Parrocchia san Giovanni Battista - Borno

Archivio Cüntómela

cuntomela Estate 2025

Estate 2025

Carissimi tutti,
L’elezione di Papa Leone XIV
Riscopriamo il significato autentico del far festa
I 1700 anni dal Concilio di Nicea
ABBIAMO CELEBRATO... Almanacco delle comunità
La BIBBIA: Lettere di san Paolo (seconda parte)
Luoghi e simboli della liturgia: le reliquie dei santi
...perché il suo amore è per sempre LA PAGINA DEL SALMO
Non si parte dal tetto: prendersi cura dell’oratorio
Campo estivo elementari a Vilminore di Scalve
L'INDULGENZA: segno della misericordia di Dio
Giornate Giubilari
Giornate Giubilari nelle nostre parrocchie
Giornate Giubilari a Lozio: una bella esperienza
Tessitori di speranza
Restauro della Chiesa di San Fermo
50° Anniversario di sacerdozio di don Cesare Isonni
... e di don Lino Zani
Don Vittorio Pennacchio un prete dal cuore grande
La Misericordia: il pane del perdono
Racconto non troppo serio di un confessionale
Il perdono nella musica classica
Battesimi
Matrimoni
Morti in Cristo


Cuntomela Estate 2025


Oggi la vita appare un torrente sempre più vorticoso: tutto scorre velocemente e spesso si ha l'impressione di non riuscire a tenere il passo, a rimanere aggiornati.

Ma le vere esigenze dell'animo umano rimangono sempre le stesse: colmare i vuoti interiori, assaporare la serenità, la felicità, l'autentica pace che è pienezza di vita.

Insieme alle rubriche ormai consolidate, abbiamo ovviamente lasciato spazio al Giubileo, evidenziando in questo numero di Cüntòmela il perdono e la misericordia, e ad alcune iniziative nelle nostre comunità per vivere questo anno speciale.

Da quando è nato nell'antico Israele, l'anno giubilare esprime la necessità di una pausa - della terra e di tanti lavori - per ritornare ad una dimensione umana più autentica.

Anche le vacanze estive possono essere vissute come una pausa per contemplare ciò che ci circonda, per rinnovare rapporti di amicizia, per riscoprire il vero significato del camminare e del fare festa insieme.

A tutti buona estate!

La redazione

Cuntomela Estate 2025


Carissimi tutti,

ho accolto volentieri l'invito di don Paolo, vostro parroco, di scrivere queste mie parole, per continuare la riflessione sull'anno che stiamo vivendo, il Giubileo 2025, come pellegrini di speranza e portatori di benevolenza, di pace e di misericordia nella Chiesa e nella comunità cristiana. Sono un sacerdote che ogni estate vive a Borno alcuni giorni di vacanza, memore di tempi e di festività, vissuti quando il parroco, era don Giuseppe Verzeletti. Sono suo cugino. Ho di Borno una grande stima e ammirazione. Ciascuno di noi come cristiano, è chiamato e prendere consapevolezza dei propri desideri e dei propri bisogni, a nutrirsi e a ritrovare coraggio, speranza e sguardo in alto, verso Dio.

Delusioni, preoccupazioni e malanni, rischiano a volte di farci gettare la spugna. Perché impegnarci? Perché continuare a lottare?

Sembra che non ne valga più la pena. Abbiamo bisogno di cammini e di parole che ci spingono a ritrovare la motivazione di quanto siamo e facciamo e a conservarla quando rischiamo di perderla.

Diceva il Santo papa Giovanni Paolo II: “Per natura la nostra volontà è libera. Significa che non porta in sé alcuna determinazione preliminare, se non la necessità di tendere in alto, alla felicità, al bene assoluto, a Dio”. Ora l’occasione giubilare di varcare la “Porta Santa" ci porta a vivere una conversione personale interiore ed entrare nella Paternità di Dio, ricco di perdono e di misericordia. Questa costruisce in noi l'amicizia con Dio. Più una persona è matura, più è consapevole, più dovrebbe rendersi conto della bontà di Dio. E questa è grazia; la grazia è incontro con Dio, è frutto della sua presenza in noi.

Più la persona è matura, cristianamente, più è consapevole nella sua fede e più dovrebbe rendersi conto di cosa sia l'amicizia con Dio, perché Dio non è qualcosa di astratto e nemmeno il bene più grande, come pensava il filosofo Platone, Dio è qualcuno, è la realtà personale più completa. Platone diceva che Dio è l’idea più alta di bene, mentre Cristo diceva che Dio è Padre, il “Dives” (cioè ricco) in misericordia, come è scritto, in una enciclica di papa Giovanni Paolo II. E Cristo ci ha anche insegnato l'amicizia con Dio, che è grazia.

Più la fede si sviluppa, più il cristianesimo interiore progredisce, più l'amicizia con Dio dovrebbe svilupparsi e si sviluppa. E sulla scia di questa scoperta di Dio, che è Padre di misericordia e che desidera diventare amico di ogni essere umano, di ciascuno di noi,in questa amicizia è costante e fedele, paterno e fraterno allo stesso tempo, provvidenziale e interiore; da ciò consegue anche la scoperta sempre più matura di noi stessi. La grazia non solo ci avvicina a Dio, è comunione con lui, ma ci avvicina anche a noi stessi. La religione cristiana è la vocazione di ogni persona alla relazione spirituale con Dio. Questa relazione non è solo un riconoscimento cognitivo, ma è anche una consegna e un impegno di sé.

In questo modo una persona inizia ad appartenere a Dio e si sviluppa in questa appartenenza, come frutto generoso del Battesimo e dei sacramenti ricevuti in modo singolare nell’ascolto assiduo della Parola di Dio. La preghiera personale e vissuta nella Chiesa fa sorgere in noi un interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità, fraternità, di amore verso il prossimo.

In questo senso la chiamata di Dio alla fede può diventare testimonianza e missione in famiglia e nella Chiesa: essere dono di sé nell’accogliere, sostenere e collaborare nelle varie iniziative e incontri di formazione sia in parrocchia che in oratorio.

Sorga in noi quindi la consapevolezza profonda di essere amati da Dio, di un amore che è più di un semplice sentimento, un amore che è essenzialmente Qualcuno: Gesù Cristo, “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1а Gv 16,4), scrive San Giovanni. Per un cristiano il riconoscimento del fratello accanto a sé nasce fondamentalmente dalla scoperta di “un Dio che è Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6). Non a caso papa Leone XIV nella messa per l’inizio del suo ministero petrino il 18 maggio scorso, apre l’omelia con il celebre inizio delle “Confessioni” di Sant’Agostino: “Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa, finché non riposa in Te”. Sollecita così ad approfondire la relazione dell’uomo con Dio, a conoscere Gesù che abita nell’interiorità dell’uomo. Gesù Cristo è causa vera di ogni fraternità e di ogni impegno in tal senso. Quindi ascoltando l’invito del papa dobbiamo camminare tutti insieme nella fede e nella testimonianza e missione della Chiesa.

A tutti auguro un buon cammino giubilare di speranza per posizionarci tutti nella misericordia di Dio e donare frutti di bene e di pace nella fraternità cristiana vissuta in famiglia e nella Chiesa.

Don Rosario Verzelletti




Preghiera del Giubileo

Padre che sei nei cieli,
la fede che ci hai donato nel
tuo figlio Gesù Cristo, nostro fratello,
e la fiamma di carità
effusa nei nostri cuori
dallo Spirito Santo,
ridestino in noi, la beata speranza
per l’avvento del tuo Regno.
La tua grazia ci trasformi
in coltivatori operosi
dei semi evangelici
che lievitino l’umanità e il cosmo,
nell’attesa fiduciosa
dei cieli nuovi e della terra nuova,
quando vinte le potenze del Male,
si manifesterà per sempre la tua gloria.
La grazia del Giubileo
ravvivi in noi Pellegrini di Speranza,
l’anelito verso i beni celesti
e riversi sul mondo intero
la gioia e la pace
del nostro Redentore.
A te Dio benedetto in eterno
sia lode e gloria nei secoli.

Amen

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L’elezione di Papa Leone XIV

Card. Giovanni Battista Re

Il nuovo Papa è stato accolto con gioia ed entusiasmo nel mondo intero.

Il suo stile, le sue prime parole, le sue iniziative ed i suoi gesti hanno conquistato i cuori e suscitato immediata fiducia.

Per noi cattolici l’elezione di un nuovo Papa non è un semplice avvicendarsi di persone, ma è sempre l’Apostolo Pietro che ritorna, anche se ogni suo Successore ha una propria personalità umana. Per questo, all'inizio di ogni pontificato, sono inevitabili i confronti con i Papi precedenti.

Al riguardo bisogna riconoscere che lo Spirito Santo non si ripete mai e che ogni Papa è sempre un uomo di spicco, ma non è mai la fotocopia di chi lo ha preceduto nella guida della Chiesa.

Papa Leone è di temperamento mite e benevolo, ma anche chiaro e forte.

Ha un’ottima formazione dottrinale, una profonda spiritualità e una non comune esperienza pastorale. È uomo di polso, che guiderà la Chiesa con saggezza e con bontà verso tutti, ma anche con fermezza.

Le sue prime parole da Papa lasciano trasparire che l’unità della Chiesa e l'impegno per la pace gli stanno particolarmente a cuore.

Col mondo contemporaneo avrà un dialogo fiducioso e coraggioso. Sarà un costruttore di ponti e non di muri, e risveglierà le energie positive, pacifiche e buone che vi sono nella società di oggi. Soprattutto rafforzerà la fede in Dio in questo nostro mondo che vive come se Dio non esistesse, mentre solo se Dio è posto al centro del pensare e dell'operare, le persone e le istituzioni trovano il giusto orientamento.

Ha scelto il nome di Leone soprattutto, come ha spiegato, in ricordo di Papa Leone XIII (Pontefice dal 1878 al 1903) che con la storica Enciclica Rerum novarum (1891) affrontò la questione sociale nel contesto degli inizi della grande rivoluzione industriale di fine 1800, e pose le basi della dottrina sociale della Chiesa, proclamando la dignità di ogni persona umana e difendendo i diritti dei lavoratori e il bene della società.

Oggi vi sono nuove sfide nei confronti della dignità di ogni uomo e di ogni donna, certamente non meno importanti e impegnative. La Chiesa è chiamata a rispondere alla nuova rivoluzione caratterizzata dalla tecnologia e dagli sviluppi dell'Intelligenza Artificiale, che comportano non piccole sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia, del lavoro e della pace.

L’Intelligenza Artificiale è una nuova forma di potere, che offre grandi vantaggi, ma comporta anche non piccoli rischi, perché non ha né coscienza né cuore. Essa richiede responsabilità e discernimento. Sarà autentico motore di sviluppo umano e sociale soltanto se resterà dentro l’umanesimo, non dimenticherà l'etica e verrà sempre orientata verso il bene di tutti.

Papa Leone ha avuto modo di acquisire, nei 69 anni della sua vita, una straordinaria conoscenza del mondo intero. È nato a Chicago (USA) nel 1955. Suo padre era cittadino statunitense, ma di origine francese e il nonno aveva le radici in Piemonte. La mamma era di origine spagnola.

Nel 1977 conseguì il baccalaureato in scienze matematiche e la laurea in filosofia presso l'Università Villanova di Philadelphia e poi entrò nel noviziato dei Padri Agostiniani, con i quali era in rapporto fin dall'adolescenza.

A 27 anni, l’Ordine degli Agostiniani lo inviò da Chicago a Roma per laurearsi in diritto canonico preso l’Università Angelicum.

Il 19 ottobre 1982 fu ordinato sacerdote a Roma e due anni dopo fu inviato missionario in Perù, dove si dimostrò vicino alla gente ed ai loro problemi.

Nel 2002, eletto Priore Generale dell’Ordine di Sant'Agostino, venne ad abitare nella casa generalizia a Roma, e allo scadere del mandato di 6 anni, fu riconfermato Priore Generale per altri 6 anni. Durante questo periodo compì numerosi viaggi per visitare le varie Comunità Agostiniane nel mondo, fino a Papua nella Nuova Guinea, dove rimase un paio di settimane con quella Comunità Agostiniana.

Nel 2014 Papa Francesco lo nominò Vescovo della diocesi di Chiclayo, per cui ritornò in Perù.

Il 30 gennaio del 2023 fu richiamato a Roma come Prefetto del Dicastero per i Vescovi e in quello stesso anno fu creato Cardinale.

Queste molteplici esperienze in campi e in continenti diversi, unite a una solida spiritualità, hanno arricchito Papa Leone di una straordinaria preparazione all'alto compito di Successore di Pietro e di Vicario di Cristo.

Leone XIV è il Papa di cui la Chiesa e il mondo hanno bisogno in questo nostro tempo, segnato da un grande affievolimento del senso di Dio e da un impoverimento di valori umani e cristiani. Inoltre il mondo è tormentato da guerre con orrori disumani, armi distruttive di grande potenza e di tragiche dimensioni.

Penso che "le somme chiavi" - come Dante chiamava le chiavi consegnate da Cristo a San Pietro e ai suoi successori - sono cadute nelle giuste mani.

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Riscopriamo il significato autentico del far festa

Don Raffaele

C’era una volta la festa di S. Agnese: in gennaio le ragazze prima della festa ascoltavano delle conferenze, si confessavano e poi, il giorno della Santa, con il velo bianco sulla testa si faceva una bella processione.

C’era una volta la festa di S. Luigi, patrono dei giovani, il santo della purezza. Rappresentato in una statua con il collo un po’ storto e un giglio in mano, dai predicatori veniva proposto come un mezzo uomo, fuori dal mondo concreto. Per disprezzare un giovane un po’ troppo calmo e un pochino sfigato si diceva: “Sembra un S. Luigi!”. Tutti i giovani erano presenti alla festa, alla processione e al rinfresco: era una gran bella festa. Poi sono venuti i compagni del vecchio PCI (per chi non lo sapesse si dice Partito Comunista Italiano, attualmente defunto come tanti altri partiti della nostra bella Italia) e hanno trasformato la festa di s. Luigi nella festa dell’Unità, con tanti discorsi fasulli, montagne di salamelle e patatine per un mese intero.

E la nostra gente, i nostri cristiani, si sono abituati a celebrare le feste del Signore e della Madonna con delle mangiate e bevute storiche. E se tutti i salmi finiscono in gloria, tutte le feste finiscono con i piedi sotto la tavola per mangiare, bere e ascoltare musica un po’ noiosa.

Ergo: le feste cristiane, anche le più sacre e importanti, sono state svuotate del loro significato di fede, sono diventate un commercio legato a certi prodotti, per cui dici che è Natale non perché guardi il calendario della Chiesa, ma perché nei supermercati compare il panettone; dici Pasqua non perché Gesù è risorto, ma perché vedi tante uova e altrettante colombe; ti ricordi che c’è la festa di s. Giuseppe perché la cravatta da regalare al papà è scontata; sai che è s. Valentino, la festa degli innamorati, perché ti invitano a comprare tanti baci Perugina e i cuori di cioccolato.

Da sempre l’uomo ha fatto festa. La festa è un giorno speciale dove c’è tutto quello che desideriamo e che un tempo era anche più atteso: una tavola ben imbandita con cibi buoni, il vino, i vestiti della domenica, il riposo, il ballo, il divertimento… La festa porta a vivere qualcosa di diverso dalla solita vita. Dice la Bibbia che Dio ha creato il mondo in sei giorni, ma il settimo è suo, dedicato a Lui: al riposo e al grazie per la Creazione. La festa rappresenta qualcosa di diverso e da vivere in modo diverso: per i cristiani dovrebbe essere dedicata a Dio ringraziandolo e ricordandosi che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.”

Noi cristiani dobbiamo recuperare il senso vero della festa. Anzitutto la festa della domenica, giorno del Signore, giorno del riposo e della famiglia, giorno da dedicare al gioco, al turismo e alla contemplazione del creato. Il cristiano però non deve mai dimenticare la dimensione spirituale della domenica con la santa Messa che aiuta a santificare la giornata. Messa vista non tanto come un obbligo (se perdi la Messa non vai all’inferno e non ti viene il mal di pancia e il parroco non si mette a piangere), ma come momento per chiederti se stai percorrendo la strada giusta, per ripensare a ciò che vale davvero nella vita e non solo ai soldi, una sosta per riprendere fiato e rinnovare il cammino.

Oltre alla domenica, la piccola Pasqua della settimana, abbiamo le grandi feste che costellano il nostro Anno liturgico, feste solenni dedicate al Signore e alla Madonna: Natale, Pasqua, Pentecoste, il Corpo e Sangue del Signore, il Sacro Cuore…

La Madonna ci accompagna nel nostro cammino come Mamma Immacolata, l’arca preziosa che ha accolto il Verbo di Dio: Gesù! È Lei che ci invita a guardare al cielo, perché là è il termine del nostro cammino. Lei è già nella gloria, noi siamo in cammino, ma risplende per noi – come diciamo nel prefazio della Messa dell’Assunta – segno di consolazione e di speranza. Questa è una festa difficile da capire e da vivere, perché cade in piena estate, quando siamo invitati a guardare alla terra e al mare più che al cielo.

Certo è un confronto tra il sacro e il profano un po’ difficile e sembra che il profano abbia la preminenza. Noi preti nelle chiese facciamo sentire il profumo dell’incenso, ma sembra che il profumo degli strinù e dello spiedo sia più forte. Il profumo dell’incenso sale al cielo con le nostre preghiere, il profumo dello spiedo si disperde in terra e anche sottoterra, come tutto quello che mangiamo. Facciamo pure festa con strinù e patatine, ma la vera Festa è quella del cielo.

Buona estate e buone feste a tutti voi!

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I 1700 anni dal Concilio di Nicea

Gregory Andreoli

Come il Santo Padre Leone XIV ha ricordato, quest’anno ricorrono i 1700 anni del Concilio di Nicea. Si tratta del primo concilio ecumenico della storia della Chiesa, che ha il grande merito di aver confermato la tradizione rivelata.

Con l’ascesa al potere dell’imperatore Costantino – dapprima con la battaglia di Ponte Milvio e, successivamente, con quella di Adrianopoli in cui divenne unico augusto – si inaugura una nuova politica imperiale nei confronti del Cristianesimo.

Infatti vengono emanati dei provvedimenti politici e giuridici che sanciscono una politica di riconoscimento del Cristianesimo che, da religione perseguitata, diventa religione ufficiale dell’Impero romano.

Tuttavia tale periodo è segnato da disordini e inquietudini scaturite dalla predicazione di Ario. Quest’ultimo attribuiva al Verbo l’essere creato e a Gesù una filiazione puramente adottiva; di conseguenza ne risultava Cristo come intermediario tra Dio e l’uomo, e di sostanza diversa dal Padre. Si tratta di una pericolosa eresia che colpiva al cuore il mistero trinitario!

Per porre rimedio a tale confusione, Costantino, in qualità di garante dell’unità politica e religiosa, convoca nel 325 il Concilio di Nicea, nell’allora Bitinia (l’odierna Turchia). Dal 20 maggio al 19 giugno vi prendono parte circa trecento vescovi. Durante il Concilio, i Padri conciliari condannano le tesi di Ario, e inoltre adottano la Confessione di fede, che conferma la divinità del Figlio, il quale è della stessa natura del Padre, ed è sempre esistito, quindi coeterno (distinto ma inseparabile dal Padre): il Redentore è consustanziale al Padre.

Fondamentale per salvaguardare la divinità di Cristo è il contributo di sant’Alessandro di Alessandria, sant’Eustazio di Antiochia, e soprattutto di sant’Atanasio, che si impegna a non dare tregua all’eresia e a trasmettere la formula consustanziale al Padre. Purtroppo, poco tempo dopo la fine del Concilio, il dogma dell’Incarnazione del Verbo è ancora attaccato dai partigiani di Ario, le cui idee si diffondono a tal punto che, al tempo delle invasioni barbariche, ci si imbatte in popoli ariani.

Nonostante siano passati 1700 anni, l’eredità del Concilio di Nicea è quanto mai attuale. Infatti, da tale riflessione teologica, nasce il “Simbolo Niceno”, cioè il Credo che si recita la domenica nella Messa: “genitum, non factum, consubstantialem Patri”.

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ABBIAMO CELEBRATO... Almanacco delle comunità

Lunedì 21 aprile a Ossimo Superiore
S. Messa solenne in onore della Beata Vergine Maria a seguire con la Banda “S. Cecilia” rinnovo del Voto al Cuore Immacolato di Maria in piazza Roma.

Dal 21 al 23 aprile
Pellegrinaggio ad Assisi con i ragazzi di prima media.

Giovedì 24 aprile
Nella chiesa parrocchiale di Borno le nostre comunità si sono riunite in preghiera e Adorazione Eucaristica in memoria di Papa Francesco.

Mercoledì 30 aprile in chiesa a Borno
Presentazione del libro Il prodigio della Grazia” Madonna di Ardesio.

Santo Rosario del mese di maggio,
la sera presso le Santelle in tutto l’Altopiano.

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Domenica 27 aprile – Ottava di Pasqua
Prime sante confessioni nella chiesa di Ossimo Superiore

Venerdì 16 maggio
Pellegrinaggio al Santuario Giubilare dell’Annunciata. Ritrovo presso la Santella al ponte della Rocca, cammino verso l’Annunciata recitando il S. Rosario. A seguire S. Messa al santuario con tutte le parrocchie dell’Unità Pastorale e con la partecipazione dei ragazzi che riceveranno la Santa Cresima e Prima Comunione.

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Domenica 18 maggio – V di Pasqua
Sante Cresime e Prime Comunioni officiate da don Giovanni Milesi a Borno.

- Arici Lucia
- Arici Valentina
- Belingheri Asia
- Beltracchi Martina
- Bettineschi Andrea
- Bison Martina
- Cherubini Leonardo
- Cominelli Eva
- Dabeni Alessia
- Farisé Giovanni
- Fiora Guglielmo
- Fiora Letizia Maria
- Gheza Andrea
- Gheza Lorenzo
- Gheza Pietro
- Marsigalia Andrea
- Mora Roberto
- Orosz Aurora
- Rigali Nicola
- Santi Diego
- Villardi Riccardo Cesare
- Zendra Sebastian

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Santa Messa e Rogazioni a Borno
Lunedì 26 maggio, chiesetta alla Dassa Benedizione alle Acque.
Martedì 27 maggio, croce Duregno Benedizione al Paese.
Mercoledì 28 maggio, chiesetta di San Fiorino Benedizione alla Campagna.
Giovedì 29 maggio, chiesa Sant’Anna a Paline Bened. ai Prati e ai Pascoli.
Venerdì 30 maggio, alla Santella della Rocca Benedizione alle Famiglie.

Sabato 31 maggio – Visitazione della B.V.M.
Pellegrinaggio ad Ardesio. I pellegrini del nostro altopiano hanno raggiunto a piedi il santuario. Celebrando il S. Rosario e la S. Messa hanno affidato tutte le nostre comunità alla protezione della Madonna.

Domenica 1 giugno – Ascensione del Signore
S. Messa ai Lazzaretti con la Protezione Civile

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Domenica 15 giugno – SS. Trinità a Ossimo Superiore
Festa Patronale dei Ss. Gervasio e Protasio ore 18.00 S. Messa solenne presieduta da don Hilaire Berry e animata dalla Schola Cantorum Laeti Cantores”.

Domenica 22 giugno – Corpus Domini
- a Borno
Processione Eucaristica dopo la S. messa delle ore 17.00 animata dal coro “San Martino”, abbiamo portato Gesù Eucarestia per le vie del paese in mezzo alla gente accompagnati dalla banda “Santa Cecilia” di Borno.
- a Sommaprada di Lozio
S. Messa nella Festa Patronale e processione eucaristica con la statua di san Giovanni Battista animata dal coro “I Musicanti”.

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Martedì 24 giugno – “Natività di San Giovanni Battista”
A Borno - Festa Patronale S. Messa solenne presieduta da don Bruno Colosio e animata dal coro “San Martino”.

Domenica 29 giugno – Ss. Pietro e Paolo a Villa di Lozio
Festa Patronale - ore 11.00 S. Messa Solenne, a seguire processione per le vie di Villa con la statua di s. Pietro.

Domenica 29 giugno – Chiesetta degli Alpini
S. Messa presieduta da don Giuseppe Maffi, nel ricordo dei vent’anni della dedicazione della chiesetta. Ha accompagnato il coro “Amici del canto”.

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Lunedì 1 luglio
Pellegrinaggio alla Madonnina di Colere da Paline per il santuario della Beata Vergine della Visitazione e celebrazione Mariana presso il santuario.

Domenica 13 luglio a Borno
Per il Palio “S. Martino” ore 9.15 s. Messa in latino presieduta da S.E. Giovanni Battista Re.

Sabato 19 luglio a Lozio – Santa Cristina
La sera S. Messa e fiaccolata fino a Sommaprada

Domenica 27 luglio - SS. Nazaro e Celso a Lozio
Festa Patronale e Festa dell’Anziano - ore 11.00 S. Messa in chiesa parrocchiale presieduta da don Lino Zani nel suo 50° anniversario di ordinazione, accompagnata dal coro “I Musicanti”.

Festa di Sant’Anna a Paline di Borno
Giovedì 24 luglio – ore 20.00 S. Messa presieduta da don Angelo Scotti, accompagnata dal coro “I Musicanti” di Lozio.
Venerdì 25 luglio – ore 20.00 S. Messa presieduta da mons. Tino Clementi, accompagnata dal coro Parrocchiale di Colere.
Sabato 26 luglio – ore 20.00 S. Messa presieduta da S. E. cardinale
Giovanni Battista Re, accompagnata dal coro parrocchiale “San Martino” di Borno.
Domenica 27 luglio – ore 9.00 S. Messa presieduta da don Guglielmo Capitanio, accompagnata dalla voce di Annalisa Baisotti.

1 e 2 agosto Perdono d’Assisi e Festa del Beato Innocenzo
Santuario dell’Annunciata
ore 20.30 S. Messa presieduta da don Paolo Gregorini.
ore 16.00 S. Messa presieduta da S.E. Cardinale Giovanni Battista Re, accompagnata dalla Schola Cantorum “Laeti Cantores”.

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La BIBBIA: Lettere di san Paolo (seconda parte)

Luca Dalla Palma

PRIMA E SECONDA LETTERA AI CORINZI

Al tempo dell'apostolo Paolo, Corinto era una città cosmopolita, socialmente stratificata e con una forte presenza di schiavi. Era imperniata sugli interessi commerciali e caratterizzata da costumi immorali. Un viaggiatore dell’epoca poteva paragonare la città ad un pentolone contenente varie culture, stili di vita e religioni differenti. Paolo elenca all’interno della sua lettera quattro categorie di persone: Giudei, Greci, schiavi e liberi, che riflettono la composizione della città.

Durante il suo secondo viaggio missionario, l’apostolo Paolo da Atene giunse a Corinto intorno al 50 d.C. Insieme ad Aquila e sua moglie Priscilla, ebrei convertiti al cristianesimo, lavorò come fabbricante di tende e, durante il suo soggiorno di diciotto mesi in quella città, Paolo predicò ogni sabato nella sinagoga. In seguito si rivolse a coloro che non erano ebrei e, nonostante le solite opposizioni provenienti dai suoi connazionali, l’apostolo vide moltissime persone convertirsi al Signore. Quando l’apostolo lasciò la città per continuare la sua missione altrove, mantenne i contatti con la chiesa attraverso la corrispondenza e altre visite.

Ai Corinzi, Paolo indirizzò due lettere entrate a far parte del canone biblico. La prima venne scritta mentre egli si trovava ad Efeso, nel 55, mentre la seconda venne scritta dalla Macedonia intorno al 57 d.C.

Dal contenuto del testo, possiamo anche dedurre che Paolo stesse rispondendo a delle domande poste dalla chiesa di Corinto per iscritto.

In base a quello che si può leggere, i cristiani corinzi erano presto diventati orgogliosi e si erano così venute a creare delle divisioni. Orgoglio e divisioni sono spesso all’origine di mali ancora peggiori, ed infatti, nei capitoli 5 e 6 apprendiamo che gravi casi d’immoralità erano tollerati nella chiesa. Alla fine della lettera, Paolo menziona i nomi di Stefana, Fortunato e Acaico (vv. 16-17), membri della chiesa di Corinto che erano andati a trovarlo.

È probabile che questa rappresentanza abbia recapitato le domande sorte nella comunità di Corinto, alle quali l’apostolo risponde nei capitoli successivi. Dopo aver toccato i temi del matrimonio e del rispetto reciproco nelle scelte anche personali, Paolo esorta i Corinzi a non creare ostacoli al Vangelo e a vivere come se partecipassero ad una corsa con il proposito di ottenere il premio (9). Segue l’invito a lasciarsi istruire dalle tristi esperienze di Israele nel deserto (10).

Continuando nella lettura, apprendiamo che i Corinzi usavano i doni spirituali esibendoli per la loro gloria personale, piuttosto che per quella di Dio e per l'edificazione della chiesa. Paolo ricorda loro che l'amore per Dio e per il prossimo è alla base della vita cristiana (13).

Così, egli scrive un inno all’amore che è uno dei brani più belli di questa lunga lettera e si trova al capitolo 13.

Al capitolo 15, invece, l’apostolo spiega in modo chiaro la resurrezione e, dopo aver trasmesso ai Corinzi questo fondamentale insegnamento, conclude la lettera con alcuni consigli pratici (16).

Veniamo ora alla seconda lettera. Date le circostanze che si svilupparono a Corinto, la seconda lettera ai Corinzi contiene un’ampia difesa della sua autorità apostolica dovuta alla presenza di alcuni forti oppositori di Paolo.

Paolo parla della sua sofferenza (capitolo 1), delle sue lotte (4) delle sue speranze (5). Descrive il ministero di cui è stato incaricato da Cristo stesso e che è essenzialmente un ministero di riconciliazione (5). Spiega in che modo si è dedicato al suo servizio (6), sviluppa il tema della generosità e, nella parte finale della lettera, afferma la sua autorità apostolica presentando le sue credenziali e le sue esperienze, con il marchio del pericolo e della sofferenza fisica.

Paolo parla al cuore dei destinatari e mostra come alla sofferenza segua sempre la consolazione (1,3-7), nella nostra debolezza si faccia spazio la potenza di Dio (12,1-10). Questi contrasti sono l’elemento caratteristico della lettera.


Inno alla carità

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sarei come bronzo che rimbomba
o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia,
se conoscessi tutti i misteri
e avessi tutta la conoscenza,
se possedessi tanta fede
da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni
e consegnassi il mio corpo per averne vanto,
ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima,
benevola è la carità;
non è invidiosa,
non si vanta,
non si gonfia d'orgoglio,
non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia
ma si rallegra della verità.
Tutto scusa, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.

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Luoghi e simboli della liturgia: le reliquie dei santi

Don Stefano

Non è scontato che tutti sappiano l’importanza e la storicità di quella parte del corpo, degli oggetti o abiti appartenuti a uomini e donne di discreta fama, soprattutto se sono stati dichiarati Santi dalla Chiesa Cattolica. La loro vita (almeno in un aspetto particolare) ha saputo valorizzare il mistero di Dio nel figlio Gesù sapendo che Lui è il Salvatore del mondo. Tutti i battezzati sono chiamati alla santità della vita e alcuni di essi sono riconosciuti universalmente come eroi nella vita di fede, perché hanno saputo donare la loro vita spargendo il sangue del sacrificio, in forma e modi differenti.

Tanti sono i primi cristiani che scontrandosi con le autorità romane del tempo, hanno conservato fino alla fine la loro fede, nella semplicità della vita hanno donato ogni istante per la buona causa del Vangelo, comunicando la parola evangelica a chi hanno incontrato sulla loro strada, specialmente a chi era nella difficoltà e nella malattia, con gesti di carità vera. Fin da subito quello che gli apparteneva e il loro corpo mortale sono divenuti, per i prodigi e le gesta da loro vissute, strumenti di benedizione, di venerazione e modelli da imitare per tutti i cristiani. La vita santa è esperienza del divino, ed eleva l’anima verso l’alto dei cieli: “Nei processi di beatificazione e canonizzazione si prendono in considerazione i segni di eroicità nell’esercizio delle virtù, il sacrificio della vita nel martirio e anche i casi nei quali si sia verificata un’offerta della propria vita per gli altri, mantenuta fino alla morte. Questa donazione esprime un’imitazione esemplare di Cristo, ed è degna dell’ammirazione dei fedeli” (Esortazione apostolica Gaudente et Exultate, n.5).

In ogni modo la Chiesa rimane sempre un luogo nel quale non vi sono solo santi, ma anche uomini e donne peccatori che sono in cammino per giungere alla santità. San Paolo si pronuncia su questo aspetto chiedendo che tutti possano raggiungere la santità vera, perché è Dio che vuole questo da ogni battezzato. Sulla santità indefettibile della Chiesa così si pronuncia il Concilio Vaticano II: “La Chiesa, il cui mistero è esposto dal sacro Concilio, è agli occhi della fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato «il solo Santo», amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26), l'ha unita a sé come suo corpo e l'ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell'Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (cfr. 1 Ts 4,3; Ef 1,4)” (Lumen Gentium, n.39).

Nella visione comune attuale la vita del santo riceve una connotazione estraniata dal mondo, completamente segregata da ciò che lo circonda per una personale decisione, ma questa lettura si colloca a fronte di una visione preconcetta che scaturisce nel riconoscere la figura del santo, solo e unicamente riconducibile a prelati o persone del clero, mentre la sanità tocca in forma abbondante molti aspetti della vocazione universale e si realizza nel mondo.

Pensiamo alla quantità di ragazze e spose come santa Giovanna Beretta Molla o santa Maria Goretti, oppure uomini come san Giuseppe Moscati e il beato Piergiorgio Frassati. Sono tutte figure di santità che ci richiamano alla vita bella del Vangelo. I loro resti mortali e i loro oggetti personali e non, sono divenuti motivo di venerazione e di protezione.

Sono numerose le reliquie presenti nelle comunità cristiane di tutto il mondo e ce ne sono anche nelle nostre comunità: questo ci richiama alla mente la fondazione antica delle nostre stesse comunità. Richiamare all’antichità dell’origine è estremamente improntate per noi battezzati del nuovo millennio, perché ci ricorda che non possiamo correre verso la meta senza verificare il passo precedente che ci ha spronato alla bellezza del Vangelo.

Ad ogni modo le reliquie si presentano come oggetti molto preziosi e di inestimabile valore, non solo di fede, ma anche artistico e di pregio. In tutte le comunità dell’altopiano vi sono molti reliquiari contenenti resti corporei e ossa di santi antichi e più recenti.

I Patroni di ogni comunità hanno un posto particolare nelle chiese a loro dedicate e anche i santi protettori di alcune tradizioni locali, come santa Barbara a Ossimo Inferiore o san Carlo Borromeo a Ossimo Superiore.

A Borno sono numerose le reliquie presenti in chiesa: sicuramente la più significativa è quella proveniente dalle catacombe di Roma, contenente le reliquie di san Vincenzo martire dei primi secoli, arricchita dall’urna in legno dorato degli scultori settecenteschi Fantoni e numerosi altri reliquiari a scatola e a cartella conservati nei vani sottostanti gli altari laterali.

Interessante sono le reliquie della santa Croce di Cristo presenti in tutte le parrocchie dell’Altopiano che ci ricordano la passione del Signore alla quale tutti noi siamo orientati per poter portare ogni giorno la “nostra croce”.

A Villa di Lozio la reliquia dei santi Pietro e Paolo viene portata in processione solennemente con la statua di san Piro il giorno della festa, come a Sommaprada la reliquia di san Giovanni Battista e a Sucinva quella di sant’Antonio da Padova.

È una ricchezza immensa sapere che siamo circondati da tutta questa santità. Anche le reliquie di santi più recenti, come il beato Innocenzo da Berzo e san Giovanni Paolo II, sono custodite nelle nostre chiese e possono essere venerate per chiedere una protezione sicura per tutti noi.

La straordinarietà di questa vicinanza si fa concreta nell’altare della celebrazione e solitamente in ogni singolo altare di ogni chiesa, con la presenza significativa delle reliquie di alcuni santi inserite in un’apposita pietra al centro dell’altare dove avviene la celebrazione dell’Eucaristica. È richiamo significativo al linguaggio straordinario che possiede la liturgia della Chiesa cattolica.

Altari e reliquie vicine ci ricordano la santità della Chiesa trionfante nelle specie eucaristiche (pane e vino), unita alla Chiesa militante nel lavoro dell’uomo, dei battezzati di tutta la terra, che insieme, attraverso il sacerdote e il dono dello Spirito Santo, divengono Corpo e Sangue del Signore Gesù Cristo. L’altare rappresenta Cristo stesso che si fa vicino ai “suoi “come dice sant’Ambrogio: “Che cosa è l’altare di Cristo se non l’immagine del Corpo di Cristo?”.

Da sempre la Chiesa ha rinnovato questo mistero, ricordando anche la santità di chi ci ha preceduto con il segno della fede e che ora dorme il sonno della pace. Da questa mensa arricchita dalla presenza delle reliquie dei santi avviene il Sacrificio e la transustanziazione del pane e del vino (trasformati in Corpo e Sangue del Signore) per essere nuovamente distribuito ai fedeli. L’altare ideale prescritto dai sacri canoni è costruito tutto di pietra massiccia e al centro dove si appoggiano il pane e il vino è collocata una lastra di pietra chiamata pietra santa, nella quale sono inserite in un piccolo loculo le reliquie di santi martiri, chiusa con coperchio cementato. In questo contesto liturgico la relazione reliquie-altare e altare-fedeli ricevono per opera dello Spirito Santo una connotazione tutta particolare.

Siamo consapevoli che la liturgia è sempre accompagnata da simboli concreti, che parlano del Divino, non lasciamoci sfuggire questo speciale significato e raccontiamolo ai ragazzi e giovani affinché ci sia ancora cultura liturgica nelle menti dei battezzati, altrimenti rischieremo di lasciare un tesoro di alta qualità che può fare la differenza nell’arricchire la fede di tutti noi.

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...perché il suo amore è per sempre
LA PAGINA DEL SALMO

Salmo 136 (135)

1 Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
2 Rendete grazie al Dio degli dèi,
perché il suo amore è per sempre.
3 Rendete grazie al Signore dei signori,
perché il suo amore è per sempre.
4 Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,
perché il suo amore è per sempre.
5 Ha creato i cieli con sapienza,
perché il suo amore è per sempre.
6 Ha disteso la terra sulle acque,
perché il suo amore è per sempre.
7 Ha fatto le grandi luci,
perché il suo amore è per sempre.
8 Il sole, per governare il giorno,
perché il suo amore è per sempre.
9 La luna e le stelle,
perché il suo amore è per sempre.
10 Colpì l'Egitto nei suoi primogeniti,
perché il suo amore è per sempre.
11 Da quella terra fece uscire Israele,
perché il suo amore è per sempre.
12 Con mano potente e braccio teso,
perché il suo amore è per sempre.
13 Divise il Mar Rosso in due parti,
perché il suo amore è per sempre.
14 In mezzo fece passare Israele,
perché il suo amore è per sempre.
15 Vi travolse il faraone e il suo esercito,
perché il suo amore è per sempre.
16 Guidò il suo popolo nel deserto,
perché il suo amore è per sempre.
17 Colpì grandi sovrani,
perché il suo amore è per sempre.
18 Uccise sovrani potenti,
perché il suo amore è per sempre.
19 Sicon, re degli Amorrei,
perché il suo amore è per sempre.
20 Og, re di Basan,
perché il suo amore è per sempre.
21 Diede in eredità la loro terra,
perché il suo amore è per sempre.
22 In eredità a Israele suo servo,
perché il suo amore è per sempre.
23 Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi,
perché il suo amore è per sempre.
24 Ci ha liberati dai nostri avversari,
perché il suo amore è per sempre.
25 Egli dà il cibo a ogni vivente,
perché il suo amore è per sempre.
26 Rendete grazie al Dio del cielo,
perché il suo amore è per sempre.

Solenne preghiera di rendimento di grazie, conosciuto come il “Grande Hallel”, questo Salmo è tradizionalmente cantato alla fine della cena pasquale ebraica ed è stato probabilmente pregato anche da Gesù nell’ultima Pasqua celebrata con i discepoli; ad esso sembra infatti alludere l’annotazione degli Evangelisti: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (cfr Mt 26,30; Mc 14,26). L’orizzonte della lode illumina così la difficile strada del Golgota. Tutto il Salmo 136 si snoda in forma litanica, scandito dalla ripetizione antifonale «perché il suo amore è per sempre». Lungo il componimento, vengono enumerati i molti prodigi di Dio nella storia degli uomini e i suoi continui interventi in favore del suo popolo; e ad ogni proclamazione dell’azione salvifica del Signore risponde l’antifona con la motivazione fondamentale della lode: l’amore eterno di Dio, un amore che, secondo il termine ebraico utilizzato, implica fedeltà, misericordia, bontà, grazia, tenerezza. È questo il motivo unificante di tutto il Salmo, ripetuto in forma sempre uguale, mentre cambiano le sue manifestazioni puntuali e paradigmatiche: la creazione, la liberazione dell’esodo, il dono della terra, l’aiuto provvidente e costante del Signore nei confronti del suo popolo e di ogni creatura.

Dopo un triplice invito al rendimento di grazie al Dio sovrano (vv. 1-3), si celebra il Signore come Colui che compie «grandi meraviglie» (v. 4), la prima delle quali è la creazione: il cielo, la terra, gli astri (vv. 5-9). Il mondo creato non è un semplice scenario su cui si inserisce l’agire salvifico di Dio, ma è l’inizio stesso di quell’agire meraviglioso. Con la creazione, il Signore si manifesta in tutta la sua bontà e bellezza, si compromette con la vita, rivelando una volontà di bene da cui scaturisce ogni altro agire di salvezza. E nel nostro Salmo, riecheggiando il primo capitolo della Genesi, il mondo creato è sintetizzato nei suoi elementi principali, insistendo in particolare sugli astri, il sole, la luna, le stelle, creature magnifiche che governano il giorno e la notte. Non si parla qui della creazione dell’essere umano, ma egli è sempre presente; il sole e la luna sono per lui - per l'uomo - per scandire il tempo dell’uomo, mettendolo in relazione con il Creatore soprattutto attraverso l’indicazione dei tempi liturgici.

Ed è proprio la festa di Pasqua che viene evocata subito dopo, quando, passando al manifestarsi di Dio nella storia, si inizia con il grande evento della liberazione dalla schiavitù egiziana, dell’esodo, tracciato nei suoi elementi più significativi: la liberazione dall'Egitto con la piaga dei primogeniti egiziani, l’uscita dall’Egitto, il passaggio del Mar Rosso, il cammino nel deserto fino all’entrata nella terra promessa (vv. 10-20). Siamo nel momento originario della storia di Israele. Dio è intervenuto potentemente per portare il suo popolo alla libertà; attraverso Mosè, suo inviato, si è imposto al faraone rivelandosi in tutta la sua grandezza ed, infine, ha piegato la resistenza degli Egiziani con il terribile flagello della morte dei primogeniti. Così Israele può lasciare il Paese della schiavitù, con l’oro dei suoi oppressori (cfr Es 12,35-36), «a mano alzata» (Es 14,8), nel segno esultante della vittoria. Anche al Mar Rosso il Signore agisce con misericordiosa potenza. Davanti ad un Israele spaventato alla vista degli Egiziani che lo inseguono, tanto da rimpiangere di aver lasciato l’Egitto (cfr Es 14,10-12), Dio, come dice il nostro Salmo, «divise il Mar Rosso in due parti […] in mezzo fece passare Israele […] vi travolse il faraone e il suo esercito» (vv. 13-15). L’immagine del Mar Rosso “diviso” in due, sembra evocare l’idea del mare come un grande mostro che viene tagliato in due pezzi e così reso inoffensivo. La potenza del Signore vince la pericolosità delle forze della natura e di quelle militari messe in campo dagli uomini: il mare, che sembrava sbarrare la strada al popolo di Dio, lascia passare Israele all’asciutto e poi si richiude sugli Egiziani travolgendoli. «La mano potente e il braccio teso» del Signore (cfr Deut 5,15; 7,19; 26,8) si mostrano così in tutta la loro forza salvifica: l’ingiusto oppressore è stato vinto, inghiottito dalle acque, mentre il popolo di Dio “passa in mezzo” per continuare il suo cammino verso la libertà.

A questo cammino fa ora riferimento il nostro Salmo ricordando con una frase brevissima il lungo peregrinare di Israele verso la terra promessa: «Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre» (v. 16). Queste poche parole racchiudono un’esperienza di quarant’anni, un tempo decisivo per Israele che lasciandosi guidare dal Signore impara a vivere di fede, nell’obbedienza e nella docilità alla legge di Dio. Sono anni difficili, segnati dalla durezza della vita nel deserto, ma anche anni felici, di confidenza nel Signore, di fiducia filiale; è il tempo della “giovinezza”, come lo definisce il profeta Geremia parlando a Israele, a nome del Signore, con espressioni piene di tenerezza e di nostalgia: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata» (Ger 2,2). Il Signore, come il pastore del Salmo 23 che abbiamo contemplato in una catechesi, per quarant’anni ha guidato il suo popolo, lo ha educato e amato, conducendolo fino alla terra promessa, vincendo anche le resistenze e l’ostilità di popoli nemici che volevano ostacolarne il cammino di salvezza (cfr vv. 17-20).

Nello snodarsi delle «grandi meraviglie» che il nostro Salmo enumera, si giunge così al momento del dono conclusivo, nel compiersi della promessa divina fatta ai Padri: «Diede in eredità la loro terra, perché il suo amore è per sempre; in eredità a Israele suo servo, perché il suo amore è per sempre» (vv. 21-22). Nella celebrazione dell’amore eterno del Signore, si fa ora memoria del dono della terra, un dono che il popolo deve ricevere senza mai impossessarsene, vivendo continuamente in un atteggiamento di accoglienza riconoscente e grata. Israele riceve il territorio in cui abitare come “eredità”, un termine che designa in modo generico il possesso di un bene ricevuto da un altro, un diritto di proprietà che, in modo specifico, fa riferimento al patrimonio paterno. Una delle prerogative di Dio è di “donare”; e ora, alla fine del cammino dell’esodo, Israele, destinatario del dono, come un figlio, entra nel Paese della promessa realizzata. È finito il tempo del vagabondaggio, sotto le tende, in una vita segnata dalla precarietà. Ora è iniziato il tempo felice della stabilità, della gioia di costruire le case, di piantare le vigne, di vivere nella sicurezza (cfr Dt 8,7-13). Ma è anche il tempo della tentazione idolatrica, della contaminazione con i pagani, dell’autosufficienza che fa dimenticare l’Origine del dono. Perciò il Salmista menziona l’umiliazione e i nemici, una realtà di morte in cui il Signore, ancora una volta, si rivela come Salvatore: «Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre; ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre» (vv. 23-24).

A questo punto nasce la domanda: come possiamo fare di questo Salmo una preghiera nostra, come possiamo appropriarci, per la nostra preghiera, di questo Salmo? Importante è la cornice del Salmo, all’inizio e alla fine: è la creazione. […] La struttura fondamentale di questa preghiera è che Israele si ricorda della bontà del Signore. In questa storia ci sono tante valli oscure, ci sono tanti passaggi di difficoltà e di morte, ma Israele si ricorda che Dio era buono e può sopravvivere in questa valle oscura, in questa valle della morte, perché si ricorda. Ha la memoria della bontà del Signore, della sua potenza; la sua misericordia vale in eterno. E questo è importante anche per noi: avere una memoria della bontà del Signore. La memoria diventa forza della speranza. La memoria ci dice: Dio c'è, Dio è buono, eterna è la sua misericordia. E così la memoria apre, anche nell'oscurità di un giorno, di un tempo, la strada verso il futuro: è luce e stella che ci guida. […]

Il Salmo alla fine ritorna alla creazione. Il Signore – così dice – «dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre» (v. 25). La preghiera del Salmo si conclude con un invito alla lode: «Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre». Il Signore è Padre buono e provvidente, che dà l’eredità ai propri figli ed elargisce a tutti il cibo per vivere. Il Dio che ha creato i cieli e la terra e le grandi luci celesti, che entra nella storia degli uomini per portare alla salvezza tutti i suoi figli è il Dio che colma l’universo con la sua presenza di bene prendendosi cura della vita e donando pane. L’invisibile potenza del Creatore e Signore cantata nel Salmo si rivela nella piccola visibilità del pane che ci dà, con il quale ci fa vivere. E così questo pane quotidiano simboleggia e sintetizza l’amore di Dio come Padre, e ci apre al compimento neotestamentario, a quel “pane di vita”, l’Eucaristia, che ci accompagna nella nostra esistenza di credenti, anticipando la gioia definitiva del banchetto messianico nel Cielo.

Fratelli e sorelle, la lode benedicente del Salmo 136 ci ha fatto ripercorrere le tappe più importanti della storia della salvezza, fino a giungere al mistero pasquale, in cui l’azione salvifica di Dio arriva al suo culmine. Con gioia riconoscente celebriamo dunque il Creatore, Salvatore e Padre fedele, che «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Nella pienezza dei tempi, il Figlio di Dio si fa uomo per dare la vita, per la salvezza di ciascuno di noi, e si dona come pane nel mistero eucaristico per farci entrare nella sua alleanza che ci rende figli. A tanto giunge la bontà misericordiosa di Dio e la sublimità del suo “amore per sempre”.

Voglio concludere questa catechesi facendo mie le parole che San Giovanni scrive nella sua Prima Lettera e che dovremmo sempre tenere presenti nella nostra preghiera: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1). Grazie.

Papa Benedetto XVI
(Udienza generale 19-10-2011)

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Non si parte dal tetto: prendersi cura dell’oratorio

Anja Fedriga

Non si parte a costruire una casa dal tetto. Servono cura nella scelta dei materiali, una progettazione attenta e la disponibilità a restaurare periodicamente ciò che è già stato costruito. Lo stesso vale per l’oratorio, ma più in generale per la comunità fatta di bisogni diversi, esperienze di vita ed età differenti, ma unita da una stessa visione su quali valori coltivare e accomunata da un obiettivo comune.

In quest'ottica sono proseguiti gli incontri di formazione con il pedagogista Nathan Damioli. Alcuni sono stati dedicati alle classi delle medie, affrontando in modo ludico ed esperienziale temi fondamentali come il rispetto di sé, degli altri e dell’ambiente, o il concetto di pregiudizio e come questo influenzi le nostre scelte senza che ce ne accorgiamo.

In parallelo sono continuati, da novembre, anche gli incontri più articolati rivolti agli adolescenti. Qui i temi hanno riguardato aspetti di vita quotidiana, come la pazienza o il valore del silenzio, affrontati attraverso metodi esperienziali e giochi da tavolo rivisitati in chiave educativa. Questi incontri hanno fatto da ponte verso la formazione degli animatori del Grest estivo, fornendo loro strumenti utili per l’esperienza e le competenze relazionali su come interagire con i bambini, oltre a una preparazione mirata sui temi del Grest 2025 Toc-Toc.

La presenza di una figura professionale in oratorio diventerà sempre più importante, soprattutto alla luce della diminuzione di sacerdoti assegnati alle parrocchie e del loro tradizionale ruolo di guida e coordinamento. Una comunità eterogenea richiede infatti attenzione, tempo e cura per essere accompagnata e sostenuta.

Tuttavia, l’anima educativa dell’oratorio resta saldamente nelle mani della comunità e di ogni singolo fedele che vi investe tempo e volontà di donarsi nel servizio al prossimo.

Quest’anno il nostro oratorio ha potuto beneficiare di un’organizzazione più mirata. Con il gruppo coordinatori del Grest – gli animatori più grandi – abbiamo suddiviso i compiti in aree specifiche: giochi, laboratori, accoglienza e narrazione. Questo ci ha permesso di costruire una scaletta dettagliata per ogni giornata, con settimane di anticipo. Spesso, senza uno stimolo esterno, è difficile trovare la motivazione o sentire la necessità di decidere tutto per tempo. Si tende a rimandare, pensando di avere sempre tempo. Eppure anche il progettare con cura in anticipo è una forma di premura verso i bambini e le attività che vivranno.

Gli animatori hanno preparato tutto – materiali, scenografie – grazie anche a tre giorni di “vita comune” in oratorio, dalle 9.30 alle 16.30, con pranzo comunitario insieme. È stata un’esperienza che non solo ha garantito la qualità del lavoro, ma ha creato tra loro un legame e una collaborazione davvero commoventi.

L’estate è ancora lunga e tante attività ci attendono. Sapere di avere basi solide e strumenti nuovi è una bellissima certezza. E sapere che, grazie all’aiuto di un professionista, siamo riusciti a tirar fuori il meglio di noi stessi, grandi e piccoli, è una sensazione impagabile. Ci ricorda ogni giorno che sì… una casa comune come l’oratorio non si costruisce dal tetto. E che abitare davvero significa esserci ogni giorno, anche quando è scomodo, anche quando ci sono pareti da restaurare.

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Campo estivo elementari a Vilminore di Scalve

Francesco Fedrighi

Dal 2 al 5 luglio ho partecipato come animatore al camposcuola a Vilminore insieme ai bambini di terza, quarta e quinta elementare. Sono ormai diversi anni che vivo questa esperienza, ma ogni volta è unica e speciale, capace di regalarmi emozioni sempre nuove.

Il tema di quest’anno, Custodisci la Vita, ci ha accompagnati in tutte le attività, invitandoci a prenderci cura di noi stessi, degli altri, della natura e dei doni che abbiamo. Tra i momenti più belli c’è stata sicuramente la camminata alla diga del Gleno, dove abbiamo trascorso splendide ore all’aria aperta, immersi nella natura e nella bellezza del paesaggio.

Anche quest’anno mi sono trovato benissimo con il gruppo degli altri animatori, siamo stati una vera squadra, uniti e sempre pronti ad aiutarci. Essere animatore significa vivere il camposcuola da una prospettiva diversa: bisogna organizzare, stare attenti a ogni dettaglio e prendersi cura dei ragazzi. Ma, nonostante le responsabilità, il divertimento non manca mai. Anzi, forse è ancora più grande, perché nasce dalla gioia di vedere i bambini felici.

Ognuno di noi ha contribuito con impegno e passione a rendere queste giornate un’esperienza indimenticabile. Giochi, laboratori, momenti di preghiera e tantissime risate hanno riempito le nostre giornate, lasciandoci nel cuore la consapevolezza di aver seminato qualcosa di bello.

Torno a casa stanco, ma felice, convinto che il camposcuola non sia solo una vacanza, ma una vera scuola di vita, dove tutti, grandi e piccoli, impariamo a diventare “portatori di speranza”.

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L'INDULGENZA: segno della misericordia di Dio

p. Maurizio Golino

Per comprendere il significato e il valore dell'indulgenza offerta dalla Chiesa dobbiamo comprendere la differenza fondamentale tra colpa e pena.

La colpa è il peccato stesso, ovvero l'atto contrario alla legge divina che allontana l'anima da Dio. La pena, invece, è la conseguenza del peccato: può essere eterna (la dannazione in caso di peccato mortale non pentito) o temporale (una purificazione necessaria anche dopo il perdono del peccato). Quando si riceve il sacramento della confessione, la colpa del peccato è perdonata e l'anima è riconciliata con Dio. Tuttavia resta la pena temporale che deve essere espiata tramite atti di carità, penitenza e opere di misericordia. Le indulgenze permettono di ottenere la remissione della pena temporale, applicando il merito di Cristo e dei santi ai fedeli ben disposti.

Papa Giovanni Paolo II ha spiegato il concetto di pena temporale nel seguente modo: «[...] anche dopo l'assoluzione rimane nel cristiano una zona d'ombra, dovuta alle ferite del peccato, all'imperfezione dell'amore nel pentimento, all'indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. [...]» (Papa Giovanni Paolo II, esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia 31, III)

Il peccato infatti ha sempre una dimensione sociale, anche il più privato e nascosto, in quanto introduce un germe di male nel mondo. Il peccato, anche se perdonato, lascia sempre un segno, come una cicatrice, nell'anima del peccatore. Ogni peccato, anche piccolo, crea un attaccamento malsano alle cose terrene che necessita di purificazione, sia in questa vita che dopo la morte, in purgatorio. Questa purificazione ci libera dalla “pena temporale”.

L'indulgenza, nella dottrina cattolica, è la riduzione o cancellazione della conseguenza che resta dopo il perdono di un peccato (la pena temporale). Anche se il peccato è già stato perdonato, rimane una sorta di “debito spirituale” da riparare.

La Chiesa, grazie al sacrificio di Gesù e ai meriti dei santi, può aiutare il fedele a ottenere questa grazia, a patto che sia sinceramente pentito e rispetti certe condizioni.

Gesù ha dato a Pietro e agli apostoli l'autorità di “legare e sciogliere”, cioè di imporre o togliere obblighi spirituali, compresa la remissione delle pene per i peccati. Questo potere è considerato il fondamento della pratica delle indulgenze.

«A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». (Matteo 16,19)

«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». (Giovanni 20,22-23)

Le indulgenze sono dunque un modo per liberare il credente dalle “pene temporali” dovute al peccato, cioè dalle conseguenze spirituali che restano anche dopo il perdono sacramentale (come nella confessione). Il peccato è già stato perdonato, ma resta una sorta di “cicatrice spirituale”: l’indulgenza serve a guarirla.

L'indulgenza si ottiene attraverso atti spirituali e sacramentali eseguiti in stato di grazia. I requisiti generalmente comprendono:
- la confessione sacramentale;
- la comunione eucaristica;
- recita del Credo e del Padre Nostro;
- la preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre;
- il compimento dell'opera “indulgenziata” (es. preghiera, visita a un luogo sacro, opera di carità).

Per concludere «L'indulgenza permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell'antichità il termine misericordia fosse interscambiabile con quello di indulgenza, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini». (Papa Francesco, Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo straordinario dell'anno 2025, n.23)

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Giornate Giubilari

Pace e bene a voi tutti fratelli e sorelle della unità pastorale Altopiano del sole!

Sono Padre Massimo dei frati minori cappuccini (quelli dell'Annunciata, per intenderci).

Don Paolo mi ha chiesto di scrivere questo articolo per raccontarvi che cosa sono queste “Giornate Giubilari”.

Parto ricordando che questo che stiamo vivendo, è un anno Giubilare voluto da papa Francesco per tornare – come cristiani – ad essere uomini e donne che sanno parlare di speranza, in un contesto storico come quello che stiamo vivendo, dove tutto sembra invece orientare il cuore alla disperazione.

Dunque questo è un anno molto particolare che dobbiamo custodire e dentro il quale fare anche noi dei passi nella fede che ci dona Speranza.

Proprio per questo con i vostri sacerdoti abbiamo pensato a queste giornate da proporre alle vostre comunità e che hanno lo scopo di aiutarci a vivere la gioia di essere cristiani, riconoscendoci in comunione con il Signore e fra di noi, anche se in parrocchie diverse.

Si tratta di giornate dove la presenza di alcuni frati sarà un po’ più prolungata e dove sarete invitati a vivere alcune iniziative che hanno lo scopo di aiutarci a sentirci comunità in cammino.

Abbiamo fatto una prima esperienza con le comunità di Lozio (fatevi raccontare da loro o leggete l'articolo che riguarda proprio quei giorni nelle seguenti pagg. 34-35).

Dal 21 al 25 di settembre vorremmo proporre alle comunità di Ossimo Superiore e Inferiore un’esperienza simile che richiede anche la disponibilità, e io dico la sfida, di muoversi all'interno delle due comunità.

E la stessa proposta vorremmo farla a Borno nei giorni dal 12 al 19 Ottobre.

Il desiderio è di viverci non come piccole isole felici, ognuno solo ed esclusivamente nella sua parrocchia, ma di riscoprirci uniti nel cammino di fede e dunque capaci anche di “scomodarci” e spostarci da una parrocchia ad un'altra, riscoprendo così la ricchezza di essere tutti nella stessa Chiesa.

Credo tanto che queste giornate giubilari possano essere una bella occasione per rimetterci in cammino, per riscoprirci un solo corpo ed un solo Spirito, ma soprattutto per stupirci della ricchezza particolare che ogni parrocchia può avere.

Affido al Signore le vostre comunità e chiedo a Lui di benedire questo tempo nell'attesa di potervi vedere, incontrare, e con voi vivere la gioia del Vangelo.

Il Signore vi benedica e vi custodisca.

Pace e bene

Fra Massimo

Cuntomela Estate 2025


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Giornate Giubilari nelle nostre parrocchie

tenute da Padre Massimo Taglietti e dai Frati dell’Annunciata.

Parrocchie SS. Pietro e Paolo e SS. Nazaro e Celso in Lozio - dal 6 al 9 aprile 2025

Parrocchie SS. Gervasio e Protasio e SS. Cosma e Damiano in Ossimo - dal 21 al 25 settembre 2025

Parrocchia S. Giovanni Battista in Borno - dal 12 al 19 ottobre 2025


Giornate Eucaristiche per tutta l’Unità Pastorale

Chiesa parrocchiale San Giovanni Battista in Borno

Martedì 12 agosto
S. Messa ore 8.30 e 17.00 con benedizione eucaristica
Esposizione eucaristica: ore 9 - 11.30 e 15 - 17

Mercoledì 13 agosto
S. messa ore 8.30 e 17.00 con benedizione eucaristica
Esposizione eucaristica: ore 9 - 11.30 e 15 - 17

Giovedì 14 agosto
S. Messa ore 8.30 con benedizione eucaristica
Esposizione eucaristica: ore 9 - 11.30 e 15 - 17
S. Messa solenne di chiusura delle giornate alle ore 17.00

Terrà le meditazioni e sarà disponibile per le confessioni Padre Massimo Taglietti, cappuccino del convento di Lovere.

Cuntomela Estate 2025


Giornate Giubilari a Lozio: una bella esperienza

Clelia Picinelli

In questo Anno Santo 2025 dal 5 al 9 aprile si sono tenute a Lozio le Giornate Giubilari. Hanno aiutato per la preparazione i nostri sacerdoti dell’Altopiano e per lo svolgimento Padre Massimo Taglietti dei Frati Cappuccini di Lovere ed i Frati Cappuccini dell’Annunciata.

Alla domenica si è iniziato con una S. Messa unitaria per tutte le quattro frazioni ed un buon pranzo comunitario, seguita da un momento di giochi con i bimbi ed i genitori presenti. Nei giorni successivi le Parrocchie sono diventate luogo sacro per i fedeli con momenti di preghiera, catechesi e con le celebrazioni liturgiche suddivise nelle frazioni di Lozio, per approfondire il significato dell’Anno Santo e della fede cristiana. Con la visita agli ammalati, agli ospiti della R.S.A. di Villa Mozart e alle famiglie, i Padri hanno potuto conoscere meglio la nostra realtà che, seppur piccola, è sempre viva e aperta.

La partecipazione è stata discreta e tutti sono rimasti molto entusiasti di aver aperto per qualche giorno una parentisi spirituale nella propria routine quotidiana per ritrovarsi insieme nei vari momenti ben programmati.

Nel corso della settimana si è svolta una bella Via Crucis interparrocchiale lungo la strada che dalla frazione di Laveno poeta a Sommaprada animata dal coro locale I Musicanti con dei bei canti particolarmente toccanti, eseguiti ad ogni postazione, e con la partecipazione dei bimbi del catechismo che sono stati molto bravi e originali nel rappresentare i sette personaggi scelti della passione. Nonostante la temperatura un poco rigida, molti sono stati i partecipanti anche da fuori Lozio e tutti sono stati compiaciuti della buona riuscita di queste bel momento di fede e di preghiera.

È stata proprio una bella esperienza che ci ha arricchito ed aiutato a vivere questo Anno Santo con cuore aperto e desideroso di accogliere le grazie che il Signore vorrà donarci.

Dopo Lozio anche le altre Parrocchie dell’Altopiano a turno vivranno le “Giornate Giubilari” e si consiglia vivamente la partecipazione perché è una bella occasione da non perdere. Un sentito grazie a tutti.

Cuntomela Estate 2025Cuntomela Estate 2025


Tessitori di speranza

A cura della redazione

“La nostra Diocesi aveva in programma per l’aprile del 2025 una scadenza importante, cioè il rinnovo degli Organismi di partecipazione (Consigli Pastorali Parrocchiali, Consigli di Unità Pastorale, Consigli di Zona Pastorale, Consiglio Pastorale Diocesano). Sentito anche il parere del Consiglio Episcopale, ho pensato che fosse opportuno prorogare questa scadenza di un anno per giungervi meglio preparati, ma soprattutto per avere a disposizione un biennio nel quale compiere insieme quel percorso di cui sto parlando, un cammino diocesano che mi piace definire sinodale. La meta di un tale cammino sarà un Convegno Diocesano, previsto per il mese di aprile del 2026. [...] È mia intenzione compiere durante questi due anni pastorali quella che chiamerei una visita giubilare in tutte le zone della Diocesi.”

Scrive così il nostro vescovo Pierantonio Tremolada, nella lettera Siamo la Chiesa del Signore – Vogliamo essere tessitori di speranza.

In essa ripercorre brevemente dall’8 ottobre 2017 questi anni in cui ha condiviso con noi un tratto di strada.

Ricorda le lettere pastorali che ci ha scritto, gli eventi vissuti – fra i quali la pandemia, anche come motivo di riflessione, e la sua malattia, di cui ringrazia Dio per l’esito positivo – il cammino per l’istituzione delle unità pastorali, l’iniziazione cristiana dei fanciulli e le molte altre attenzioni pastorali.

Nella sua prima omelia nella cattedrale di Brescia esprimeva il suo desiderio di pastorale dei volti, di diventare sempre più chiesa capace di un incontro con le persone, partendo da quelle più povere (in molti sensi) per allargarsi a quelle che sembrano più lontane da una vita di fede. Il tutto ovviamente sotto lo sguardo e l’impegno della carità che deve rimanere sempre il fondamento delle nostre comunità e dell’esistenza di ogni persona.

Per attuare questo, dice il nostro vescovo, “è giunto il momento di prenderci un po’ di respiro e provare a fissare lo sguardo - occhi, mente e cuore - sul presente e sul futuro della nostra Chiesa, mettendoci con fiducia in ascolto dello Spirito”.

La visita giubilare (che per la nostra zona dovrebbe svolgersi in novembre di quest’anno) è pensata proprio come ascolto in vista di questo discernimento per vivere da cristiani l’attuale contesto storico, definito da papa Francesco passaggio d’epoca.

La lettera si conclude indicando tre linee di azione pastorale: far cogliere la potenza e la bellezza del Vangelo, essere luce in vista della natura intrinsecamente missionaria della Chiesa e assumere sempre più lo stile sinodale, la consapevolezza di camminare insieme, come auspicava papa Francesco. La lettera è datata Brescia, 8 settembre 2024 quando nessuno riteneva imminente la morte del Santo Padre.

Ma prima di queste linee guida, il vescovo Pierantonio ci consegna tre parole con domande che dovrebbero animare non solo le nostre comunità, ma anche la vita di ogni singola persona.

LA GIOIA - Siamo felici della nostra fede? Possiamo dire che l’aver conosciuto il Signore Gesù è stata la fortuna della nostra vita? Riconosciamo la grandezza e la bellezza di essere cristiani? Siamo fieri del nostro Battesimo? Abbiamo il desiderio sincero di conoscere sempre più il Signore in cui abbiamo creduto? Stiamo provando la gioia di saper pregare, di celebrare l’Eucaristia, di compiere il bene, di appartenere alla Chiesa di Cristo, che è la Chiesa dei grandi santi? È stato detto - giustamente - che nulla è peggio di un testimone infelice. Come stiamo vivendo la nostra “religione cattolica”: come un giogo da portare, come una buona tradizione da osservare o nello slancio di un cuore riconoscente?

LA SPERANZA - Siamo per il mondo di oggi un segno di speranza? Chi ci incontra si sente aiutato ad affrontare la vita con maggiore fiducia? Siamo persone che amano il loro prossimo con sincerità, che sanno sorridere, che conoscono la tenerezza, che con naturalezza e generosità si prendono cura dei più deboli? Abbiamo vivo il senso della giustizia e dell’onestà? Ci facciamo carico delle grandi domande che la vita pone? Coltiviamo volentieri il pensiero e la riflessione? Siamo persone che sanno ascoltare e amano dialogare? Sentiamo nostro il compito di fare della società in cui viviamo un ambiente all’altezza della dignità dell’uomo?

LA COMUNIONE - Stiamo vivendo la comunione che il Signore ci ha raccomandato? Ci stiamo aiutando a fare delle nostre parrocchie e Unità Pastorali delle vere comunità di credenti? Siamo davvero fratelli e sorelle nel Signore? Ci stimiamo a vicenda? Sappiamo guardarci con affetto, parlarci con sincerità, aiutarci nel bisogno? Riusciamo a perdonare chi sbaglia o ci offende? Abbiamo piacere di incontrarci per ascoltare insieme la Parola di Dio? Stiamo imparando insieme a pregare? Stiamo crescendo nell’esercizio della corresponsabilità? Abbiamo piacere di mettere a disposizione le nostre capacità per l’edificazione della Chiesa? Sappiamo riconoscere e valorizzare i doni che anche altri possiedono? La celebrazione dell’Eucaristia domenicale è per noi un momento di festa nella fede? Abbiamo piacere di vederci, di salutarci, di parlarci, di scambiarci il dono della pace, di ricevere il Corpo del Signore che ci unisce nel vincolo della carità?

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Restauro della Chiesa di San Fermo

Emma Selene De Michelis
Architetto

Mi presento, sono Emma Selene De Michelis, oltre ad essere Architetto e mamma, sono una grande appassionata di montagna, dell’aria fresca e di tutte le meraviglie del Creato che la rendono un gioiello inestimabile.

Proprio per questo, quando il collega Fabio Rivadossi nella primavera 2022 mi ha proposto di avventurarmi nel progetto di Restauro, risanamento conservativo e valorizzazione paesaggistica della chiesa di San Fermo, con grande entusiasmo ed un pizzico di orgoglio, ho immediatamente accettato. La Parrocchia ha incaricato infatti nel 2022 la società di Ingegneria Corso Italia 55 S.r.l., con cui da qualche anno collaboro, per predisporre uno studio volto a concorrere ad una richiesta di finanziamento regionale rientrante nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) bando architettura rurale 2022.

Spinti dall’energia e dalla determinazione di don Paolo, con il sostegno convinto dei Consigli Parrocchiali Pastorale e degli affari economici, nonché dell’Amministrazione Comunale rappresentata dal sindaco Matteo Rivadossi, si è messa in moto la macchina tecnica con l’intento di elaborare un progetto che valorizzasse al meglio la meravigliosa chiesa di San Fermo, tanto amata dalla comunità Bornese.

Il progetto di Restauro, risanamento conservativo e valorizzazione paesaggistica della chiesa di San Fermo” si poneva come obbiettivi principali quelli di intervenire sulla copertura, che negli ultimi anni aveva manifestato infiltrazioni d’acqua creando danni al soffitto voltato, e sulle murature esterne affette da fenomeni di umidità di risalita per la presenza di intonaci cementizi. Il nostro impegno e professionalità è stato ben ripagato: la Regione ha approvato l’intervento con un finanziamento di 120.000,00 € a fronte di un investimento complessivo pari a 150.000,00 €.

A questo punto ci siamo rimboccati le maniche e dopo un’elaborata fase di progettazione esecutiva, di concerto con la Parrocchia e collaborazioni tecniche e specialistiche abbiamo ottenuto, ad aprile di quest’anno, le autorizzazioni da parte della Soprintendenza e degli enti competenti per poter iniziare i lavori.

Il progetto così affinato include:
- la completa sostituzione del manto di copertura con nuovo manto impermeabilizzato e finito con lastre di pietra, tipica soluzione utilizzata in ambienti alpini e già riscontrata nei documenti storici della chiesa;
- la rimozione di intonaco di cemento esterno mettendo a nudo la muratura in pietra;
- il restauro degli elementi lapidei che adornano l’esterno e l’interno della chiesa;
- la pulizia e consolidamento del pregevole pavimento interno in cotto;
- la riapertura e valorizzazione del vano addossato sul lato Nord della chiesa di proprietà parrocchiale.

L’intervento è ad oggi in fase di realizzazione, ma gran parte del lavoro esterno su tetto e murature è già stato completato in vista dell’attesissimo evento della fiaccolata del 8 agosto, preludio alla ricorrenza di San Fermo del 9 agosto, incardinata nella tradizione culturale e di devozione cristiana dell’altopiano. L’ultimazione dei lavori è prevista per la fine dell’anno. La buona riuscita di un progetto deriva sempre da una condivisione e da un lavoro di squadra, chi scrive è solo un tassello di un gruppo di professionisti, esecutori e volontari che, ciascuno per la sua parte, sta lavorando con passione, buona volontà e fede.

Ringrazio quindi prima di tutti don Paolo che con il suo entusiasmo sostiene e sprona il gruppo, i miei colleghi dello studio Corso Italia 55 S.r.l., Alfredo Rivadossi che ogni mattina si sveglia prima del gallo per portare avanti i lavori, il restauratore Dario Guerini, l’archeologo Marco Mottinelli, Marco Guerra che ha portato dalla Valmalenco la sua esperienza e qualche migliaio di lastre in pietra, il rifugista Franco Rinetti che ristora i lavoratori in quota, e non da ultimi i tanti Bornesi che con passione, energia ed entusiasmo stanno offrendo in piena gratuità il loro tempo, talenti e professionalità.

Non perdiamo di vista gli obbiettivi e avanti tutta! Prossimo aggiornamento a fine lavori…

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50° Anniversario di sacerdozio di don Cesare Isonni

Il 28 settembre prossimo in occasione della Festa patronale dei Santi Cosma e Damiano le nostre comunità parrocchiali dell'Altopiano ricordano il Giubileo Sacerdotale di don Cesare Isonni e di don Lino Zani. I nipoti li hanno ricordati con queste belle testimonianze.


Anselmo Isonni

Il nostro territorio è stato chiamato Altopiano del Sole, ma se scendiamo nel particolare e facciamo conoscenza di alcune sue persone, siamo tentati di credere che sia un altopiano baciato dalla luce divina.

Quest’anno la comunità di Ossimo Inferiore festeggia il 50° di sacerdozio di don Cesare Isonni e don Lino Zani, figure di sacerdoti conosciute in tutta la valle.

Don Cesare è nato qui a Ossimo Inferiore in una famiglia che aveva nel culto della religiosità cristiana la sua linfa, il suo essere, era il 1950. Col padre sacrestano e la sorella suora ecco che il giovanissimo Cesare rispondendo con entusiasmo alla chiamata del Signore prende la via del seminario e a 25 anni abbiamo assistito alla sua ordinazione sacerdotale: primo passo di un lungo e proficuo cammino. Cammino che lui, camuno per discendenza, non poteva che vivere a Lovere i primi 12 anni di apostolato sacerdotale premiato poi dall’incarico di curato nella non lontanissima Manerbio. Ma nel 1993 la nostra valle l’ha avuto nuovamente vicino a sé accogliendolo tra i pendii e i boschi di Paisco Loveno.

Nella bella Lovere del lago d’Iseo, don Cesare lì dove ha iniziato il suo ministero aggiunge al suo sacerdozio il compito di insegnante e formatore culturale e spirituale di generazioni di uomini e donne capaci nella loro vita di arricchire con la cultura ricevuta da don Cesare, la società civile.

La vocazione di don Cesare non era solo quella di impartire sacramenti e fare scuola, ma di esprimere la sua indole sociale in una funzione più concreta, che toccasse direttamente la vita di molta gente: istituire una cooperativa di lavoro per l’inserimento di persone svantaggiate.

Una realtà che ha permesso a decine di loro di trasformarsi in valenti operatori nell’agricoltura, nel commercio e nell’industria. E quando a guidarne il cammino c’è don Cesare, il piccolo sentiero della vita diventa una superstrada.

Caro zio Cesare, a nome mio e di tutti i parenti voglio esprimerti i più sinceri e affettuosi auguri per questi 50 anni di vita donati al Signore. Sono certo che i tuoi genitori e i tuoi fratelli che sono già nella luce del Signore, ti guardano, ti sorridono e invocano da Dio Padre le più sante benedizioni per te.

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... e di don Lino Zani

Andrea Zani

Quest’anno ricorrono i 50 anni di sacerdozio di don Lino Zani, un traguardo che è molto più di una semplice cifra: è la testimonianza concreta di una vita interamente spesa per il Vangelo e per gli altri, tra la sua amata Valle Camonica e il cuore pulsante del Brasile.

Don Lino nasce il 6 marzo 1948 a Ossimo, in una famiglia semplice e salda nei valori: papà Antonio e mamma Tommasina crescono quattro figli tra il 1948 e il 1961. Fin da giovane Lino sente nel cuore una chiamata speciale. Dopo la licenza media entra in seminario e nel 1974, ancora diacono, viene inviato per un anno in Brasile. È un incontro che segnerà per sempre il suo cammino: con quella terra, con quella gente, nasce un legame profondo e reciproco.

Nel 1975, ordinato sacerdote proprio nella parrocchia di Ossimo Inferiore don Lino riparte subito per il Brasile. Rimarrà missionario là per oltre vent’anni. In questo lungo periodo, porta avanti un’opera instancabile di evangelizzazione e di istruzione, vicinanza e sviluppo umano, fino a ottenere la cittadinanza onoraria di Itaobim e, anni dopo, di Jenipapo de Minas: segni di riconoscenza da parte di comunità che l’hanno sentito fratello.

Nel 1997 rientra in Italia, dove gli vengono affidate le parrocchie di Villa di Lozio e poi di Malegno, dove ancora oggi molti lo ricordano con affetto per la sua dedizione, la sua presenza umile e concreta.

Ma la missione nel cuore non si spegne mai. Nel 2012, Don Lino riparte: prima in Mozambico per un breve periodo, poi di nuovo in Brasile, questa volta nello stato dell’Amapá, come sacerdote "fidei donum" della Diocesi di Brescia. Qui, in una regione vasta quanto metà Lombardia, tra selva e fiumi, coordina ben 75 comunità, per circa 18.000 abitanti. È un lavoro pastorale immenso, fatto di viaggi, ascolto, celebrazioni, formazione nelle scuole e presenza viva in una Chiesa che cresce anche grazie a lui.

Nel 2022 fa ritorno definitivo in Italia, nella sua Valcamonica dove tuttora svolge la funzione di aiuto parroco nella parrocchia di Corteno Golgi.

Cinquant’anni fa, don Lino ha detto “sì” a Dio. E quel “sì” ha continuato a ripeterlo ogni giorno, nella semplicità, nella fatica, nell’allegria contagiosa che molti gli riconoscono. Il suo cammino è motivo di gioia e gratitudine anche per noi, che da Ossimo lo abbiamo visto partire e tornare, sempre con lo stesso sguardo pieno di speranza e dedizione.

Grazie, don Lino, per la tua testimonianza. Cinquant’anni di sacerdozio, ma soprattutto cinquant’anni di amore.

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Don Vittorio Pennacchio un prete dal cuore grande

Vero opificio di sacerdoti la valle di Lozio che nonostante la lontananza e il numero esiguo di abitanti ha avuto figure importanti che hanno lasciato una traccia profonda in Valcamonica. Pubblichiamo volentieri questo scritto di don Bruno Colosio che ricorda don Vittorio Pennacchio, un prete dal cuore grande, a quarant'anni dalla morte.

Don Bruno Colosio
curato a Borno dal 2002 al 2005

Don Vittorio Pennacchio nacque il 26 agosto 1902 a Laveno di Lozio pittoresca e amena località della media Valle Camonica tra le vette della Concarena. Laveno nella prima metà del 1900 diede alla Chiesa Bresciana e mondiale ben sette sacerdoti (contando l’esiguo numero di abitanti), ricordiamo: don Antonio Pennacchio (+ Pian Camuno 1967), don Giovan Maria Pennacchio (+ Gorzone 1968), don Antonio Medici (+Malegno 1982), don Domenico Vanoli (+ Solato 1999) suo fratello P. Ludovico dei cappuccini, e p. Piccinelli ex comboniano e benedettino e confessore nella Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma.

Don Vittorio Pennacchio divenne sacerdote il 06-06-1925. Fu curato prima a Fresine (1925-1928), a Fucine (1928-1930), parroco a Qualino (1930-1945). E in questa comunità si trovò in contrapposizione con le autorità fasciste come ricorda il libro di recente pubblicazione de la Fondazione Civiltà Bresciana “Giacinto Tredici vescovo di Brescia in anni difficili”.

Divenne parroco di Gratacasolo nel 1945, succedendo a don Pietro Salvetti morto il 10 aprile del medesimo anno. Fece l’ingresso il 06-08-1945, e a questo riguardo girava un aneddoto tra la gente dei paesi circostanti: “due sono le bombe atomiche una quella in Giappone e l’altra quella a Gratacasolo”. Vi rimarrà come parroco per ben 35 anni fino al 1980, e per 5 anni come sacerdote quiescente collaborando con il suo successore don Mario Prandini. Morì vinto da una lunga malattia nella notte fra sabato e domenica il 26 maggio 1985.

Figura tipica (quasi unica) del clero bresciano: rude, in apparenza non portato alla gentilezza e alla collaborazione, ma in realtà prete dal cuore d’oro, attivo, austero, di grande povertà e dignità, e non da ultimo di preghiera. Durante i suoi 35 anni di parrocchiato a Gratacasolo si impegnò assiduamente anche nello sviluppo sociale del paese. Sempre attento alle necessità dei suoi parrocchiani si prodigò nel trovare posti di lavoro specialmente nelle grandi industrie vicine come l’Italsider di Lovere o la Dalmine di Costa Volpino. A chi si presentava per l’assunzione si sentiva dire: “Se l’ha raccomandato il parroco di Gratacasolo vuol dire che ha voglia di lavorare”. Riusci’ ad ottenere l’ufficio postale, l’ambulatorio medico, e la banca, poiché in precedenza la gente per questi servizi doveva recarsi a Pisogne.

Secondo il motto “frangar non flectar” nel 1947 edificò il cinema-teatro dedicato a San Giovanni Bosco, ma la sua più grande opera fu il maestoso oratorio dedicato a San Domenico Savio, che per qualche anno fu sede della scuola media. In estate poi metteva a disposizione la sua casa paterna per la villeggiatura dei ragazzi del paese.

La sua dedizione per la crescita spirituale della sua comunità lo portò a programmare quattro Missioni (1947-1951-1960-1975), a istituire l’Anno Mariano nel 1954, a incentivare la costruzione di santelle in onore della Madonna di Lourdes verso la quale era molto devoto. Vista la crescita della popolazione aveva l’intenzione di edificare una chiesa nuova e rendere l’attuale chiesa parrocchiale santuario mariano, sarà un sogno che si portò in paradiso.

A causa del suo temperamento non troppo facile ne diplomatico e da certe sue “uscite” nelle omelie fu specialmente negli ultimi anni incompreso e isolato. Nonostante ciò si mantenne sempre nel suo animo un servizio coraggioso e disponibile verso tutti. Il ricordo del bene seminato da don Pennacchio resta inciso nella memoria, e fa parte di quel filone della storia di Gratacasolo che è iscritta nei cuori con i caratteri indelebili della gratitudine.

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La Misericordia: il pane del perdono

“Qui dentro c’è il resto di quel pane… il primo che ho chiesto per carità… lo lascio a voi altri: serbatelo, fatelo vedere ai vostri figlioli. Verranno in un tristo mondo ed in tempi tristi… dite loro che perdonino sempre, sempre tutto, tutto! E porse la scatola a Lucia”.

Emilia Pennacchio

Sono le parole di fra’ Cristoforo con cui il Manzoni racconta il momento della consegna ai promessi sposi del pane del perdono.

Dopo la Speranza, nell’esplorare la Misericordia (secondo tema del Giubileo) mi sono ritrovata a pensare ai grandi classici studiati alle superiori e mi sono tornati alla mente, giocoforza, I Promessi Sposi e Imiserabili di Victor Hugo.

Fra’ Cristoforo è il personaggio che più ho amato dei Promessi sposi quando, giovane liceale, ho studiato il romanzo. Vero eroe della misericordia, fra’ Cristoforo!

Un passato da giovane turbolento quello di Lodovico (divenuto poi fra’ Cristoforo). Il suo rapporto con la giustizia, in quegli anni di gioventù, era impastato da sentimenti di acredine, in particolare verso i soprusi dei potenti, fino al punto di arrivare ad uccidere un nobile per una banale questione di cavalleria. Il quale nobile, prima di spirare, lo perdona e chiede a sua volta di essere perdonato per le sue colpe.

Questo gesto di riconciliazione in punto di morte segna un momento cruciale nella coscienza del giovane: per la prima volta egli percepisce l’orrore e il rimorso per la sua azione, sente tutto il peso del sangue versato e prova sulla sua pelle la fragilità dell’animo umano. Da questo gesto di compassione e di perdono, Lodovico decide di cambiare vita, diventa fra’ Cristoforo abbracciando la regola francescana e trasforma il suo dramma in un percorso di redenzione.

Nei Promessi sposi la misericordia di Dio aleggia in verità su tutta la vicenda e tocca diversi personaggi, ma fra Cristoforo, secondo me, ne è l’espressione compiuta. Egli incarna quanto potente sia la sua forza: essa porta una ventata di speranza, invita a considerare la possibilità di un cambiamento e ad intraprendere una nuova vita.

Il tema della misericordia è centrale e pervasivo anche nel romanzo di Victor Hugo I miserabili, incarnato principalmente dall’ex galeotto Jean Valjean. Egli, inizialmente condannato per aver rubato un tozzo di pane, evade dal carcere e sperimenta la compassione prima e il perdono poi dell’anziano vescovo di Digne il quale, sapendo della sua condizione, anziché denunciarlo lo accoglie e gli offre rifugio nella sua casa. Nonostante questo gesto, Jean scappa di notte rubando nella casa del suo benefattore quel poco di prezioso che vi era. Braccato dalle guardie capeggiate dal suo antagonista – il comandante Javert – viene portato davanti al vescovo che però non lo accusa del furto anzi, afferma davanti agli accusatori che gli argenti trovati nelle mani dell'evaso erano un suo dono!

Dall’atto misericordioso del vescovo iniziano la redenzione e il cambiamento che segnano la rinascita dell’ex galeotto e la sua decisione di cambiare vita, diventando un uomo virtuoso e un benefattore. La redenzione di Jean Valjean non avviene all’improvviso, come per magia: è un processo lungo e complesso, segnato da scelte difficili e sacrifici e sempre guidato dalla sua volontà di espiare le colpe passate e di fare del bene al prossimo. 

Nei Promessi sposi, la misericordia innesta un proficuo processo di redenzione. Pensiamo al capitolo più profondo sotto questo aspetto e cioè quello del perdono incondizionato di fra’ Cristoforo nei confronti di don Rodrigo, devastato dalla peste e atterrito dalla paura della morte per le sue azioni sconsiderate: il frate offre al signorotto la possibilità di pentirsi, sottolineando la dimensione ultima della giustizia divina. La morte di don Rodrigo senza pentimento sottolinea il fallimento della giustizia umana nel tentare di riportare l’ordine, ma nello stesso tempo rimanda alla giustizia divina, che è l’ultima parola sul destino umano.

Hugo contrapponendo a Jean Valjean la figura dell’ispettore Javert – che incarna la legge inflessibile e la giustizia cieca, incapace di comprendere e concedere la misericordia – mostra a quale tragico epilogo porta tale atteggiamento. Javert rappresenta il conflitto tra la legge e la coscienza morale, che culmina nel suo suicidio quando si trova di fronte all'impossibilità di conciliare questi due aspetti. 

È facile allora comprendere che dove non vi è misericordia, dove non vi è compassione, dove non vi è attenzione al prossimo sofferente, nessun processo di cambiamento di pacificazione si innesta, ma si apre un baratro senza soluzione.

Passando dalla letteratura alla musica e muovendomi ancora sulla strada dei ricordi, mi torna in mente quanta fatica e quanta tenacia il compianto Damiano, maestro del coro parrocchiale, aveva profuso per insegnarci il toccante Miserere che cantavamo al Triduo! Anche se io ero una bambina e non sapevo né di latino né tantomeno di salmi, intuivo quanto struggimento e quanta preghiera vi era in questo canto. Doveva essere importante per noi cristiani, pensavo.

Si tratta del salmo 51 (o 50, a seconda della numerazione), il più conosciuto dei sette salmi penitenziali che inizia proprio così "Miserere mei, Deus”: abbi pietà di me, Dio.

In questo salmo l’autore, dalla sua esperienza di vita, riconosce innanzitutto la propria colpa e quindi si appella alla misericordia di Dio, chiedendo di essere purificato e perdonato.  Una misericordia – quella di Dio – che va oltre la giustizia, poiché non solo perdona, ma trasforma portando alla gioia e a una nuova vita, aprendo alla Speranza e alla Salvezza. Di più, essa è un dono gratuito: non bisogna essere meritevoli di qualcosa per goderne i benefici!

Forse ora ci appare più chiaro come mai al Giubileo della Speranza sia stata affiancata la Misericordia: a quale speranza possiamo appellarci se non siamo compassionevoli? Se non sappiamo guardare con uno sguardo benevolo al nostro prossimo, anche e soprattutto nei momenti più complicati?

E questi sono certamente tempi piuttosto complicati…. è un continuo assistere alla tensione tra quel che i potenti del mondo ritengono giusto secondo i loro canoni – provocando sofferenze indicibili ai più deboli e senza preoccuparsene troppo – e la necessità invocata da molti (papa Leone in primis) di guardare oltre i propri interessi per il bene universale. Abbiamo visto come la violenza e l’orgoglio, dettati da un senso egoistico della giustizia umana, conducono inevitabilmente alla distruzione, mentre la compassione, il perdono e il pentimento possono ricostruire l’animo umano, portandolo verso un ideale più alto e seminando pace e giustizia per tutti.

Appellandoci come il salmista alla Misericordia di Dio che tutto perdona, a motivo del suo Amore per tutti gli uomini “di buona volontà” noi, che ci professiamo cristiani, possiamo trovare la forza di esercitare la compassione e il perdono come il vescovo di Digne nei confronti di Jean Vajeant o come il nobile dei Promessi sposi, diventando portatori fecondi di questo grande dono di Dio che anche noi abbiamo, magari senza accorgercene, sperimentato.

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Racconto non troppo serio di un confessionale

Franco Peci

Fino a non molti anni fa ero uno dei luoghi più frequentati delle chiese. Come il piede destro della statua di san Pietro nell’omonima basilica a Roma, il mio inginocchiatoio di legno era lisciato e consumato dai penitenti che si accostavano a me per svuotare la propria coscienza, chiedere perdono al buon Dio e ripartire con il proposito di una vita migliore.

Le persone che vedevo di più erano quelle che alcuni definivano pie donne: cresciute forse in un clima troppo moralistico, molte di queste, più volte al mese, varcavano la mia porta per elencare al prete qualsiasi scrupolo della loro coscienza, dall’aver mangiato un po’ di carne di venerdì all’aver ragionato su Dio e su alcuni dogmi.

A volte le più zelanti si ritenevano in dovere non solo di denunciare le proprio mancanze, ma anche quelle di parenti e affini fino al terzo o al quarto grado.

Lungi da me apparire troppo maschilista, ma in genere gli uomini risultavano più sobri. Seguendo forse il detto “Ucciso non ho ucciso, rubato non ho rubato”, spesso avevo l’impressione che non sapessero bene cosa dire, cosa confessare. Oltre alle bestemmie, di cui anch’io tacerò quantità e frequenza per ragioni ontologiche alla mia stessa presenza, poteva capitare che alcuni uomini, sia scapoli che ammogliati, si accusassero di essere andati a Brescia un paio di volte nell’ultimo mese.

Dopo aver pronunciato parole di circostanza, più o meno azzeccate, e la formula di assoluzione in latino, i preti novelli, i curati appena nominati e arrivati nelle parrocchie, uscivano da me con il dubbio su cosa diavolo fosse questo peccato dell’andare a Brescia. Quando si decidevano a chiedere lumi al parroco che, dimentico delle belle teorie del seminario, era più navigato nella realtà del mondo, venivano informati che questi erano viaggi di piacere per chi partiva dalla Valle e di lavoro per chi li attendeva a Brescia, uno dei lavori più antichi.

Sempre su questa scia pruriginosa, posso testimoniare che “dove sono capitato?” era uno delle domande che anche negli anni ‘70 e ‘80 un prete, appena uscito dal seminario, poteva farsi dopo aver passato un po’ di tempo al mio interno. In pochi mese i sacerdoti novelli non più tanto novelli si rendevano conto che corna, tradimenti e altre sciocchezze non erano solo fantasiosi spunti per telenovela e sceneggiati televisivi.

Come i preti anch’io posso constatare che dalle storie antiche raccontate nella Bibbia ai nostri giorni i peccati e le miserie umane più o meno sono sempre quelle. Vi assicuro che dopo aver ascoltato per un periodo non molto lungo quanto viene denunciato al mio interno, anche le curiosità più pettegole vengono superate dalla monotonia delle mancanze confessate.

Magari fino a qualche decennio fa’ si faceva finta di scandalizzarsi, soprattutto se queste mancanze riguardavano una certa sfera. Alcuni rimpiangono un minimo di pudore e di vergogna che forse c’erano davvero nel cuore delle persone, nelle coscienze ben formate come venivano definite dai manuali; altri pensano che le persone erano più attente a certi peccati solo per paura, oltre che dell’inferno, di far brutta figura, specialmente nei piccoli paesi dove si ritiene di sapere tutto di tutti, con una discreta dose di ipocrisia. A volte anch’io comunque non mi sento di dare completamente torto a chi afferma che quello che prima era considerato un delitto, oggi viene quasi esaltato come un diritto.

Pensando alla parrocchia di Borno ricordo con nostalgia quando venivo scambiato per una lavanderia. “Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro… lavami e sarò più bianco della neve” proclama il salmo 51, e forse si riferiva proprio a questo un vostro missionario quando, con il suo tipico buon’umore e la battuta sempre pronta, entrava da me dicendo che doveva andare a fare un po’ di lavatrici. Mi piace pensare che come chi, tornato a casa dopo una giornata di lavoro e di preoccupazioni, si fa una bella doccia per ristorarsi e sentire di nuovo profumo di pulito, così anche chi ricorre a me appesantito dalla tristezza per i propri sbagli, se ne esca più leggero, più fiducioso, con più voglia di risentire il buon sapore della vita.

Del sacramento che si celebra al mio interno forse una volta, sempre in riferimento ad una mentalità troppo moralistica, si sottolineava soprattutto il dolore dei peccati e le offese verso Dio come veniva proclamato nell’Atto di dolore o nel Gesù d’amore acceso che si recitavano (e si recitano ancora) al termine della confessione e prima dell’assoluzione. Seguiva poi la penitenza, che quasi sempre si risolveva nel pregare un Padre Nostro o qualche Ave Maria, per… soddisfare la giustizia divina.

Con un attorcigliamento su me stesso, anch’io devo confessarvi che questa formula, questo concetto non mi è mai andato giù del tutto. Se Dio vi perdona, perché, in qualche modo, dovete soddisfarlo? È per-dono o è per pagamento? È linguaggio d’amore gratuito o formula giuridica che può richiamare alla mente chi una volta si sfidava al duello per... avere soddisfazione?

Un giorno, però, mi è capitato di ascoltare un prete che ricordava ad un fedele che la forza di adempiere questa soddisfazione-riparazione per il male commesso è sempre il Signore che la dona perché – ricordava sempre il confessore – “senza di me non potete far nulla” diceva Gesù. Evidenziava che anche la penitenza in realtà diventa un’occasione per ringraziare il Signore che, nella sua infinità bontà, vi aiuta a riparare ai vostri peccati, vi rende ancora capaci di amare e di donare.

Quest’anno si celebra il Giubileo che, come la domenica durante la settimana – così almeno mi sembra d’aver capito dai discorsi di preti e vescovi – dovrebbe essere un anno di riposo, un anno in cui riprendere fiato, ridare la libertà a chi è stato ridotto in schiavitù per vari motivi; un anno insomma in cui quel rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, dovrebbe trovare vita concreta sia nelle relazioni personali, sia nei rapporti fra le Nazioni, specialmente quelle più ricche nei confronti di quelle più povere, come hanno tante volte invitato i Papi negli ultimi giubilei.

Fra i tanti aspetti, più o meno folkloristici, anche in questo giubileo, seppur in tono minore, si è sentito parlare di indulgenze e qui mi sento anch’io pienamente coinvolto.

Per molte persone, specialmente quelle che si pensano sveglie e sgamate perché riducono tutto a mercato, a questione di soldi, al tu mi dai, io ti pago e siamo pari, il termine richiama solo lo scandalo (appunto) delle indulgenze dove, secondo alcuni storici, dei frati in Germania hanno troppo semplificato queste come meri esborsi di denaro per sostenere la fabbrica di san Pietro, evitare anni di purgatorio dopo la morte e filare dritti in paradiso. Ed è stato lo scandalo che ha dato la stura (e la scusa) a Martin Lutero e compagni per staccarsi dalla Chiesa Cattolica e dar inizio a quelle protestanti.

Da alcuni preti mi sembra di aver intuito che l’indulgenza può essere rappresentata con un’immagine: quando una persona pecca è come se piantasse un chiodo nel muro; entrando da me e confessandosi quel chiodo viene rimosso ma nel muro rimane un buco, ossia la pena, la breccia che il peccato arreca alla comunione con Dio e con fratelli; buchi e pene che, in qualche modo vanno tappate, vanno scontate, vanno soddisfatte. Le indulgenze rimettono queste pene, senza rimandarle all’azione purificatrice del Purgatorio.

Sarà anche una metafora efficace, ma forse richiama concetti poco consoni all’attuale sensibilità. Mi è capitato di sentire un penitente – uno di quelli infervorati nella lettura della Bibbia e sempre un po’ troppo criticoni – affermare che lui ha sempre fatto fatica ad accettare l’idea delle indulgenze. Riferendosi alla parabola del Padre Buono – che spesso e volentieri viene ricordata come simbolo di ciò che si celebra al mio interno – diceva che ci voleva una contorta fantasia per immaginare un secondo episodio del racconto in cui il Padre, battendo la mano sulla spalla del figlio, esclamava: “Ieri è stato bello, abbiamo fatto festa, ma guarda che scherzavo. Tuo fratello maggiore infondo ha ragione. Quindi da oggi, se vuoi davvero continuare a rimanere qui con me, devi tappare il buco, devi ripagarmi di tutto quello che hai sperperato!” E come terzo atto prevedere che entrino in scena i servi del Padre per indire un anno speciale e, parlando con troppa facilità a suo nome, annunciare alla gente che con un piccolo obolo e alcune pratiche religiose possono tappare qualsiasi buco e lucrare le indulgenze, termine molto commerciale ma non molto evangelico.

Forse quel tipo più che penitente era un impertinente: fra l’altro contestava pure l’idea stessa del Purgatorio strettamente legato alle indulgenze. Come spesso accade, tutto poi dipende da come voi uomini volete raccontarvela. Forse le persone ricorrono ai linguaggi quotidiani, alla cultura di una determinata epoca, per tentare di esprimere realtà più grandi di loro. Lo stesso Gesù, se non sbaglio, per annunciare il regno di Dio non teorizzava belle e candide filosofie, ma parlava di pecore, pastori, contadini, case, fogne, amministratori scaltri e prostitute.

Un’altra cosa che comunque mi piace è che nel mio ambiente, negli ultimi decenni, sento sempre meno parlare di accuse, colpe, punizioni divine. Il peccato e le miserie umane sono, purtroppo, realtà costantemente presenti nel mondo. Ma proprio con la stola che indossano – immagine di quel Buon Pastore che si carica sulle spalle le pecore più deboli e probabilmente anche quelle più asine – mi sembra che i preti ora annuncino soprattutto la misericordia e invitino le persone a cogliere come davvero Dio, con lo stesso amore viscerale di una mamma, si commuova e si prende cura delle miserie umane, come desidera davvero che nel cuore di ogni persona si riaccenda quel fuoco che aiuta a tappare i buchi dell’egoismo, che invoglia a passare continuamente dal per pagare al per-donare.

Forse l’unica vera soddisfazione che Dio desidera è vedere l’uomo e la donna viventi, uomini e donne che amino vivere gli uni per gli altri e che, nonostante tutte le loro asinate, desiderino sempre intraprendere nuovi cammini di liberazione, nuovi cammini di speranza.

Il confessionale

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Il perdono nella musica classica

Daniele Ferrari

Il perdono è forse l’espressione più alta dell’amore, che consente di salvare le relazioni umane, anche se gravemente compromesse. Fatichiamo ad accettare e comprendere a fondo la misericordia di Dio per noi stessi, per le nostre meschinità e di conseguenza perdonare l’altro diventa un’impresa impossibile.

Dio non dimentica i nostri errori, ma con il suo amore va oltre i nostri errori, preservando la relazione con noi. Non ci chiede quindi di dimenticare i torti, ma di mettere al primo posto la relazione con l’altro, offrendole un futuro mediante l’amore, evitando così di interromperla.

Se il dolore per le proprie colpe e la richiesta di misericordia a Dio sono stati musicati innumerevoli volte nella storia della musica, il perdono va ricercato nei dettagli delle composizioni.

Ho individuato in due composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) due frammenti che, a mio avviso, rendono davvero tangibile il perdono, quello di Dio e quello umano.

Nel suo Requiem KV 626, incompiuto, l’ultimo brano interamente composto da Mozart è il celeberrimo Lacrimosa, in cui le lacrime sgorgano abbondanti nella maggior parte della composizione (immettere “mozart lacrimosa giulini” nel campo di ricerca YouTube). In un attimo celestiale (1:41 Huic ergo parce, Deus – Abbi dunque misericordia, o Dio) le lacrime si fermano e gli occhi gonfi di pianto si alzano verso il cielo (1’54” Pie Jesu – O Gesù pietoso), quasi a contemplare uno squarcio azzurro tra le nuvole (2’01” Domine – Signore, fino a 2’23”). Forse è il perdono sospirato, tratteggiato dal solo coro in questi 42 secondi davvero sospesi in uno spazio che possiamo percepire senza tempo?

Veniamo quindi al perdono umano chiesto alla moglie (Contessa) da un marito infedele (Conte). Lo troviamo in un meraviglioso duetto (immettere “contessa perdono garsington” nel campo di ricerca YouTube) verso la fine del IV atto del melodramma Le nozze di Figaro KV 492, composto da Mozart tra il 1785 ed il 1786, solo cinque anni prima del Requiem e della morte del compositore stesso.

La scena che precede vede il Conte infuriato che promette vendetta per essere esposto al ludibrio a motivo dei suoi piani di tradimento falliti ma, proprio quando tutto precipita, riesce a fermarsi (Conte: “Contessa, perdono.” Contessa “Più docile io sono, e dico di sì.” Tutti: “Ah! Tutti contenti saremo così”).

Anche in questo caso il flusso musicale della scena si arresta, quasi a contemplare il momento di amore profondo e sublime che porta al perdono da parte della Contessa.

Forse anche Mozart, in questi due frammenti, pare suggerirci di sostare per lasciar emergere dentro di noi tutto l’amore di cui siamo capaci. Se accettiamo e diamo valore profondo al perdono di Dio nei confronti di noi stessi diverremo forse anche noi capaci di perdono, in grado di fermarci per rimettere la relazione umana al primo posto, con lo sguardo rivolto a quello squarcio di azzurro in mezzo alle nubi grigie dell’orgoglio tanto dannose, quanto inutili.

Cuntomela Estate 2025


Battesimi

Borno

Daniel Pedersoli di Matteo e Ambra Bonadei - Borno 1 maggio 2025

Camilla Gazzoli di Daniele e Claudia Venturelli - Borno 4 maggio 2025

Ginevra Severgnini di Massimiliano e Alessandra Domenighini - Borno 8 giugno 2025

Thomas Furloni di Cristian e Elda Gadioli - Borno 8 giugno 2025

Cuntomela Estate 2025

Ermes Saleri di Guido e Marta Pedersoli - Borno 22 giugno 2025

Margherita Gheza di Gregorio e Francesca Rivadossi - Borno 28 giugno 2025

Lara Schlick di Martin e Giulia Sanzogni Hirschegg 19 ottobre 2024

Ossimo Inf.

Elisabeth Ludovica Fanetti Franzoni di Giacomo e Laura Franzoni - Ossimo Inf. 5 luglio 2025

Cuntomela Estate 2025


Matrimoni

Ambra Bonadei e Matteo Pedersoli Borno 1 maggio 2025

Monica Zaotti e Gabriele Franzoni Padova 17 maggio 2025

Giada Damioli e Matteo Bussi Ossimo Inf. 5 luglio 2025

Cuntomela Estate 2025

Anniversari di matrimonio

Felicitazioni a...

Valeria Zerla e Giuliano Saviori per il loro 50° di matrimonio festeggiato il 14 maggio 2025

Mea Lombardi e Amabile Rivadossi per il loro 30° di matrimonio festeggiato il 25 maggio 2025

Adele Andreoli e Franco Dabeni per il loro 50° di matrimonio festeggiato il 12 luglio 2025

Cuntomela Estate 2025


Morti in Cristo

Borno

Gianfranco Goldaniga 1 mag 1957 + 30 apr 2025

Luciano Baisotti 23 dic 1955 + 29 apr 2025

Anna Lucia Martinelli 27 lug 1934 + 17 mag 2025

Vittorio Gheza 25 nov 1949 + 20 mag 2025

Roberto Bison 13 nov 1974 + 4 giu 2025

Diego Odelli 31 gen 1951 + 14 giu 2025

Gemma Baisotti (Belluno) 12 mar 1943 + 3 mag 2025

Franco Romellini (Collebeato) 17 nov 1950 + 13 apr 2025

Cuntomela Estate 2025

Pierina Corbelli 17 set 1939 + 29 mag 2025

Lidia Luraghi 3 mag 1947 + 9 lug 2025

Sergio Landi (in Svizzera) 11 mar 1938 + 10 lug 2025

Renato Donelli 4 ago 1938 + 15 lug 2025

Amabile Martinelli 2 dic 1942 + 26 lug 2025

Lozio

Virgilio Medici 3 mag 1941 + 7 apr 2025

Tatiana Scarlatti 5 mag 2003 + 5 apr 2025

Gianfranco Valiforti 1 giu 1943 + 22 apr 2025

Cuntomela Estate 2025

Ossimo Inf.

Aurelio Zani 20 lug 1953 + 12 apr 2025

Gianluigi Savoldelli 17 mar 1958 + 16 apr 2025

Ferruccio Longa 5 mar 1945 + 20 mag 2025

Domenica Zani (a Torino) 4 ott 1939 + 11 mag 2025

Ossimo Sup.

Emanuela Gaioni 11 feb 1964 + 7 apr 2025

Massimo Pezzoni 1 ago 1958 + 7 giu 2025

Giovanna Iole Zerla 29 dic 1938 + 29 giu 2025

Pietro Ghitti (in Svizzera) 8 feb 1948 + 18 mag 2025

Cuntomela Estate 2025


Cuntomela Estate 2025

La notte comincia
con la prima stella,
l’amore
con il primo sguardo,
il mondo nuovo
con il primo samaritano
buono,
che,
senza mai parlare di Dio,
lo rivela.
Perché Dio
non si dimostra,
si mostra.

P. Ermes Ronchi

Cuntomela Estate 2025

Cüntómela
Estate 2025

machina del triduo
"Machina" del Triduo dei Defunti

Frugando nel Sacco
Frugando nel Sacco

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