno si porta nel cuore, e nel cui eco Dio finalmente può parlare.
Udire la parola di Dio dentro le nostre mancanze, dentro il nostro cuore, significa sperimentare una pienezza che nessuna soddisfazione del mondo può darci. Passiamo la vita a cercare di fare cose che ci rendano felici, ma la vera felicità è smettere di affannarsi e accorgerci che tutto quello che stavamo cercando con foga non è lontano da noi. Il necessario che ci serve per essere felici è tutto racchiuso nell’ascolto del verbo essere, di chi siamo veramente, di quella immagine e somiglianza con Dio che ognuno si porta dentro.
Arrivano allora come un balsamo anche per noi le parole del Deuteronomio: «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30, 11-14). Il tempo del riposo è così scovare quella parola nascosta nella nostra bocca e nel nostro cuore, e che fa fatica a emergere quando la vita la trangugiamo e il cuore è solo colmo di affanni e preoccupazioni.

Auguro a tutti buone Vacanze con la V maiuscola, ai tanti che ritemprano il cuore contemplando le bellezze del nostro altopiano e a tutti coloro che scelgono altre mete. Per ciascuno sia tempo per incontri veri e per quell’Incontro con Dio che riempie di speranza e bellezza la nostra vita e che dà nuova fiducia al nostro cammino.

vostro don Paolo



PER RIFLETTERE

L’amor che move il sol e l’altre stelle
Settimo centenario della morte di Dante Alighieri

divina commedia
Rappresentazione iconica dell'’ultima terzina della Divina Commedia (fonte internet)

È questo l’ultimo verso della Divina Commedia e giustamente è fra i più celebri. In esso è espressa la convinzione che Dio è amore e che è il Creatore dell’universo.

È significativo che le tre Cantiche di Dante terminino tutte nominando le stelle nell’ultima riga. Il verso finale dell’Inferno è: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”; e quello del Purgatorio dice: “puro e disposto a salire a le stelle”.

Ricorre quest’anno il settimo centenario della morte di Dante Alighieri e un po’ ovunque vi è un fiorire di rievocazioni e di iniziative che manifestano vivo interesse per la gigantesca forza poetica di questo genio, che nella prima parte della sua vita fu dominato dalla passione politica. Egli fece parte dei Guelfi Bianchi, che in Firenze si contrapponevano ai Guelfi Neri, e si impegnò calorosamente in prima persona nel governo della sua città, ma poi fu sconfitto ed esiliato. Trovò aiuto e protezione soprattutto a Verona da Cangrande Della Scala e poi a Ravenna alla corte di Guido Novello da Polenta. Agli inizi del 1300 cercò di rientrare in Firenze, ma, dopo che tutti i tentativi risultarono vani, non aderì più ad alcuna fazione politica e si dedicò completamente alla poesia. Morì a Ravenna a soli 56 anni di vita nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, a seguito della malaria contratta durante un viaggio di ritorno da Venezia.

Fu un grande genio italiano, al quale la nostra lingua deve molto. La Divina Commedia è il poema più celebre della nostra letteratura, e le sue edizioni in italiano e in lingue straniere non si contano.

divina commedia
Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze (1465)

Ma Dante era anche un’anima grande, un vero cristiano e un illuminato alfiere della nostra fede e del Vangelo. Egli ebbe una straordinaria intelligenza teologica che, con piglio sicuro, seppe addentrarsi nelle problematiche più alte e più sottili della dottrina rivelata, presentando con illuminante chiarezza le eterne verità e i valori irrinunciabili dell’esistere: Dio, creatore e giudice; la nostra redenzione come libero atto d’amore e di misericordia di Dio; l’incarnazione del figlio di Dio per la nostra salvezza eterna.

Dalle sue terzine emerge una straordinaria testimonianza di fede e di amore per Dio e la convinta affermazione che la meta ultima del percorso della vita umana è la visione suprema di Dio, appagamento del desiderio più profondo iscritto nel cuore umano.

Quando poi si tratta di esprimere riserve o biasimi che giudica dovuti, Dante non fa sconti per nessuno: né per i laici, né per gli ecclesiastici, né per i sovrani. Non esita a criticare aspramente perfino l’operato di Papi, ma in lui non viene mai meno né minimamente si attenua “la riverenza delle somme chiavi” (Inf. XIX,101). Non dice mai una sola parola che possa fare attribuire qualcosa di peccaminoso o di disonorevole alla Chiesa, che definisce “la bella Sposa che s’acquistò con la lancia e coi clavi” (Par. XXI,133-134).

Papa Francesco – che il 25 marzo scorso ha pubblicato la lettera apostolica Candor lucis eternae per ricordare questo centenario – definisce Dante come “profeta di speranza e testimone del desiderio di infinito insito nel cuore dell’uomo”.

Dante col suo capolavoro fa riflettere sull’inferno, sul purgatorio e sul paradiso, che sono al centro della fede cattolica e vuole indicare a tutti la retta via per vivere pienamente la nostra umanità, invitandoci ad uscire dalla “selva oscura” e mostrandoci quale sia l’itinerario che conduce alla felicità.

In questo itinerario sono in azione due potenze: da un lato, l’infinita misericordia di Dio che stende sempre la sua mano liberatrice; e dall’altro, la libertà umana, che l’afferra, se vuole uscire dal gorgo tenebroso del male, ma che può anche decidere di non afferrare quella mano, condannandosi alla perdi- zione eterna.

Sul tema della misericordia divina il poeta fiorentino esprime considerazioni teologicamente profonde. Attirano l’attenzione soprattutto due episodi raccontati nella cantica del Purgatorio, luogo di purificazione e di espiazione, che Dante qualifica come l’ambiente in cui le anime attendono “a farsi belle” (Purg. II,75), per rendersi degne di salire in Paradiso al cospetto di Dio.

Dante è sorpreso di trovare nel Purgatorio, e non all’inferno, il re Manfredi, figlio di Federico II, re di Sicilia e di Puglia.

Anzi, è talmente sorpreso che, in un primo tempo, scambia quell’uomo “biondo... bello e di gentile aspetto” col re Davide e lo riconosce solo dopo che l’interessato gli dice: “io son Manfredi, nipote di Costanza imperatrice”.

Manfredi era stato scomunicato dal Papa ed era morto nella battaglia di Benevento il 26 febbraio del 1266. Egli chiede a Dante di chiarire, quando tornerà sulla terra, la sua sorte. E spiega che quando in battaglia fu colpito da due lance mortali,
“io mi rendei, piangendo,
a quei che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita
ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolgea lei”.
(Canto III,vv.119-123)

Il secondo episodio si trova nel quinto canto del Purgatorio e riguarda Bonconte, figlio di Guido di Moltefeltro, ucciso nella battaglia di Campaldino nel 1289. In terra né la moglie Giovanna, né altri parenti lo ricordano nelle loro preghiere, per cui egli tiene sempre la testa bassa per la vergogna. Bonconte racconta a Dante che, quando nella battaglia gli fu “forata la gola” e perse la vista e la parola, “nel nome di Maria finii, e quivi caddi e rimase la mia carne sola”. (vv.100-102)

Nel momento estremo della vita, Bonconte invocò il nome della Madonna, ricordandosi della conclusione dell’Ave Maria recitata in gioventù: “prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”.

Ma questa invocazione della Beata Vergine Maria, che salva Bonconte, fa arrabbiare il demonio che clamorosamente protesta, perché un Angelo del cielo gli strappa dalle mani quell’anima solo “per una lacrimetta” all’ultimo istante di vita, mentre Satana si riteneva sicuro di portarsi quell’anima all’inferno. (vv. 87-107)

Per Dante, Dio non solo è “l’Amore che muove il sole e le altre stelle”, ma è anche Colui che “volentier perdona”.

Dio volentieri ci perdona perché ci ama, purché da parte nostra vi sia il pentimento del male compiuto ed il proposito di rimetterci sulla via del bene.

Importanti e preziosi sono pertanto gli insegnamenti che ci vengono da questo poeta morto 700 anni fa in una città lontana da quella in cui aveva dormito i sonni innocenti della sua fanciullezza. Egli ha vissuto col massimo impegno la vita dei suoi tempi, ma ha saputo anche tenere gli occhi sempre aperti ai valori eterni.

Card. Giovanni Battista Re



PER RIFLETTERE

EUTANASIA Cosa si intende con questa parola?

In queste settimane si stanno raccogliendo le firme per promuovere in Italia la legalizzazione dell’eutanasia. L’iniziativa sta avendo una certa adesione anche a Borno. Vi proponiamo alcune note tratte da “SAMARITANUS BONUS sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita”, documento della Congregazione per la Dottrina della Fede firmato il 14 luglio 2020. È la posizione della Chiesa, della visione cristiana della vita, ma pensiano che queste note possano essere utili a tutti per riflettere e formarsi una propria opinione non basata solo su facili proclami (anche cattolici) che scaturiscono spesso da banali battaglie ideologiche.
La pandemia, purtroppo non ancora superata, ci ha sbattuto in faccia ancora una volta come la realtà sia più grande degli schemi, delle leggi, del nostro immaginare cosa desidereremmo se ci trovassimo in determinate situazioni. Per continuare a vivere, il meglio possibile, su questa terra, l’unica via sembra sia di nuovo quella di sentirci responsabili, di prenderci cura gli uni degli altri, sempre.

lettera eutanasia

La cura della vita è dunque la prima responsabilità che il medico sperimenta nell’incontro con il malato. Essa non è riducibile alla capacità di guarire l’ammalato, essendo il suo orizzonte antropologico e morale più ampio: anche quando la guarigione è impossibile o improbabile, l’accompagnamento medico-infermieristico (cura delle funzioni fisiologiche essenziali del corpo), psicologico e spirituale, è un dovere ineludibile, poiché l’opposto costituirebbe un disumano abbandono del malato. [...]

Riconoscere l’impossibilità di guarire nella prospettiva prossima della morte, non significa la fine dell’agire medico e infermieristico. Esercitare la responsabilità nei confronti della persona malata, significa assicurarne la cura fino alla fine: «guarire se possibile, aver cura sempre (to cure if possible, always to care)».[13] Quest’intenzione di curare sempre il malato offre il criterio per valutare le diverse azioni da intraprendere nella situazione di malattia “inguaribile”: inguaribile, infatti, non è mai sinonimo di “incurabile”. [...]

Alcuni fattori oggigiorno limitano la capacità di cogliere il valore profondo e intrinseco di ogni vita umana: il primo è il riferimento a un uso equivoco del concetto di “morte degna” in rapporto con quello di “qualità della vita”. Emerge qui una prospettiva antropologica utilitaristica, che viene «legata prevalentemente alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza». In virtù di questo principio, la vita viene considerata degna solo se ha un livello accettabile di qualità, secondo il giudizio del soggetto stesso o di terzi, in ordine alla presenza-assenza di determinate funzioni psichiche o fisiche, o spesso identificata anche con la sola presenza di un disagio psicologico. Secondo questo approccio, quando la qualità della vita appare povera, essa non merita di essere proseguita. [...]

Un secondo ostacolo che oscura la percezione della sacralità della vita umana è una erronea comprensione della “compassione”. Davanti a una sofferenza qualificata come “insopportabile”, si giustifica la fine della vita del paziente in nome della “compassione”. Per non soffrire è meglio morire: è l’eutanasia cosiddetta “compassionevole”. Sarebbe compassionevole aiutare il paziente a morire attraverso l’eutanasia o il suicidio assistito. In realtà, la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e i mezzi per alleviare la sofferenza.

Il terzo fattore che rende difficile riconoscere il valore della vita propria e altrui all’interno delle relazioni intersoggettive è un individualismo crescente, che induce a vedere gli altri come limite e minaccia alla propria libertà. Alla radice di un tale atteggiamento vi è un neo-pelagianesimo per cui l’individuo, radicalmente autonomo, pretende di salvare sé stesso, senza riconoscere che egli dipende, nel più profondo del suo essere, da Dio e dagli altri. [...]

La Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente. […] L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati. […]

Il Magistero della Chiesa ricorda che, quando si avvicina il termine dell’esistenza terrena, la dignità della persona umana si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile e con la dignità umana e cristiana che le è dovuta. Tutelare la dignità del morire significa escludere sia l’anticipazione della morte sia il dilazionarla con il cosiddetto “accanimento terapeutico”. La medicina odierna dispone, infatti, di mezzi in grado di ritardare artificialmente la morte, senza che il paziente riceva in taluni casi un reale beneficio. Nell’imminenza di una morte inevitabile, dunque, è lecito in scienza e coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi.[…]

Nel caso specifico dell’accanimento terapeutico, va ribadito che la rinuncia a mezzi straordinari e/o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte»[...]

Per attenuare i dolori del malato, la terapia analgesica usa farmaci che possono causare la soppressione della coscienza (sedazione). Un profondo senso religioso può permettere al paziente di vivere il dolore come un’offerta speciale a Dio, nell’ottica della Redenzione; tuttavia, la Chiesa afferma la liceità della sedazione come parte della cura che si offre al paziente, affinché la fine della vita sopraggiunga nella massima pace possibile e nelle migliori condizioni interiori.

A cura della redazione



L'ABC DELLA FEDE

I sacramenti della fede
la Riconciliazione, segno di speranza

Un bambino chiede al suo don: “Don è possibile rifare la confessione?” Risponde il sacerdote: “Certo tutte le volte che si vuole! E meno male perché a tutti noi serve veramente tanto e tante volte durante la nostra vita.” Risponde il bambino: “Certo perché Gesù ci vuole sempre puliti e belli dentro, così si è amici di Gesù per sempre!”.

padre buono
Ritorno del figliol prodigo (Rembrandt, 1668)

Questa simpatica vicenda, accaduta realmente, ci chiama a porre una semplice riflessione: l’amore viene da Dio, a noi il compito di donarlo come Lui lo dona. Spesse volte, però, questo amore viene rovinato, interrotto, come un filo che si consuma, viene tagliato dal peccato. Il peccato, pian piano, ci distanzia sempre di più da Dio. Tanti sono i peccati, ma pochi sono quelli che veramente ci tolgono dall’amicizia con il Signore che ci ha creati. Il Signore ci vuole sempre più capaci di amore e condivisione; non ci vuole litigiosi e pigri, ma sempre pronti a donare agli altri la nostra amicizia, il nostro aiuto, la nostra vicinanza in quella carità fraterna che dovrebbe animare tutta la nostra esistenza.

La confessione o riconciliazione, è sacramento indispensabile per la vita cristiana.

Questo sacramento si è strutturato come lo conosciamo noi oggi dopo un’evoluzione avvenuta nei secoli, da una primitiva forma giudaica di purificazione dal male fino ad arrivare alla prassi delle prime comunità cristiane. Nel popolo di Israele si possono riscontrare, infatti, i primi riti penitenziali come, ad esempio, momenti e liturgie collettive di espiazione dal peccato. Per i giudei il peccato riguarda tutti come dimensione sociale e solo il sacrificio può espiare questa situazione di male.

Ed anche i primi cristiani, secondo il teologo Harnak, avevano una visione comunitaria “rigida” di fronte al peccato; esso non coinvolgeva solo il singolo ma l’intera Chiesa. L’importanza del cammino e del processo di conversione che riconcilia al Padre in questo contesto primitivo era proprio sottolineata e culminava nel Battesimo che, come abbiamo visto nel precedente articolo, si svolgeva alla presenza di tutta la comunità nella veglia pasquale.

Il peccato, quindi, presenta due connotazioni: è offesa a Dio in quanto rifiuto del suo amore, ma tale rifiuto si ripercuote sull’intera comunità cristiana perché, come dice San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, «se un membro del corpo soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12, 26).

La conversione si presenta come elemento essenziale della vita cristiana. Il paradosso è che il peccatore è dentro alla Chiesa in forza del sacramento, ma è fuori da essa con il cuore perché non corrisponde alla purezza. In questo senso San Paolo sottolinea che l’espulsione dal corpo di Gesù significa non essere più unito ad una vita di grazia.

Si costruisce, quindi, una prima prassi ecclesiale nella quale la Chiesa si fa promotrice dell’autorevole mandato di Gesù: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).

È pertanto pacifico riconoscere che è affidato alla Chiesa il compito di perdonare i peccati, che questo atto è pubblico, comunitario, e ci si riferisce a quei peccati che chiamiamo gravi e che distolgono dall’amore di Dio. Uno di questi è la bestemmia, il rinnegare lo Spirito Santo che equivale a rinnegare il nostro Creatore.

Nel tempo cronologico, il Sacramento della Riconciliazione ha subito alcuni cambiamenti, specialmente nel periodo medioevale. La penitenza passa da essere un atto pubblico ad un atto privato, da un atto ecclesiale ad uno individuale. Queste tappe della chiesa primitiva si proiettano dal II al IV secolo. Il cammino del catecumenato è il percorso parallelo per ricevere la confessione al termine della vita. Dal VI al X secolo la prassi cambia ancora, la penitenza diventa tariffaria: cioè ad un determinato peccato corrisponde una determinata penitenza con la quale scontare il peccato commesso. Diviene una confessione individuale, nella quale si confessano tutti i peccati. Non viene celebrata più solamente in presenza del vescovo, ma da tutti i presbiteri ed è reiteratile. Tutti i confessori sono tenuti a mantenere il segreto, a custodire il sigillo sacramentale. Anche i pellegrinaggi in questo tempo medievale sono strumento diffuso come forma di penitenza.

Come abbiamo accennato, con il sacramento, il peccato è sciolto dal ministro che, con la remissione della pena, permette al peccatore di ritornare sulla strada della vita autentica, quella dell’amicizia con il Signore. Impuntati sono due passaggi:
- la materia, cioè gli atti del penitente che si distinguono in attrizione, contrizione e che, con la confessione, portano alla soddisfazione;
- la forma, ossia l’assoluzione infusa dal sacerdote per opera dello Spirito.

Il Concilio di Trento ha ribadito tutto questo scontrandosi con la tesi Luterana nella quale si professa che il perdono è solo nelle mani di Dio e nella sua decisione già assegnata a ciascun uomo, e non negli atti del penitente. Trento ha pubblicato a riguardo i canoni sul sacramento della penitenza.

Ma si deve al Concilio Vaticano II un profondo ripensamento del sacramento, partendo dalla nuova denominazione che mette al centro la misericordia del Padre verso tutti i peccati, riprendendo i punti principali delle prime comunità cristiane:
- il perdono dei peccati;
- la riconciliazione con la Chiesa.

Con il nuovo rituale che prende il nome “rito della penitenza”, la Chiesa vuole rimettere al centro del sacramento la conversione per ritornare a far parte della vita ecclesiale nell’orizzonte escatologico, quella della fine dei tempi, quanto tutti saranno giudicati de parte di Dio Padre.

Recuperare il senso liturgico e rituale del sacramento è fondamentale, non è possibile tralasciare questa importante opportunità per ogni singolo battezzato. La conversione del battezzato è il punto di snodo sul quale è possibile recuperare il senso comunitario della preparazione, per poi accostarsi al sacramento della penitenza. L’esame di coscienza aiuta ad accostarsi alla Parola di Dio per poter ricevere segni di grazia e di conversione. Quello che avviene nella confessione è un gesto gratuito e unico di incontro e di dialogo con Dio nella preghiera.

La soddisfazione è l’atto conclusivo della riconciliazione, è la guarigione da ogni male ed è l’invito a recuperare il cammino concreto all’interno della comunità cristiana, anche se persiste la pena temporale. Per questo è bene sentirsi pentiti anche di quei peccati che vengono definiti veniali, che “sfigurano” l’anima e che a lungo andare la uccidono.

Il nuovo rituale del 1984 si concentra prevalentemente sulla formula unica con la quale avviene il momento dell’assoluzione e della riconciliazione vera con Dio, dopo aver espresso a Dio i propri peccati e le proprie negligenze:

Dio, Padre di misericordia,
che ha riconciliato a sé il mondo
nella morte e risurrezione del suo Figlio,
e ha effuso lo Spirito Santo
per la remissione dei peccati,
ti conceda, mediante il ministero della Chiesa,
il perdono e la pace.
E io ti assolvo dai tuoi peccati
nel + nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo.

L’invito per ciascuno di noi è quello di recuperare e di ridare importanza al sacramento della confessione, anche quando non abbiamo il coraggio di prendere in mano la nostra vita, esaminarla e confessare i peccati nei quali cadiamo spesso e che ci portano ad allontanarci da Dio. La certezza di poter riconciliarci con Dio è data dall’esperienza iniziale che è stata raccontata e dalla domanda: è possibile rifare la confessione? Certamente è possibile riconoscere nel sacramento della penitenza e della riconciliazione il momento più clemente e più bello in cui, più volte nella vita, possiamo ricongiungerci, riavvicinarsi al Signore, al nostro Padre misericordioso, lento all’ira e grande nell’amore. È un dono grande per tutti noi, non possiamo lasciarlo in disparte, va recuperato e portato a compimento. Accogliamo tutti l’invito del Signore a riconciliarci con lui, perché possiamo un giorno godere della vita eterna nel regno dei cieli.

Don Stefano



L'ABC DELLA FEDE

La BIBBIA: i profeti maggiori (prima parte)

profeta geremia
Il profeta Geremia - Michelangelo, volta della Cappella Sistina

L'ultima grande unità dell'Antico Testamento è quella dei libri profetici. Il profeta è l'uomo di Dio: animato dal suo Spirito ha una parola da rivolgere al re o a Israele da parte di JHWH. Egli esprime il giudizio di Dio sul loro agire. Se Israele e il re sono stati infedeli agli impegni dell'alleanza, la parola del profeta rivela il loro peccato e preannunzia il castigo; se invece il popolo ha già scontato la pena, gli annunzia la prossima liberazione.

Nelle nostre Bibbie i libri dei profeti sono ordinati sulla base della loro importanza, per così dire, ed estensione. Perciò abbiamo prima i cosiddetti grandi profeti: Isaia, Geremia (cui fanno seguito il libro delle Lamentazioni, attribuito dalla tradizione a questo profeta, e poi il libro che porta il nome del suo discepolo Baruc), Ezechiele e Daniele (che, però, più che profetico è un libro apocalittico); poi i dodici cosiddetti profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.

Dal punto di vista storico, invece, distinguiamo tra profeti dell'epoca monarchica: Amos e Osea per il regno del nord (VIII sec. a.C.), Michea, Isaia (Is 1-39), Geremia, Sofonia, Naum e Abacuc per il regno del sud (VIII-VII sec. a.C.); profeti dell'esilio: Ezechiele e "Secondo Isaia" (Is 40-55) (VI sec. a.C.); profeti del dopo-esilio: Aggeo, Zaccaria (Zc 1-8), "Terzo Isaia" (Is 56-66), Malachia, Abdia, Gioele, Giona, "Secondo Zaccaria" (Zc 9-14) (V-III sec. a.C.). Il libro di Daniele è da porsi verso la fine della prima metà del II sec. a.C.

In questo articolo desidero soffermarmi brevemente sui primi tre profeti maggiori.

Isaia nacque verso il 770 a. C., probabilmente a Gerusalemme, città che conosceva molto bene. Si pensa appartenesse a una famiglia aristocratica, date le strette relazioni con la corte di Giuda. Era sposato con una profetessa e padre di almeno due figli.
Profetizzò per circa 60 anni. Fu chiamato a diventare profeta “nell’anno della morte del re Uzzia” (6,1) e cioè intorno al 740 a. C.
Il nome di Isaia, che significa “Dio salva”, viene citato nel Nuovo Testamento più di qualsiasi altro profeta.
Le sue parole preferite sono: salvare, liberare, aiutare. Tutti verbi che hanno la stessa radice del suo nome.
In tutto lo scritto si nota un susseguirsi di metafore, immagini e paragoni. Proprio una di queste immagini si presta a riassumere, in qualche modo, il contenuto del libro.
Il profeta paragona il popolo ad una vigna che il Signore aveva piantato e curato con amore, ma che, arrivato il tempo della vendemmia, aveva prodotto uva selvatica. Dio si aspettava rettitudine, invece il popolo viveva nell’ingiustizia. Al capitolo 6 Isaia riceve la gloriosa visione della santità di Dio e da quel momento sarà incaricato da Dio di annunciare i Suoi giudizi sul popolo. Essi sarebbero stati conquistati e deportati. Tuttavia, nella sua grazia, Dio avrebbe fatto in modo che i sopravvissuti (6,13) tornassero nella propria terra.
A rendere ancora più sorprendente questo testo è soprattutto la profezia riguardante la venuta del Messia, Gesù. Al capitolo 53, con una precisione sconcertante, viene descritta la sofferenza che Cristo avrebbe sopportato fino alla croce.

Geremia era un uomo che si saziava della Parola di Dio, trovando in essa la vera gioia: “Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore...” (Ger 15,16).
Il messaggio di Geremia era rivolto ovviamente alla vita nazionale di quel periodo storico, tuttavia esso ha un valore importante anche per noi oggi. La parola ricorrente nel messaggio di Geremia è “infedeltà”, che compare ben 13 volte nel testo. Geremia è la voce di Dio che denuncia la religiosità esteriore, l’adulterio, la menzogna, l’ipocrisia, note caratteristiche della sua generazione che aveva estromesso Dio dalla propria vita. Vedendo che il suo messaggio veniva rifiutato dalla maggioranza, il profeta comprese che il piano della grazia di Dio si rivolgeva ai singoli individui che erano pronti ad ammettere la propria condizione di peccato.
Geremia predicò che il cuore può essere trasformato per essere fedeli a Dio.
In questi cuori il Signore avrebbe scritto il nuovo patto della sua grazia. Questo nuovo patto, che è diventato chiaro soltanto secoli dopo, è il patto che Gesù sigillò con il suo sangue sulla croce.

Il libro delle Lamentazioni, come già detto, è il secondo scritto biblico di Geremia, che probabilmente fu composto nei tre mesi trascorsi fra l’incendio di Gerusalemme, ad opera delle truppe babilonesi, e la partenza per l’Egitto di coloro che erano rimasti. Siamo intorno all’anno 585 a. C. Geremia iniziò a profetizzare durante il regno di Giosia, cioè il re che guidò l’ultimo risveglio spirituale di Giuda, periodo in cui molti cuori furono toccati, ma che, purtroppo, nel complesso si rivelò solo un movimento superficiale. Giosia andò incontro ad una morte prematura in una battaglia che non avrebbe dovuto essere combattuta contro il faraone egiziano. Geremia, continuò il suo ministero profetico durante i regni dei quattro malvagi re che succedettero a Giosia: Ioacaz, Ioiachim, Ioiachin e Sedecia, l’ultimo re di Giuda.
Il messaggio che Dio rivelò negli anni a Geremia fu veramente duro: si trovò a dover annunciare la distruzione di Gerusalemme e ordinare al popolo di arrendersi al nemico Nabucodonosor, se voleva salvarsi. Della distruzione della città e degli orrori dell'assedio egli fu testimone diretto. L’ultimo capitolo del libro di Geremia dovrebbe essere letto come un'introduzione al libro delle Lamentazioni, che è composto da cinque poemi che parlano della distruzione, del giudizio e del dolore di Dio e si concludono tutti con una preghiera, tranne il quarto. Lamentazioni è un libro attuale. Le sue parole fanno intravedere anche la nostra situazione spirituale: siamo impregnati di peccato, esso è presente in tutte le pieghe della nostra esistenza (1,9); abbiamo un disperato bisogno di aiuto e lo cerchiamo dappertutto tranne che in Dio (1,19).
Lamentazioni ha la risposta a questo problema: “Il Signore è buono con quelli che sperano in lui, con chi lo cerca” E Dio si lascia trovare, all'epoca di Geremia come oggi.

Luca Dalla Palma



LA VOCE DEL CONVENTO

Maria apre la strada a Cristo

annunciata

Cari fratelli, sorelle e amici,

questo anno Maria Vergine ha preparato la festa al Beato Innocenzo.

Come ogni anno, nella prima settimana di agosto qui al santuario della SS. Annunciata, siamo invitati a festeggiare il Beato Innocenzo e nel contempo a celebrare la festa della Porziuncola di Assisi, vivendo insieme l’indulgenza annessa.

In questo anno è accaduto un fatto singolare: la statua della Madonna di Fatima ha preparato tutti noi alla successiva festa del Beato Innocenzo. Tutti abbiamo potuto giovarci della sua presenza sebbene Maria sia in ogni luogo e in ogni luogo può essere invocata.

Anche in questa occasione è stata colei che ha aperto le nostre menti per accogliere meglio il Signore.

annunciata

Maria, fin dall’inizio della sua missione tra noi, è sempre stata colei che apre la strada a Cristo: ci ha donato Gesù e ora ci aiuta a incontrarLo. Nelle nozze di Cana e sotto la croce ha messo tutta sé stessa per cooperare all’opera del Suo figlio e non c’è dubbio che anche ora si adoperi in continuità e amore per portare l’intera umanità all’incontro con Colui che ella ha generato corporalmente.

Bella è questa missione di Maria e, in qualche modo, attira la nostra gratitudine per tutto il bene che ci vuole e per tutto il bene che, per volontà del Padre, opera per noi.

Possiamo pensare a lei, oppure dimenticarcene, ma lei come madre amorevole non cessa di occuparsi dei suoi figli, dell’intera umanità che in lei trova pace, sicurezza, aiuto, intercessione.

E vorrei qui richiamare ad un grande dono che ella ci ha fatto apparendo a S. Caterina Labourè il 27 novembre 1830: la Medaglia cosiddetta Miracolosa, sì quella piccola medaglietta che un tempo le mamme mettevano al collo o cucita alla maglietta dei loro figli. Questa medaglia è stato un grande dono di Maria per la nostra protezione. Non dimentichiamo che si divulgò proprio in occasione di una epidemia avvenuta in Francia e procurò tanto bene a molte persone.

Vi lascio proprio ricordandovi questo regalo di Maria e augurando a ognuno di voi una buona e santa estate.

fra Piero Bolchi



COMUNITÀ IN CRONACA

CELEBRAZIONI E INIZIATIVE

DOMENICA 9 MAGGIO a Lozio - S. Cresime e Prime Comunioni conferite dal Vicario Zonale don Giuseppe Stefini - vedi

DOMENICA 16 MAGGIO a Borno - S. Cresime e Prime Comunioni conferite da S.E. card. Giovanni Battista Re - vedi

DOMENICA 23 MAGGIO a Borno - S. Cresime e Prime Comunioni conferite da don Stefano Bertoni

17-22 MAGGIO a Borno - S. Messa e Rogazioni
Lunedì 17 – Benedizione alle Acque
Martedì 18 – Benedizione al Paese
Mercoledì 19 – Benediz. alla Campagna
Giovedì 20 – Benediz. ai Prati e ai Pascoli
Venerdì 21 – Benedizione alle Famiglie
Sabato 22 – Ricordo dei Defunti

LUNEDÌ 31 MAGGIO - Per la chiusura del mese di maggio Santo Rosario e S. Messa presso il Santuario dell’Annunciata per tutta l’Unità Pastorale

MERCOLEDÌ 2 GIUGNO - Pellegrinaggio ad Ardesio.

DOMENICA 6 GIUGNO a Borno - XXV di ordinazione sacerdotale del nostro parroco don Paolo - S. Messa Solenne

DOMENICA 20 GIUGNO a Ossimo Sup. - Festa dei Santi Patroni Gervasio e Protasio - S. Messa Solenne presieduta dal vicario generale mons. Gaetano Fontana

DOMENICA 20 GIUGNO a Sommaprada - Festa di San Giovanni Battista

24–25–26 GIUGNO a Borno - Festa Patronale di S. Giovanni Battista - vedi
Giovedì 24 - Solenne S. Messa presieduta da S. E. mons. Marco Busca
Venerdì 25 - Il cantiere per la comunità - Serata divulgativa in Chiesa Parrocchiale
Sabato 26 - Fratelli tutti - Lettura di alcuni brani della Lettera Enciclica del Santo Padre Francesco accompagnata da brevi riflessioni di don Carlo Tartari e da musicali del quartetto Ermenian

DOMENICA 27 GIUGNO a Lozio - Festa Patronale dei Ss. Pietro e Paolo

GIOVEDÌ 1 LUGLIO - Pellegrinaggio alla Madonnina di Colere - Santo Messa di affidamento alla Madonna delle Fontane e santo Rosario con la comunità di Colere.

22-26 LUGLIO a Paline - Festa di Sant'Anna - vedi
Giovedì 22 - S. Messa celebrata da don Giuseppe Maffi
Venerdì 23 - S. Messa celebrata don Rosario Verzelletti che ha sostituito mons. Foresti trattenuto per problemi di salute
Sabato 24 - S. Messa celebrata da don Simone Ziliani e processione
Domenica - 25 S. messa celebrata da mons. Tino Clementi
Lunedì 26 - S. Messa celebrata da S.E. card. Giovan Battista Re

DOMENICA 1 AGOSTO a Borno - Giornata della memoria delle vittime del Coronavirus



S. CRESIME E PRIME COMUNIONI A LOZIO

cresime lozio cresime lozio

Domenica 9 Maggio 2021 alle ore 11.00 presso la chiesa dei SS. NAZZARO e CELSO in Lozio, si sono celebrate le Sante Cresime e Prime Comunioni a quattro nostri adolescenti.

Ambra, Francesco, Manuel e Noemi hanno ricevuto il dono dello Spirito Santo!

È stata una bellissima cerimonia presieduta dal parroco di Malegno don Giuseppe Stefini, quale incaricato dal vescovo di Brescia ad ufficiare la celebrazione.

Hanno concelebrato i nostri sacerdoti don Paolo e don Stefano.

La chiesa era come sempre parata a festa con fiori e tanti altri dettagli che hanno dato lustro ad un ambiente che sempre evoca sensazioni particolari.

Era presente l'Associazione musicale dei "Musicanti" che ha solennizzato la SS.messa con bei canti diretti magistralmente da Mascia e Paolo ha hanno accompagnato con chitarra e organo.

La gente raccolta e attenta ha accompagnato i nostri 4 baldi giovani in questo giorno speciale.

Un ringraziamento speciale ad Alessia e Don stefano che non si sono mai risparmiati nel lungo percorso di preparazione.

Ci auguriamo che i frutti di tale percorso siano tangibili e che i nostri ragazzi possano essere parte attiva della vita cristiana nel piccolo comune di Lozio.

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S. CRESIME E PRIME COMUNIONI A BORNO 16 e 23 maggio

cresime borno cresime borno


Festa patronale san Giovanni Battista

«Custodiamo il tempio e prendiamoci cura dell’anima.»

In queste parole si racchiude il senso profondo del messaggio che la parrocchia di Borno ha desiderato dare alle tre serate con cui ha celebrato il 24, 25 e 26 giugno scorso il santo patrono San Giovanni Battista.

Il tema di fondo da cui si è partiti è la fragilità di cui tutti, indistintamente, abbiamo fatto esperienza nell’ultimo anno e mezzo. E la fragilità della nostra chiesa è stato quasi come un segno, l’esemplificazione della consapevolezza delle fragilità dei corpi e dei cuori.

Le celebrazioni si sono aperte con la bella e toccante Santa Messa la sera di giovedì 24 giugno: la gioia di avere fra noi il vescovo Marco e sapere che Borno se lo porta nel cuore hanno contribuito a renderla speciale!

festa s. giovanni battista

Tre i momenti particolarmente toccanti: l'omelia – in cui, fra i molti spunti, il vescovo Marco ci ha ricordato che nella vita abbiamo certo bisogno di cose utili ma che dobbiamo anche riscoprire il valore del gioco, della gratuità, della bellezza, di fare comunità-comunione, di avere cura delle relazioni... aspetti dai quali dipende la nostra felicità – l'invito a scambiarsi "uno sguardo di pace" e in fine la Benedizione.

Nella seconda serata è stato dato spazio ai tecnici che hanno studiato per mesi gli interventi corposi alla nostra chiesa parrocchiale, che a san Giovanni Battista è dedicata, e che l’hanno portata all’attuale splendore. Con la proiezione dei video registrati durante i lavori, è stato possibile mostrare gli interventi in tempo reale, in particolare quelli alle capriate che per ovvi motivi non erano visibili dall’esterno. Tante le curiosità anche legate alle indagini su quello che era la nostra chiesa nell’antichità.

festa s. giovanni battista

Infine la terza serata. Un’alchimia di emozioni speciali grazie alla musica magistralmente eseguita dal quartetto Ermenian e alle stimolanti riflessioni di don Carlo Testini su alcuni passi dell’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti.

Di tutte e tre le serate sono disponibili i video sulla pagina Facebook della parrocchia.

A margine, una riflessione. Ci siamo interrogati sulla partecipazione, perché sono stati pochi i bornesi presenti alle tre serate.

Eppure don Marco è stato una figura importante ed amata nei 3 anni in cui è stato curato a Borno!

Eppure la nostra Chiesa è molto citata nelle guide turistiche per la pregevole bellezza, per l’ordine con cui Pierina e Giacomina se ne prendono cura da più di sessant’anni, per l’attenzione con cui l’hanno custodita i parroci che si sono avvicendati negli anni, per i tanti bornesi che con i loro sacrifici e loro donazioni hanno contribuito ai restauri!

Eppure la musica è un’arte amatissima dai bornesi!

“Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!” (Isaia 49,15)

Per il gruppo Comunicazione
Emilia Pennacchio




22-26 luglio - FESTA DI SANT’ANNA A PALINE

festa di Sant’Anna Paline

Appuntamento annuale che rinnova la devozione, lo spirito comunitario e l’invito ai giovani a mantenere la tradizione.

La festa di Sant’Anna ha avuto sempre una grande importanza per la comunità di Paline e lo dimostra il fatto che richiama, ogni anno, anche coloro che per motivi di vario genere hanno abbandonato la frazione, ma che, a fine luglio, ritornato per le celebrazioni.

Sant’Anna, per un palinese, ha una valenza particolare: rappresenta la Santa a cui rivolgersi, a cui affidare le preghiere, i sogni e le speranze. C’è molta devozione e ciò accresce sicuramente il sentimento di raccoglimento che si percepisce nelle diverse giornate.

La festa, già in passato, aveva un forte valore spirituale e affettivo, ma credo che questo si sia rafforzato maggiormente quando si è unita, alla Santa Messa del sabato sera, la processione. L’idea di far uscire la statua dalla chiesa e portarla lungo le strade del paese ha creato, a mio avviso, un’atmosfera unica e profonda.

Ricordo perfettamente la prima volta e le emozioni vissute. Vedere passare la statua portata dalle mamme e accompagnata dalla banda, ha dato ancor più valore ad un momento di preghiera già di suo intenso. Si è voluto, in un certo modo, condividere con la Santa la quotidianità e renderla ancor di più parte della comunità.

festa di Sant’Anna Paline

Credo che la parola che meglio rappresenti tale momento, però, sia protezione, manifestata nel desiderio di far passare Sant’Anna davanti alle nostre case. Protezione che ognuno di noi vuole, in special modo in un periodo di grande instabilità come questo. Se guardiamo alla nostra statua, vediamo una mamma che accoglie e insegna alla figlia, con uno sguardo dolce e rassicurante. Credo che, in momenti diversi della funzione, ogni fedele ricerchi conforto, sostegno, ma anche serenità e speranza. Speranza che non deve venir meno soprattutto nei momenti difficili.

Un’altra riflessione che sorge è che, in una società frenetica come la nostra, momenti come questi ci permettono di fermaci e riflettere sui valori veri che dovrebbero essere trasmessi. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che siamo noi adulti a dover essere di esempio e veicolare alle nuove generazioni tradizioni e ideali.

La nostra piccola comunità, nel corso del tempo, ha ampliato e arricchito la celebrazione di Sant’Anna, aggiungendo anche un momento meno religioso, ma utile per mantenere bella la nostra chiesetta. Ciò ha permesso di creare e rafforzare lo spirito di comunità: ha dato vita a qualcosa di speciale che ha fatto crescere, a mio parere, il piccolo paese. Ultimante non ci è stato possibile svolgere la Sagra in modo completo. Abbiamo avuto uno stop forzato che però, spero, ci possa far tornare ancora più desiderosi di condividere e costruire insieme.

Un invito finale e quello di recarsi anche solo sul sagrato della nostra chiesetta per una preghiera a Sant’Anna e sperimentare il senso di accoglimento e protezione che noi palinesi percepiamo.

Fabio Fedrighi



ORATORI DELL'ALTOPIANO

Campo estivo ad Astrio di Breno per i ragazzi di quarta e quinta elementare

campo estivo

Il tema del campo di quest’anno è stato SKY HIGH scuola di super poteri. Il titolo fa pensare a questi giorni trascorsi insieme alla ricerca del potere migliore, quello che si vorrebbe avere a tutti i costi. Abbiamo scoperto che il potere che tutti vorrebbero non è quello di poter accendere il fuoco con un dito o la super forza per sollevare pesi colossali, ma quello che ci permette di riconoscerci tutti amici e fratelli in Gesù: lui è il super Eroe per eccellenza. Abbiamo chiesto a Dio di poterci ricaricare ogni volta, per poter essere nella vita super eroi ricchi di amore e gioia da donare ai nostri amici e nemici.
Un grazie particolare a chi ha permesso questa esperienza: agli animatori Davide, Riccardo, Lara, Giada e Valentina e alla nostre bravissime cuoche Marina, Lina e Roberta. Grazie di tutto!

I ragazzi del campo estivo

Per la prima volta abbiamo preso parte al campo scuola della parrocchia in qualità di animatori. È stata un esperienza unica, che ci ha rivestito della responsabilità di bambini più piccoli di noi, col compito di guidarli lungo un’esperienza che ricorderanno per sempre e li ha aiutati in qualche modo a crescere. Consigliamo questa esperienza a tutti, felici di ciò che ci ha lasciato.

Animatori Riccardo e Davide

campo estivo


Cre-Grest INSIDE OUT Quale emozione conta?

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Non si tratta solo di numeri… il Cre-grest di questa estate 2021 ha riscosso un buon successo non solo da parte dei bambini e ragazzi, ma anche da parte degli animatori che si sono dati molto da fare in queste quattro settimane e di chi sostiene questa iniziativa dall’esterno, genitori e nonni. Quella di quest’anno è tutt’altro che una tematica semplice, anzi è molto complicata e difficile su alcuni punti di vista, ma è molto accattivante.
Pensare alle emozioni ci porta a prendere in mano la nostra esperienza quotidiana, ciò che viviamo ogni giorno e che viene scandita da rabbia, disgusto, paura, gioia e tristezza.
Alla fine la gioia ha la meglio sull’altro, perché la gioia è la strada, la direttrice, l’obiettivo sul quale puntare per creare relazioni nuove, belle e vere.
In questo mese abbiamo cercato di interiorizzare tutto questo, cercando di creare nuove amicizie e consegnarle nelle mani del Signore che ci ha creato e ci ha permesso di vivere questo con tutti i nostri amici vecchi e nuovi. Sicuramente tutto questo ci accompagnerà nel cammino della vita.
Un grande grazie a tutti i nostri fantastici animatori, siete forti: continuate così! In particolare ai più grandi che hanno coordinato tutti e due i Grest, elementari e medie. Un grazie particolare all’autista del pulmino dell’oratorio Danilo.

Don Stefano

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Emozioni: questo è il tema del Grest 2021 e di emozioni si può ben dire, ne abbiamo vissute tante, e tutti insieme! Dalla gioia per le giornate passate a giocare, alla felicità nei balli e nei canti. Grazie a tutti per tutti questi bei sentimenti!

Animatore Daniele Bertelli

Per noi azzurri il Grest è stato fantastico, pieno di emozioni. Ogni volta che venivamo qua abbiamo scoperto un mondo nuovo, un’isola nuova di speranza in un mare di uniformità.

Gruppo Azzurri

Ci piacciono gli animatori. Ci piace tanto andare in piscina il mercoledì. Ci piacciono i tanti balli del Grest. I nostri balli preferiti sono i TiK ToK. I nostri giochi preferiti sono stati palla bollata, nascondino e cerca l’oggetto.

Gruppo Arancioni

Ci piace molto il Grest perché si fanno giochi molto belli e stiamo insieme ai nostri amici. Gli animatori sono molto simpatici e ci fanno divertire. Un abbraccio a don Stefano che è il don migliore!

Gruppo Verdi

I giochi proposti sono stati divertentissimi, giocosi, super travolgenti e gli animatori sono stati presenti e severi al punto giusto, divertentissimi. Un bacione da tutti i gialli.

Gruppo Gialli

In questo Grest abbiamo imparato cos’è l’amicizia, a stare insieme, a non escludere nessuno e a voler bene agli altri. Siamo tristi che stia per finire e ci mancherà! Forza Bianchi.

Gruppo Bianchi

Questo Grest per noi rossi è stato molto bello. Ci ha fatto conoscere nuovi amici e siamo stati felici delle nuove esperienze che abbiamo vissuto.

Gruppo Rossi

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Cre-Grest INSIDE OUT Dalle Medie… molto numerose

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Cosa pensiamo del Grest? Noi pensiamo che sia stato importante per noi tutti. È stata un’occasione unica per far nuove amicizie, per crescere e divertirsi. Non dimentichiamoci degli animatori che ci hanno seguito in tutto questo tempo. Purtroppo questa avventura è quasi giunta al termine e volevamo ringraziarvi per tutti questi momenti passati insieme. Grazie!

Matteo, Cristian, Simone e Sergio

È stato bello andare al Grest, abbiamo giocato a giochi divertenti tutti insieme ed è stato un’opportunità per stare con gli amici.

Francesco e Mattia

È stata una bella esperienza in cui abbiamo fatto nuove amicizie e anche se eravamo divisi in due squadre, avevamo sempre il tempo per giocare e divertirci tutti insieme. L’anno prossimo verranno e se ne andranno nuove persone, speriamo che i “nuovi” vivano la mia stessa esperienza e i “vecchi” se la portino nel cuore.

Matteo

Il Grest di quest’anno è stato un'esperienza unica e particolare, che ci ha dato l’opportunità di unirci e conoscere persone nuove, rispettando comunque le normative dovute al Covid.

Giulia, Emma e Alessia

Per noi il Grest è saper stare insieme divertendoci, far nuove amicizie e supportare e sopportare gli altri. Questa esperienza ci ha permesso di aprirci ed essere più empatici.

Margherita, Ambra, Greta

Per noi questo Grest 2021 è stato socievole e educativo, perché tutti hanno conosciuto nuove persone. Ogni giorno era una nuova emozione e grazie agli animatori che tutti i giorni sono stati fantastici.

Riccardo e Sara

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DALLE COMUNITÀ - Borno

Ricordi in pillole di don Franco Rivadossi

Abbiamo chiesto a don Franco di condividere vecchi ricordi della sua gioventù, mentre stava intraprendendo il cammino verso il sacerdozio. Come una macchina del tempo, ci proietta in un tempo lontano, sconosciuto ai più. Lo ringraziamo di cuore!

Ernesto Belotti
Mons. Ernesto Belotti
Vicario parrocchiale (curato) a Borno dal 1945 al 1950
Parroco a Borno dal 1950 al '63

- È il 14 dicembre del 1944. Con don Vanni ci mettiamo in viaggio per Capo di Ponte dove si trovava allora il seminario della prime due classi di medie. Quel santo curato di don Andrea Pinotti ci accompagna a piedi fino a Cividate. Appena fuori Borno incontriamo un carro di legna che scende a valle: un vero colpo di fortuna! Veniamo fatti salire. Giunto a Ossimo Superiore il brav’uomo che conduce il mezzo, anziché percorrere lo stradone con una grande curva, imbocca una angusta stradella. La manovra è azzardata e, complice il gelo che ricopre la strada, il carro si rovescia scaraventando nel prato legna, passeggeri e bagagli vari. In qualche modo raggiungiamo la stazione, prendiamo il treno e in mezz’ora siamo a destinazione. Il 18 dicembre sempre accompagnato da don Andrea, arriva anche Battista (il futuro card Giovanni Battista Re): noi tre eravamo sempre assieme e fin d’allora il nostro soprannome, per tutti i 12 anni di seminario, fu la “trinità di Borno”.

- L’8 febbraio del 1945, nella notte, un aereo lanciò delle bombe pensando di colpire la strada statale e invece colpì il ponte che da Capo di ponte saliva per Cemmo. All’indomani il seminario chiuse temporaneamente i battenti e tutti fummo mandati a casa. Partimmo col treno alle due di notte. Giunti a Breno noi tre di Borno scendemmo insieme a tre di Bienno e a due di Piamborno. Alle 4 facemmo colazione in casa della mamma di don Lino Ertani, famiglia di contadini, con polenta e un po' di latte. Alle 5 pronti per la S. Messa, poi tornammo a piedi verso le nostre case. In quei mesi invernali, nonostante la chiusura del seminario per via della guerra, non interrompemmo lo studio poiché la sera la maestra Celsa Vanoli teneva varie lezioni. Finita la guerra tornammo a Capo di Ponte, dove vi restammo fino al 16 di agosto del ‘45.

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- La mamma di don Vanni incontrando don Andrea Pinotti ebbe la notizia (siamo nel 1932) che tre dei nati in quell’anno li aveva offerti al S. Cuore di Gesù per orientarli al sacerdozio. E così fu!
Anni dopo, su un camion che andava a Borno e che ci aveva caricato come era accaduto col carro di legna, incontrammo un giovane sacerdote che ritrovammo qualche ora dopo in casa dell’Arciprete di Borno e che si presentò come curato. Facemmo così conoscenza con don Ernesto Belotti che ci accompagnò per tutto il percorso verso il sacerdozio. Noi tre seminaristi, tre al convento dei frati cappuccini, due presso la congregazione delle scuole cristiane, due presso le missioni componevamo il “piccolo seminario di Borno”!
A don Ernesto venne affidato anche don Aurelio Abondio per parecchi anni come curato di Borno, fino a quando divenne parroco di Cevo e poi di Boario. Eravamo molto seguiti e amati da don Ernesto, che fu per cinque anni curato e poi per tredici anni parroco di Borno. Don Ernesto era giovane, cordiale, zelante e amico; fu prezioso per il nostro cammino.
Nel 1956 fui ordinato sacerdote e Borno mi onorò con grande solennità.

- Don Ernesto aveva una visione molto aperta e favoriva l’accoglienza dei villeggianti, unica fonte di lavoro per Borno. Furono quelli gli anni in cui la strada Malegno – Borno venne allargata e, dopo la guerra, tanti terreni vennero resi edificabili e si iniziò la costruzione di tante case, parecchie delle quali venivano affittate durante l’estate, altre acquistate come case di vacanza. Il comune di Borno allora non esigeva imposte sulla famiglia, sull’acqua, sull’asilo: unico paese in provincia di Brescia! L’amministrazione comunale era formata da persone, come anche mio padre, che non percepivano nulla e si davano da fare solo per il bene che volevano alla loro terra e ai loro paesani, a differenza dei nostri tempi…

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Borno è in una bella posizione, con un buon clima e con tanto sole. Queste note vogliono essere un invito a continuare a fare di Borno una stazione climatica fortunata e molto apprezzata per le tante persone che la frequentano. A tutti un cordiale saluto e un augurio di ogni bene.

Don Franco Rivadossi



DALLE COMUNITÀ - Ossimo Sup.

Lavori in corso sul campanile della nostra Chiesa Parrocchiale

campane ossimo sup campane ossimo sup

Durante le scorse settimane abbiamo sentito in diversi la mancanza dei rintocchi a festa delle nostre campane. Osservando da sotto il campanile, infatti, si poteva verificare a più riprese la presenza degli operai della ditta incaricata all’opera, intenti nel proseguire gli interventi di manutenzione straordinaria resasi necessaria e non ulteriormente procrastinabile.

Nel mese di gennaio 2021 il computer che consente il suono automatizzato delle cinque campane della Parrocchiale, era stato danneggiano irreparabilmente a causa di una forte scarica elettrica.

In un primo momento si era pensato di poter riparare il danno ma, dopo un’analisi approfondita, le parti danneggiate erano state considerate non riparabili e si è dovuto pertanto procedere alla loro sostituzione integrale. Con l’obiettivo di effettuare una sostituzione il più possibile mirata alle esigenze, non solo di chi utilizza e programma l’esecuzione dei concerti, ma anche di poter aggiornare ed adattare alle caratteristiche di peso, dimensione nonché di perfetto funzionamento (e riduzione di ulteriori potenziali guasti!) delle nostre campane è stato inoltre necessario intervenire in aggiornamento sulle componenti elettromeccaniche (cfr. articolo della redazione sul precedente Cüntòmela).

Tutti i lavori sono stati affidati ad una nuova Ditta (Festoni SNC) specializzata nel settore, avendo la stessa fornito un preventivo considerato dopo “lunghissime riflessioni” quello più adeguato a garantire di essere nella “giusta direzione”…

Terminata questa inaspettata spesa si è inoltre proceduto allo smontaggio dei battagli per la sistemazione ed il ripristino della boccia di battimento che, ormai da troppo tempo, andava segnando le campane in un punto di battuta troppo basso (verso il bordo della campana) con l’elevato rischio di generare incrinature.

Purtroppo durante un sopralluogo in cella campanaria, insieme a don Paolo e con la presenza della ditta FESTONI evidenziamo un ulteriore problema che già nel 2015 aveva destato particolare preoccupazione: alcune maniglie di sostegno delle campane, in particolare sulla “seconda campana”, avevano costretto ad un intervento di riparazione importante ma che niente ha potuto verso una nuova e recente frattura di una delle 6 maniglie di sostegno della campana stessa (trovandoci così in presenza sulla medesima campana di 2 maniglie contrapposte fratturate di netto e pertanto sostanzialmente inutilizzabili, con un grave rischio per la sicurezza!).

Alcune riflessioni ulteriori sono state doverosamente fatte all’indomani del noto incidente avvenuto quest’inverno presso il campanile della Chiesa di Cimbergo dopo il distacco di una delle campane: notizia ben documentata anche dalla locale emittente Teleboario nel notiziario serale: “Cimbergo, campana sfonda il tetto della Chiesa”...

A seguito di questo triste evento che solo per fortuna non ha danneggiato nessuno (il bronzo fortunatamente ha sfondato una parte del tetto che lo ha trattenuto evitando che precipitasse ulteriormente), abbiamo valutato con il prezioso contributo (e coraggio!!!) di don Paolo, pur in presenza di una spesa consistente, di anticipare l’intervento di manutenzione straordinaria che era stato in un primo momento rimandato non avendo la Parrocchia la disponibilità delle risorse economiche per poterlo eseguire nel breve.

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Ma il suono “sincopato” delle nostre campane non ha lasciato indifferenti alcuni generosissimi parrocchiani e la popolazione della frazione superiore che, ancora una volta come in passato, hanno generosamente contribuito a supportare la Parrocchia in questo lavoro contribuendo, dopo l’appello del Parroco, a sostenere parte delle spese di manutenzione straordinaria.

Così, partendo dall’intervento più urgente, è stato posto rimedio alla doppia frattura delle maniglie della seconda campana che, dopo essere stata smontata e calata all’interno del campanile, è stata oggetto di sostituzione integrale della ferramenta di sostegno e di una nuova inceppatura per terminare con la rotazione di 60 gradi sul proprio asse al fine di consentire un nuovo punto di battuta del battaglio. Infine si è proceduto anche alla verifica completa dei contrappesi e delle relative zavorre. Quanto alle maniglie di sostegno, intervento più laborioso e delicato si è optato per la ricostruzione delle stesse in base alla sagoma originaria e con successivo fissaggio e bilanciatura complessiva di tutto il complesso.

Approfittando della generosità delle offerte sopraggiunte, il lavoro è proseguito anche per la terza campana che presentava anch’essa la rottura importante di una maniglia di sostegno.

Particolare attenzione, infine, è stata data al “campanone”: pur non avendo danni apparenti alle maniglie di sostegno (fortunatamente dato il peso di oltre 1300 kg) sempre in sede di sopralluogo era stato rilevato un malfunzionamento di uno dei perni di sostegno che presentava eccessiva usura. In qualità di “campana del popolo” ha potuto beneficiare di alcune offerte libere ma, con grande soddisfazione e ritrovato entusiasmo, i volontari dell’Associazione PRO LOCO hanno reso possibile l’ennesima (ed utilissima!) RACCOLTA del ferro da destinare appunto alla riparazione del CAMPANONE, con una donazione di oltre 1.100 EURO frutto del lavoro di una intera e calda mattinata di fine primavera!

In futuro ci sarebbe anche l’obiettivo di ripristinare tutte le corde per poter effettuare i concerti o le distese manualmente e di ripristino del “gioco a festa”. infatti è attualmente presente solo parte della meccanica, visto che la tastiera fu maldestramente eliminata nel corso di uno dei tanti “interventi di ammodernamento”.

Nello foto si possono vedere gli interventi sulla seconda e terza campana, alcuni particolari delle decorazioni e dei medaglioni ornati presenti sui bronzi, il campanone smontato all’interno della cella campanaria, le faccine degli angioletti divenute “sorridenti”.

Ancora una volta desidero ringraziare personalmente ed a nome della Parrocchia TUTTI i volontari che, nonostante il periodo ancora difficile, hanno dedicato con ritrovato entusiasmo parte del loro tempo condividendo le finalità della nostra “raccolta del ferro 2021”.

Luca Bardoni



DALLE COMUNITÀ - Lozio

Gli Eremi della Casa della Sapienza a Sommaprada di Lozio

Per poter parlare degli eremi bisogna risalire al periodo iniziale della costruzione della Casa della Sapienza. Qualche mese dopo l'acquisizione da parte di Angelo Damiola di una casa con un pezzo di terreno, mancavano gli spazi necessari per accogliere i nuovi ospiti per cui si è reso necessario collocarli altrove. Vediamo un po' bene come tutto è cominciato.

Casa della Sapienza a Sommaprada

Questa storia risale al lontano 1972, quando passeggiando con i ragazzi della parrocchia affidati alle loro cure i coniugi Damiola (Angelo e Rina) si recarono a fare un picnic domenicale a Sommaprada di Lozio. Dopo avere preso posto su un grande prato, l’occhio cadde su una casa con una stalla per gli animali ed un grande prato intorno decisamente incolto. Fu una bella sorpresa per Rina, la domenica successiva, venire a sapere che il marito, senza pensarci troppo, era ritornato a trattare l’acquisto di questa casa che da quel momento loro avrebbero potuto destinare come meglio preferivano. Il vecchio proprietario Medici Pietro aveva ceduto il suo bene in un momento travagliato della sua vita: a seguito di una delusione d'amore si era un po' lasciato andare e quindi aveva trascurato, diciamo così, le sue proprietà.

In men che non si dica vennero sistemati i muri, gli impianti elettrici, idraulici e tutto quanto necessario per rendere la casa abitabile e così, già dall’estate successiva, i due generosi coniugi poterono ospitare gratuitamente a Lozio tutti i ragazzi e le famiglie che non potevano permettersi, per varie ragioni, di trascorrere le vacanze in montagna.

Questo è solo l'inizio di ciò che col passare degli anni è diventata la Casa della Sapienza completa di tutto, dall'accoglienza, alla chiesa, al refettorio e alle stanze capaci di accogliere centinaia di ospiti. Quanta generosità e spirito di carità si è rivelata in questa coppia che negli anni seguenti accolse migliaia di persone, nel segno della fraternità cristiana.

All'inizio gli ambienti erano pochi per accogliere così tante persone, per cui la signora Rina ebbe la brillante idea di chiedere ai contadini che avevano le baite lungo la strada della Sella, la loro cessione momentanea. Alcuni risposero positivamente per cui si giunse a un compromesso: invece che pagare un canone di affitto coloro che vi avrebbero abitato dovevano contribuire con il lavoro alle opere di ristrutturazione ed abitabilità. Così avvenne e in poco tempo queste baite, trasformate in piccoli eremi, furono tutte sistemate e quindi rese idonee per poterci abitare.

Fortunato



DALLE COMUNITÀ - Lozio

Comunità di Lozio in festa

Festa di San Piro a Villa

San Piro a Villa San Piro a VillaSan Piro a Villa

Festa patronale dei Ss. Nazaro e Celso

Ss. Nazaro e Celso Ss. Nazaro e Celso


DI TUTTO UN PO'

È PASSATA UNA SANTA!

XXX di beatificazione di M. Annunciata Cocchetti

Il XXX di beatificazione di M. Annunciata, per noi suore Dorotee, è stato un intero anno celebrativo, che è culminato il 21 aprile, memoria del nostro essere state a Roma, in S. Pietro con Papa Giovanni Paolo II nel 1991 per la grande celebrazione di Beatificazione e in maggio, mese della festa annuale di M. Cocchetti.

Sono stata fortunata di trovarmi a Capo di Ponte in questa circostanza, perché ho vissuto un’esperienza spirituale unica. E la condivido con voi.

La comunità di Cemmo ha voluto celebrare questa ricorrenza in maniera sentita, per onorare la Madre che ha vissuto per le strade di Cemmo il suo cammino di santità.

Le suore hanno cominciato per tempo la preparazione. Hanno raccolto pensieri, formato una commissione che concretizzasse i pensieri in iniziative. Iniziative poi proposte alla gente perché si avvicinassero in tanti ad attingere ancora alla santità della Madre. E così è stato.

Una di queste iniziative è stata una “tre sere di pellegrinaggio” con l’urna contenente la reliquia di Madre Cocchetti (un frammento di osso del suo corpo), portata per le vie dei paesi che lei ha più percorso nella sua vita, incontrando ragazze e famiglie: Cemmo, Capo di Ponte e Pescarzo.

XXX di beatificazione di M. Annunciata Cocchetti

La gente, ancora, non poteva assembrarsi, a motivo del virus, tranne alcune persone preposte per animare la preghiera nei luoghi in cui il Parroco avrebbe impartito la benedizione alle famiglie di quel quartiere.

Ma la gente seguiva dalle finestre, dai balconi delle loro case.

I tre paesi erano addobbati a festa con vari motivi di ornamento, realizzati con nastri bianchi, azzurri e blu. Tutti si erano impegnati ad ornare le loro ringhiere, porte con qualche nastro ed effige di Madre Cocchetti.

Il 19 maggio Capo di Ponte dava inizio alle “tre sere”.

L’urna era posta su un tronetto, in mezzo a tulle bianco, cosparso da delicate, piccole e numerose luci che creavano una suggestione toccante all’imbrunire della sera. Il tutto era installato su un’auto, in mezzo a drappi blu e fiori, accompagnato da musiche e canti ben scelti che si diffondevano, invitando la gente ad accostarsi.

Il tutto creava un clima che coinvolgeva e portava subito lo spirito in un’atmosfera soprannaturale, di vicinanza e partecipazione a un mistero. Che emozione, per noi suore di Capo di Ponte, l’impatto all’arrivo di quell’auto!

XXX di beatificazione di M. Annunciata Cocchetti

Non ci aspettavamo di trovarci con gli occhi pieni di commozione.

Non è stato solo il momento religioso di una benedizione, ma da quell’urna emanava la sensazione di una presenza talmente viva e vicina, toccante, coinvolgente, profonda da diventare un’esperienza interiore indimenticabile.

A distanza di tempo, quando il pensiero o una conversazione porta a quella sera, a quell’esperienza, si riaccende nello spirito lo stesso sentimento di vicinanza affettiva a quei momenti di grazia che la nostra Madre ha saputo comunicare così intensamente.

XXX di beatificazione di M. Annunciata Cocchetti

Le tre serate di pellegrinaggio sono continuate. Dopo Capo di Ponte, a Pescarzo, alla fine a Cemmo, sempre con presenza di fedeli o in cammino spontaneo dietro all’urna (lo spazio all’aperto permetteva la distanza anti-Covid) o alle finestre, ai balconi, nei cortili delle loro case. Con devozione, preghiera e spirituale partecipazione.

La riuscita è stata positiva, perché tutto era stato ben preparato: l’accoglienza, i luoghi della preghiera e della benedizione, i percorsi.

Tutto ha concorso per vivere al meglio un’esperienza di fede.

Abbiamo avuto la sensazione che Madre Annunciata, passata per le strade di questi paesi, sia entrata nelle famiglie, abbia toccato animi, vissuti, situazioni, sofferenze, speranze …

Ce l’ha detto la gente con la sua coesione, impegno, arte e tempo dedicato alla preparazione delle contrade. Ce l’ha detto la devozione nel partecipare, l’espressione di venerazione alla Madre, trasmessa dalla tradizione e dalle narrazioni dei loro avi.

Insomma, in linguaggi diversi, lungo le strade, la gente ha detto: “È passata una santa!”

Sr. Silvana e la sua comunità



DI TUTTO UN PO'

LE FICTIONS DELLA BIBBIA

bibbia giobbe
I tormentatori di Giobbe, illustrazione di Blake, 1785-1790

Non so se sia già demenza senile, ma ultimamente alla televisione, e ancora più spesso in Internet, guardo volentieri solo film, fictions e serie che parlano di vita familiare, amori, amicizia e problemi quotidiani.

Possono essere interessanti i saggi, i documentari e le inchieste giornalistiche (sempre più rare quelle oneste e che, come gli ormai inguardabili talk show, non sono confezionate solo per suscitare clamore e cercare il solito colpevole su cui riversare indignazione e rabbia), ma se desideriamo assaporare qualcosa che vada al cuore della vita, che ci parli di ciò che si agita nell’animo umano, secondo me dobbiamo rivolgerci ad un racconto, una storia, un bel film. I toni possono essere da commedia, seriosi o drammatici, più o meno verosimili, passare da innamoramenti a volte leggeri e melensi, a problemi come la malattia, la povertà o l’ingiustizia, ma le storie, se ben raccontate, sanno coinvolgerci, emozionarci e interrogarci.

È per questo che da molti anni amo leggere la Bibbia. A parte forse alcuni libri sapienziali e alcune lettere del Nuovo Testamento, essa è davvero una straordinaria raccolta di storie, di narrazioni che ci parlano e svelano il cuore e il modo di agire di Dio e soprattutto dell’uomo. Cosa sono, ad esempio, le parabole se non delle formidabili fictions ideate da Gesù per provocarci, mettere a nudo le nostre ipocrisie, i nostri piccoli tornaconto, facendoci aprire la mente e il cuore per accogliere quel regno in cui Dio non è un giudice legalistico e vendicativo, ma un padre misericordioso?

Aspetti che più o meno ritroviamo già abbozzati nel libro di Giobbe. Come nei film più drammatici, anche a quest’uomo, pio ma tutt’altro che arrendevole, gliene capitano di tutti i colori. Centro del libro sono la ricerca di un perché del male, del dolore e l’invito finale ad accettare che non tutto può essere spiegato con luoghi comuni e stupide semplificazioni, che è sempre meglio allargare lo sguardo e continuare a confidare nel bene e nella grande provvidenza di Dio. Mi hanno sempre stupito, però, le parole con le quali i suoi amici si ostinano a ripetere retoriche tradizionali e moralistiche.

Proprio sulla loro scia in questi mesi abbiamo sentito diverse persone, attraverso vari mezzi di comunicazione, sostenere che la pandemia è un castigo o, per i più sobri, un monito voluto da Dio per punirci delle nostre malefatte e richiamarci alla conversione. Come canta Vasco Rossi tutti noi giustamente vogliamo trovare un senso alla nostra vita, a tutto ciò che ci accade. Ma forse continuare a semplificare, a ripetere retoriche e frasi fatte, seppur tradizionali, non è uno dei modi migliori.

Un’espressione, ad esempio, che ho sempre detestato è: “Pensa a chi sta peggio di te!”. Ovviamente chi me la ricordava aveva buone intenzioni e cercava di contenere i miei capricci da bambino viziatello quale ero. Ma a tutt’oggi continuo a considerare un po’ grottesco, e poco cristiano, rappresentare la vita come una sorta di lotteria della sfortuna, in cui in qualche modo rallegrarci perché qualcuno ha ricevuto un biglietto più brutto del nostro. A volte anche noi senza volerlo, come gli amici di Giobbe, rischiamo di essere dei consolatori molesti in circostanze in cui, forse, sarebbe preferibile donare la nostra vicinanza senza molte parole.

A proposito di capricci mi ha sempre divertito il breve racconto di Giona. Inserito tra i libri profetici pur non presentando le tipiche caratteristiche di questi ultimi, citato da Gesù nei Vangeli e probabilmente fonte di ispirazione per Collodi e la sua balena che ha inghiottito il povero Geppetto e poi lo stesso Pinocchio, narra la vicenda di un bastian contrario che alla fine riesce ad arrabbiarsi perfino con una piantina di ricino, pur di non accettare che Dio abbia a cuore e perdoni gli abitanti di Ninive, la grande città pagana e peccatrice.

Un altro racconto piacevole, anche se forse troppo ingenuo e miracolistico almeno per i miei gusti, è il libro di Tobia, dal quale la tradizione cristiana ha tratto spunto per una doverosa opera di misericordia: seppellire i morti. La sua sottolineatura più bella, secondo me, sta nel ricordarci che la provvidenza e la protezione di Dio quasi sempre si concretizzano mediante persone in carne ed ossa che camminano al nostro fianco, divenendo, per rimanere al testo del racconto, dei veri angeli custodi che possiamo ripagare solo con il nostro grazie.

Come altri libri della Bibbia, le fictions di Giuditta ed Ester parlano poco di Dio e molto di sentimenti e comportamenti umani. In esse troviamo gli ingredienti di infiniti romanzi e film: lotte per il potere, strategie di guerra, dominio sui poveri, invidie, vendette, uso più o meno discreto del fascino femminile per riscattare gli sconfitti e far trionfare una giustizia che, in alcuni casi, risulta non meno violenta dell’ingiustizia.

bibbia rut

Ma uno dei libri più femminili di tutta la Bibbia è senz’altro quello di Rut. Scherzando con un amico, una volta l’ho definito una vera e propria telenovela, una soap opera ben costruita per smuovere e commuovere. Sono quattro capitoletti che si leggono in venti minuti e in cui si passa dal dramma al lieto fine, intrisi di quello che oggi, con un termine sciocco molto di moda, si potrebbe definire buonismo. Sbaglierò, ma spesso ho l’impressione che siamo portati a considerare più realistiche e interessanti le storie di male che quelle di bene.

Per diverse settimane Luigino Bruni, economista ma anche appassionato e competente studioso biblico, ha proposto sul sito di “Avvenire” una serie di articoli dedicati proprio al libro di Rut. Ha offerto spunti reali che sostengono questa storia e che facevano parte della tradizione d’Israele, Ha rammentato un fatto che sentivamo raccontare in passato e che, purtroppo, è tuttora presente: le ragazze che si mettevano a servizio di altri per procurarsi il necessario per vivere, spesso dovevano subire molestie di ogni tipo.

Ma vedendo la buona volontà di Rut – la moabita che, rimasta vedova, è voluta rimanere con sua suocera Noemi, seguendola nel ritorno ad una terra per lei straniera e dicendole che “il tuo popolo diventerà il mio popolo, il tuo Dio diventerà il mio Dio” – Boaz, parente di Noemi e proprietario del terreno in cui Rut stava spigolando senza sosta, ordina ai suoi servi: “Lasciatela spigolare anche fra i covoni e non fatele del male. Anzi fate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; lasciatele lì, perché le raccolga, e non sgridatela”. (Rt 2,15-16)

Partendo da questo passo l’articolista di “Avvenire” ha evidenziato ancora una volta come un sistema economico è davvero efficace e a servizio dell’uomo solo quando ingloba in sé l’idea del dono, della gratuità. Lo stesso prof. Luigino Bruni prima con l’economia di comunione, nata nell’ambito dei Focolarini, e poi con l’evento denominato “economy of Francesco” che dovrebbe svolgersi quest’estate, da alcuni anni fa parte di un movimento che sta ripensando il modo di intendere e realizzare l’economia; un’economia che cerchi di evitare tutte quelle storture ben evidenziate dall’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco.

Ma è bello pensare che in fondo l’agire di Boaz rifletta un po’ l’agire di Dio, la sua economia. Anche noi, come Rut, siamo chiamati a lavorare nel suo campo-regno in compagnia dei fratelli.

Possiamo e dobbiamo sfruttare i nostri talenti, come ci racconta un’altra fiction del Vangelo. Ma se Lui non facesse cadere le spighe della sua grazia, i sacchi delle nostre vite rimarrebbero sempre vuoti.

Franco Peci



Nomi e Volti

Battesimi

Borno ________

battesimo Borno
Alessia Bonariva
di Stefano e Romina Valentini
Borno 4 luglio 2021

battesimo Borno
Amelia Morelli
di Ugo e Maria Gheza
Borno 11 luglio 2021

battesimo Borno
Daniele Fedrighi
di Francesco e Samantha Tadeo
Borno 18 luglio 2021

battesimo Borno
Dea Maria Capoferri
di Luca Giuseppe e Silvia Rivadossi
Borno 25 luglio 2021

Ossimo Inf. ________

battesimo Ossimo Inf.
Emma Franzoni
di Silvio Raffaele e Eleonora Isonni
Ossimo Inf. 30 maggio 2021

battesimo Ossimo Inf.
Mattia Beltracchi
di Michele e Noemi Zendra
Ossimo Inf. 6 giugno 2021

battesimo Ossimo Inf.
Alice Serra
di Alessandro e Corinne Zendra
Ossimo Inf. 20 giugno 2021

battesimo Ossimo Inf.
Francesco Franzoni
di Michele e Valentina Fanti
Ossimo Inf. 11 luglio 2021

battesimo Ossimo Inf.
Francesco Pasotti
di Stefano e Claudia Andreoli
Ossimo Inf. 18 luglio 2021

Ossimo Sup. ________

battesimo Ossimo Sup.
Daniele Rigali
di Giovanni e Samanta Macri
Ossimo Sup. 25 aprile 2021

battesimo Ossimo Sup.
Sofia Rigali
di Giovanni e Samanta Macri
Ossimo Sup. 25 aprile 2021

battesimo Ossimo Sup.
Loris Zerla
di Omar ed Elena Scalvinoni
Ossimo Sup. 25 luglio 2021



Nomi e Volti

Matrimoni

Borno ________

matrimonio Borno
Annalisa Baisotti e Luca Rivadossi
Borno 29 maggio 2021

matrimonio Borno
Valentina Fiora e Paolo Manenti
Borno 5 giugno 2021

matrimonio Borno
Maria Miorini e Fabio Sangalli
Borno 17 luglio 2021

matrimonio Borno
Cristina Gheza e Matteo Gheza
Borno 23 luglio 2021

Ossimo Sup. ________

matrimonio Ossimo Sup.
Arianna Casarotti e Luca Faccanoni
Ossimo Sup. 8 maggio 2021


99 anni !!!

nonna Maria
Tanti auguri a nonna Maria di Ossimo Inferiore
che quest'anno il 21 maggio ha compiuto 99 anni.



Nomi e Volti

Chiamati alla vita eterna

Borno ________

defunto Borno
Maria Zerla
14-12-1931 + 27-3-2021

defunto Borno
Marianna Fiora
23-11-1932 + 2-4-2021

defunto Borno
Carla Franzoni
12-3-1922 + 8-4-2021

defunto Borno
Bortolina Avanzini
29-11-1923 + 10-4-2021

defunto Borno
Matteo Andreoli
22-2-1996 + 23-4-2021

defunto Borno
Andrea Val. Guarinoni
8-8-1962 + 27-4-2021

defunto Borno
Maria Pessognelli
12-5-1937 + 11-5-2021

defunto Borno
Giacomina Arici
10-5-1924 + 12-5-2021

defunto Borno
Maddalena Andreoli
3-4-1959 + 13-5-2021

defunto Borno
Gianfranco Arnaudo
6-1-1947 + 20-5-2021

defunto Borno
Severino Fedrighi
28-1-1940 + 21-5-2021

defunto Borno
Domenica Magnolini
11-9-1944 + 26-5-2021

defunto Borno
Francesca Avanzini
5-12-1924 + 7-6-2021

defunto Borno
Armando Andreoli
13-11-1949 + 18-6-2021

defunto Borno
Cornelia (Amelia) Rivadossi
19-12-1936 + 22-6-2020

defunto Borno
Angelo Andreoli
4-4-1945 + 6-7-2021

defunto Borno
Maria Baisotti
13-8-1935 + 6-7-2021

defunto Borno
Angela Mensi
28-9-1935 + 11-7-2021

defunto Borno
Mario Andrea Arici
26-4-1936 + 17-7-2021

Ossimo Inf. ________

defunto Ossimo Inf.
Antonio Andreoli
14-12-1943 + 12-5-2021

defunto Ossimo Inf.
Luigi Zendra
20-9-1935 + 28-5-2021

Ossimo Sup. ________

defunto Ossimo Sup.
Ermes Saleri
26-3-1937 + 30-3-2021

defunto Ossimo Sup.
Giacomo Andreoli
12-8-1940 + 5-5-2021

defunto Ossimo Sup.
Bortolo Bottichio
16-10-1932 + 15-7-2021

Lozio ________

defunto Lozio
Natale Bonariva
25-12-1952 + 26-3-2021

defunto Lozio
Lucia Tilola
2-7-1931 + 5-5-2021

defunto Lozio
Mario Piccinelli
10-11-1923 + 10-7-2021

Caro Babbo nella tua vita hai intrapreso molti cammini. A diciannove anni nel 1943 iniziasti il lungo viaggio rinchiuso per otto giorni su quel vagone animali "Uomini 40 cavalli 8", dove fu provvidenziale quella pagliuzza per recuperare il grano rimasto tra le fessure delle assi del pavimento per mangiare qualcosa.
Nell'aprile 1945 iniziasti il cammino di ritorno: 800 km a piedi dalla Germania e lungo il percorso, stavolta, furono le patate, appena seminate dai contadini, a toglierti un po'' la fame. Poi finalmente hai potuto fare lunghi cammini nei boschi per il tuo lavoro e sulle amate montagne di Lozio.
Ora hai intrapreso un nuovo cammino verso la cara Mamma e noi ti porteremo con amore sempre nei nostri pensieri con i tuoi grandi insegnamenti.
Buon cammino Babbo.
(Clelia e G. Pietro.)

defunto Lozio
Severina Giorgi
20-6-1929 + 17-5-2021

Appena finita la scuola elementare lasciò Lozio per Milano a servizio di una famiglia. Ai tempi funzionava così. Si sposò ed abitò a Rossano e a Lozio non ritornò più, anche perchè l'alluvione del 1960 portò via la sua casa.
Le chiese della Parrocchia della sua infanzia però le restarono sempre nel cuore e, anche da lontano, pensò a loro ed è con grande riconoscenza che ricordiamo Severina.


Cüntómela
Pasqua 2023

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Frugando nel Sacco
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