Parrocchia san Giovanni Battista - Borno

Padre Defedente Rivadossi

Missionario Cappuccino in Amazzonia per 50 anni fino al 2013

Padre Defendente Rivadossi

P. Defendente
Storia della mia vita

Capanema, 12-10-1999

Sono entrato nel seminario di Albino (Bg) esattamente 50 anni fa, il 12 di ottobre. Avevo 11 anni e avevo fatto la IV elementare con la maestra Richini. Ricordi molto lontani. Ho sempre avuto la vocazione missionaria e pochi mesi dopo l'Ordinazione sacerdotale, avvenuta il giorno 8 di giugno del 1963, sono partito per la missione del Brasile, esattamente il giorno 29 ottobre del 1963 (Don Ernesto il 20 ottobre del 1963 mi ha consegnato il Crocefisso nella Giornata Missionaria).

Partendo da Borno con la corriera, a salutarmi c'era mio padre che mi ha detto queste testuali parole: "Figlio mio, parti pure, ma ricordati che non ci vedremo mai più in questa vita". Col cuore angosciato sono partito e ho cominciato la mia avventura missionaria.

Mi ricordo che avevo con me una lettera di mia mamma che dovevo aprire quando mi sarei trovato in alto mare. L'ho aperta il 2-11-63, quando la nave ha lasciato Lisbona. Dopo tanti anni ricordo ancora l'emozione e la trepidazione con cui ho letto quelle righe: erano come un testamento in cui c'era il cuore di una mamma. Arrivato in Brasile con la nave il giorno 9 di novembre dello stesso anno, ho passato i primi mesi nella casa madre della missione, Sao Luis, per imparare la lingua.

Il primo episodio degno di nota è stato in occasione del primo anniversario del mio arrivo in Brasile. Ero in giro per la savana della parrocchia a dorso di mulo e ho avuto il vero battesimo del missionario: la Malaria! Per una settimana ho cercato di continuare il mio viaggio; mi ricordo che l'ultima Messa l'ho celebrata seduto, sfinito, e così pure matrimoni e battesimi. Avevo febbre altissima, deliravo, invocavo la mia mamma dicendo che non volevo morire senza vederla ancora una volta.

Una donna mi si avvicina per offrirmi il suo petto, ed io, stupido, balzo in piedi come una furia dicendole di aver rispetto del mio stato di salute e di non approfittarne per tentarmi. Più tardi ho capito che non c'era malizia: lo faceva come ultimo rimedio per salvare una vita! Questo episodio l'ho raccontato ad un pranzo in canonica a Borno nel 1970, in cui erano presenti don Giuseppe Verzelletti e alcuni sacerdoti bornesi che hanno riso tantissimo.

Il giorno 8 aprile del 1964 sono stato destinato a Carolina, come desobrigante, cioè incaricato dell'interno della parrocchia. E per 13 anni a dorso di mulo ho percorso un territorio grande come mezza lombardia, anche se molto spopolato.

Poi sono stato promosso a parroco di Santa Teresa in Imperatriz, per due anni. Poi sono stato trasferito ad Amarante il 1° gennaio del 1979. Per sette anni ho lavorato in quella parrocchia come parroco, curando le famose Comunità di base.

Nel gennaio del 1986 sono stato trasferito alla capitale, Sao Luis, come parroco di Anil, una popolosa parrocchia di periferia. Sono stati gli anni più belli della mia vita. Il 30 dicembre di quell'anno moriva la mia mamma e io ho assunto quella parrocchia come se fosse una mamma.

Poco prima del mio 25° di sacerdozio ho vissuto un'esperienza bellissima: la conversione di un massone sul letto di morte. Era ammalato di cancro e io lo visitavo spesso nella sua casa, senza mai parlare né di malattia, né di religione. Nacque una profonda amicizia. Quando lo trasportarono all'ospedale in fin di vita era una maschera: un ictus alla bocca lo rendeva orribile. La sposa e le figlie piangevano, ma lui non voleva saperne di confessarsi. Mi avvicinai e gli dissi che il momento era serio e che bisognava riconciliarsi con Dio. Mi rispose balbettando, con un ghigno orribile: "Non posso". Ho sentito che era la voce del demonio. Presi il crocifisso e mi avvicinai di nuovo; lui lo guardò e poi lo prese e se lo strinse al petto e lo baciò. Il ghigno orribile scomparse e la sua bocca si aprì al sorriso; chiamò la moglie e le figlie, diede una stretta di mano riconciliandosi con loro e poi morì serenamente e in pace. La sua anima come quella del buon ladrone, è con Gesù in paradiso. Non dimenticherò mai la gioia che ho sentito perch&egrav;, indegnamente, sono stato uno strumento nelle mani di Dio per salvare un'anima.

Stralci di una sua lettera di quel periodo (ndr):

... Ho avuto e ancora ho un lavoro colossale per la costruzione del Centro catechetico (oratorio) e della chiesa del Cappello di alpino. Subito dopo Natale abbiamo iniziato i lavori e a Natale di quest'anno faremo l'inaugurazione... Certo se non c'era la spinta forte dell'aiuto di Borno, la cosa non si faceva. Tra le altre cose l'anno scorso, quando sono partito da Borno, ho portato con me un sacchetto di terra del nostro cimitero. In questi giorni faremo il pavimento della chiesa. Dove ci va l'altare voglio interrare il sacchetto di terra dei nostri morti, quasi per fare un legame simbolico tra la nostra gente di Borno e la chiesa di qui. (Sao Louis, 15-9-1989)

Sul più bello del mio lavoro mi arriva addosso una mazzata: trasferito di nuovo, e adesso con una missione difficile: parroco - cappellano del lebbrosario della Colonia do Prata. Era il mese di gennaio del 1992. In quell'ambiente ho lavorato tanto come non mai nella mia vita, e ho avuto tante amarezze, sofferenze. Questo periodo può essere chiamato come il fondo dell'abisso, il salto nello scuro.

Nonostante questo da alcuni brani delle sue lettere possiamo vedere che Padre Defendente anche in questo periodo ha fatto molte cose con entusiasmo. (ndr)

... I lebbrosi hanno un'altra mentalità, sono molto diffidenti e ci vuole molta pazienza e tatto. Io sono contrario al paternalismo, nel senso di viziare le persone e creare dipendenza; sono più propenso a gesti concreti comunitari che siano a beneficio di tutti. Ci hanno chiesto un aiuto per sistemare la cucina e il refettorio dei lebbrosi,che sono del governo. Una spesa notevole anche questa, ma con l'aiuto della provvidenza stiamo lavorando da circa un mese. (Colonia do Prata, 7-3-1993)

... Dopo aver sistemato la grande e bella chiesa dei lebbrosi, abbiamo messo a posto cucine e refettorio, e nel mese di luglio anche uno dei ricoveri, quello più malandato, delle lebbrose anziane.Qui si che sono successi dei guai. Abbiamo trasportato le vecchie lebbrose anziane con le loro "masserizie" su un trattore; brontolavano, ridevano, gridavano, ma alla fine tutto si è risolto per il meglio. Dopo un mese di lavoro, quello che sembrava un porcile è diventato un luogo accogliente e dignitoso. (Colonia do Prata, 26-10-1993)

...Abbiamo fatto la processione con le candele e i lebbrosi hanno mostrato molto orgoglio e dignità, anche se tenevano in mano le candele accese con qualche difficoltà. Ho spiegato il gesto dell'offerta della Madonna che si traduce nel nostro gesto di offerta nella Messa, e poi ho chiesto ai lebbrosi presenti cosa potevano offrire. Qualcuno, azzeccando in pieno la domanda, ha risposto che offriva il suo dolore, la sua malattia al Signore. (Colonia do Prata, 2-2-1994)

... È venuto l'Arcivescovo di Bel&eacut;m, che dista 120 Km. Le Cresime sono state celebrate all'aperto, davanti alla chiesa di San Giorgio. Per fortuna che non è piovuto, i giovani mi avrebbero mangiato vivo. Voglio molto bene a giovani e adolescenti, ma sono teste dure, e io più di loro. (Colonia do Prata, Estate 1994)

... Abbiamo realizzato un pozzo e anche la piattaforma per i due serbatoi ognuno dei quali ha una capacità di 10.000 litri... ma il bello è che il pozzo non funziona ancora in quanto manca il grosso trasformatore per far funzionare la pompa... Sto preparando anche un altro orto per fare lavorare i ragazzi del villaggio dove abitiamo. Si vede che la vocazione contadina, ereditata dai nostri padri, si fa sentire! Comunque non tralascio il lavoro pastorale e la catechesi.(Colonia do Prata, 20-10-1994)

...La pompa del pozzo artesiano di S. Isidoro, dopo nove mesi di lavoro, ha cominciato a fare tribolare. Ho riunito la gente dei villaggi di periferia e insieme abbiamo pensato di creare una specie di cooperativa, in cui tutti collaborano con qualcosina, per la manutenzione della pompa e del pozzo: l'acqua è troppo preziosa e tutti sono stati d'accordo. ...Nella mia vita di missionario non mi è mai capitato di dover fare tante cose e pensare a tanti problemi. Prima erano per lo più problemi spirituali, adesso mi tocca pensare anche al sociale come la fabbrica di mattoni: per il momento ci siamo fermati per metterci in regola con le leggi sociali. Dal 25 novembre al 10 dicembre anche qui faremo le Missioni Popolari: è da mesi che stiamo lavorando in tutta la parrocchia. Voglia il Signore che questo avvenimento serva per scuotere la nostra gente, molto pigra e tiepida nelle cose del Signore. (Colonia do Prata, 20-11-95)

... Anche per il problema dell'acqua ci sono remore burocratiche: il pozzo non è ancora stato attivato e si continua a bere acqua sporca, piena di ruggine. Mi sono fatto sentire, sono venuti a fare nuovi esami... ma la gente continua a soffrire le conseguenze. Siamo in un mondo in cui i poveri non hanno valore, quello che vale è il denaro, la potenza dei mezzi; i poveri devono arrangiarsi: e questo fa male, davvero. Una cosa almeno stiamo facendola: la scuola... Qui le vacanze sono tra dicembre e marzo e il 23 dicembre abbiamo iniziato i lavori di ristrutturazione. È uno stabile molto antico con strutture di legno marcio; abbiamo dovuto rifare strutture con il cemento armato. (Colonia do Prata, 17-1-97)

Dopo sei anni sono stato trasferito a Tuntum come Curato di campagna. Era il mese di Gennaio del 1998.

Dalle sue lettere:

... Da quando sono rientrato dall'Italia, dopo la fugace comparsa a Borno, mi sono messo a costruire il centro catechetico, che serve anche come ambiente per cucito e ricamo per le povere donne del quartiere, e come scuola serale per gli adulti. Un ambiente per alfabetizzare gli adulti che non sanno nè leggere nè scrivere. E al giorno d'oggi è importante perché la disoccupazione fa strage specialmente delle persone che non sono qualificate. (Tuntum, 25-2-1999)

... Durante la Quaresima e dopo mi sono impegnato nella campagna delle amache per i bambini poveri e ho incontrato un caso molto pietoso che vedete nella fotografia. Una bambina di due anni e mezzo conciata a quella maniera! Aveva otto mesi quando ha avuto scottature di terzo grado, amaca bruciata. I genitori poverissimi sono senza mezzi per curare la piccola Railda, il nome della bambina. Ho promesso di aiutare almeno per raddrizzare il braccino: piange il cuore davanti a tanto dolore. E ultimamente i genitori hanno bisticciato e si sono separati. Ho fatto di tutto per rappacificarli e ci sono riuscito. Sono andato a prendere i quattro stracci di lei e hanno fatto la pace per amore dei piccoli che sono tre, e ce n"è un quarto in viaggio. Tutta la gente del rione si è commossa per quello che ho fatto. Vedo che da più risultato fare cose del genere che fare delle belle prediche. La gente mi vuole un bene immenso, mi chiamano nonno.Non mi era mai capitato in tutta la mia vita missionaria. (Tuntum,.30-4-1999)

Il resto è storia recente.

Ecco l'itinerario della mia vita missionaria. Lo so che a voi non interessa solamente la cronaca dei viaggi, degli spostamenti, ma soprattutto lo stato d'animo. Affrontare nuove difficoltà, vedersela con un ambiente nuovo, persone sconosciute, ricominciare sempre da capo fa parte della vita missionaria, della vita in fraternità. Come ho detto, siamo figli dell'obbedienza. Ad Anil, tra il 1986 e il 1992, ho passato gli anni più belli, quando sentivo la gioia di essere pastore di anime. Il momento più angoscioso è stato quando sono stato chiamato ad obbedire, lasciare tutto e andare al lebbrosario. È vero che al lebbrosario sono maturato, ho fatto tante cose, ma è anche vero che sono stati anni neri, bui, quando la parola grazie, gratitudine, era sconosciuta, e questo nonostante il sacrificio di una vita data per quei poveri ammalati. Il fatto stesso della malattia contribuisce a questo stato di cose. Momenti bellissimi ho passato a Tuntum, quando ero chiamato nonno e i bambini mi volevano un bene immenso. La gioia di aver aiutato tanto i poveri e gli ammalati. Questo fatto ha scosso e convertito diverse persone alla nostra fede.

Sette volte sono venuto in Italia, nel 1970, 75, 80, 84, 88 92 e 96, più due volte di sfuggita, quando è morta la mia mamma nel 1986, e l'anno scorso, quando sono venuto a fare la festa dei coscritti della classe di ferro del 1938. Che Pazzia! In Italia mi sono sempre sentito bene, mi sono riposato e sono sempre riuscito a dare testimonianza della missione. E soprattutto devo ringraziare la generosità dei bornesi che mi ha permesso di realizzare tante cose per il Regno di Dio.

Penso di aver scritto abbastanza. Speriamo che tutto questo serva a far nascere qualche vocazione sacerdotale e missionaria. Tanti saluti a tutti.

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